Nell’ultimo capitolo delle “Scene di una vita da bohème” di Henry Murger (il romanzo a cui si sono ispirati sia Leoncavallo sia Puccini) è passato un anno dalla morte di Mimì. Tanto il poeta Rodolfo quanto il pittore Marcello (nonché il musicista Colline e il filosofo Schaunard) hanno fatto fortuna nelle loro rispettive professioni. Si sono pure imborghesiti. Marcello ha appena passato una notte con Musette – ma è stata “una triste notte….non era più lo stesso…niente affatto!”. “La gioventù – conclude con una punta d’amarezza il pittore – ha una stagione sola”. 



Bohème di Giacomo Puccini è una delle opere più eseguite al mondo. E anche una delle più amate. Non solo in Europa (ricordo magnifiche edizioni sia a Parigi sia a Budapest) ma in tutto il mondo (ne vidi una messa in scena a Nairobi e una a Seoul negli Anni Setttanta). Nella produzione pucciniana, “Bohème” è un’opera unica, dal colore inconfondibile. Eclettica, tale da fondere mirabilmente il melodramma, il romanticismo tedesco, l’opéra lyrique francese e la romanza-canzone da salotto: è il più fulgido esempio italiano di “literaturoper”. Anche per questo motivo, è memore di Bizet, di Massenet e di Gounod più che della tradizione italiana. Anche per questo pur se classificata tra la musica classica è sempre contemporanea. 



A Roma viene messa in scena quasi ogni anno o al Teatro dell’Opera o in palcoscenici meno noti del Costanzi (ricordo una bella edizione scenica nell’auditorium di Via della Conciliazione a cura dell’Orchestra Sinfonica di Roma). Mancava, però, dalla sede più ‘popolare’ (perché ha una platea di 4500 posti), le Terme di Caracalla, dal 1967. C’era grande attesa quindi per la prima del 14 luglio (l’opera verrà replicata sino al 9 agosto). Le recite sono in gran misura vendute.

Tanto più che, a differenza delle edizioni del passato, non si tentava un allestimento grandioso con scene costruite, ma si portava a Roma una versione originale e già applaudita negli Stati Uniti ed in Spagna. Scene, costumi e regia di David Livermore sono già stati apprezzati a Philadelphia e Valencia. L’azione è spostata ai tempi della pittura impressionista : su otto schermi, e sulle rovine romane, vengono proiettati quadri dell’epoca. Unico tocco di grandiosità: un effetto speciale che fa piovere neve anche sul pubblico nel terzo quadro ,quello della Barrière d’Enfer.



Ebbene, nonostante il Teatro dell’Opera di Roma abbia appena ottenuto dai contribuenti 50 milioni di euro per sanare la gravissima situazione finanziaria, la Cgil ed un piccolo sindacato hanno proclamato uno sciopero. Si badi bene: il 70% dei dipendenti ha votato per fare spettacolo, ma la Cgil ha 20 ‘duri’ in orchestra e Puccini ha scritto una partitura che richiede 92 orchestrali. Si è cercato sino all’ultimo momento di giungere ad una soluzione, ma prendere ad esempio ‘aggiunti’ sarebbe stato considerato un’azione anti-sindacale. Vero e proprio caso di ‘dittatura della minoranza’ che dovrebbe ricevere l’attenzione di Susanna Camusso e Matteo Renzi; tra tante riforme, perché non cercare di regolare gli scioperi (come previsto dalla Costituzione) ed organizzare le relazioni industriali secondo principi democratici.

Quindi, la rappresentazione è andata in scena con cantanti, maestro concertatore, scene, costumi,coro,comparse ma solo l’accompagnamento al pianoforte (di Enrica Ruggero). Il pubblico ha fatto buon viso a cattivo gioco; solo 700 dei 4500 spettatori hanno optato per il rimborso del biglietto. Le due sigle sindacali in sciopero (della decina in teatro) hanno fatto sapere che alle repliche saranno al completo, anche in quanto parte del pubblico ha protestato contro i due sindacati con tendenze autoritarie. Alla prova generale, l’orchestra aveva meritato applausi-

Come valutare l’esecuzione di una partitura che, per quanto intimista, richiede 92 professori d’orchestra? Daniele Rustioni (maestro concertatore) ed Enrica Ruggero hanno fatto del loro meglio per rendere il colore inconfondibile della scrittura di Bohème. La mancanza di orchestra ha permesso di meglio valutare le voci, in particolare come Carmela Remigio e Aquiles Machado (i due protagonisti), hanno gestito con cura , negli ultimi vent’anni, la propria vocalità transitando da soprano di coloratura, la prima, e da tenore lirico, il secondo, a ruoli ‘spessi’ impostati sul registro di centro. Ha anche confermato le qualità di due giovani: il baritono Julian Kim ed il soprano Rosa Feola.