Possibile o impossibile avere una doppia vita? Ci si può sdoppiare in due mondi completamente diversi senza perdere la cognizione del tempo? Si può mantenere un preciso disegno della propria esistenza cercando un equilibrio tra questi due mondi e tentando di evitare di farsi sfuggire le coordinate? La risposta è sì, tutto questo è possibile ed a dimostrarcelo è la famosa boyband italiana FreeBoys. L’uscita del loro nuovo album “Dedicato a…” è stata l’occasione per incontrarli personalmente e obbligarli a dare un attimo di tregua alla loro irrefrenabilmente movimentata e meravigliosa vita. Simone Frulio  (16 anni), Enrico Nadai (18) e Kevan Gulia (18) sono i componenti dei FreeBoys.               Fattisi conoscere dal programma di Gerry Scotti “Io Canto” si sono poi uniti dando origine ai FreeBoys, prima boyband italiana, e come ogni buon sognatore che si rispetti hanno deciso subito dopo di buttarsi in una nuova avventura partecipando alla settima edizione di XFactor. E’ qui che il grande pubblico li ha conosciuti ed è da qui che è partita la nostra chiacchierata.



XFactor per voi è stata un’esperienza e come tale ha comportato dei pro e dei contro. Quali sono stati?

Simone: Ovviamente i pro sono stati quelli di cantare, avere una grande visibilità e la possibilità di esibirsi su di un grande palcoscenico come quello di XFactor. Si sono aperte nuove strade lavorative ed abbiamo fatto uno speciale su Sky con Simona Ventura che è diventata anche la nostra manager. Di negativo? Siamo stati eliminati alla seconda puntata ma è ininfluente.



Kevan: siamo stati molto discussi durante il programma e gli “haters” si sono spesso accaniti contro di noi senza una ragione apparente ma io non sono “uno contro”.

Un aneddoto particolare accaduto durante XFactor e che volete condividere?   

Enrico: ci sono rimaste particolarmente impresse le prove sostenute in occasione della seconda puntata  dove dovevamo eseguire “Let me entertain you”. Sono stati momenti particolarmente intensi che iniziavano dalle prime ore del mattino e si protraevano anche fino a tarda sera. È stato molto pesante ma abbiamo dimostrato di essere dei professionisti e di saperci mettere in gioco fino in fondo. Un altro momento importante è stato quando salendo sul palco abbiamo sentito particolarmente fredda la risposta del pubblico; non ci siamo lasciati scoraggiare e questo ha dimostrato la nostra maturità .



Durante XFactor siete stati oggetto di critiche. Cosa pensate in proposito e come vi siete posti rispetto a questo?

Kevan: ci sono due critiche, quelle costruttive: ne abbiamo avute e sono state quelle che ci hanno aiutato a crescere. D’altra parte ci sono state anche critiche infondate che personalmente non condividevo e non capivo perché erano critiche senza fondamento dettate solo dall’invidia o peggio dal rancore. Sui social network abbiamo letto commenti di ogni genere però, in un certo senso, è servito anche questo per mettere in risalto al contrario la realtà che era ben diversa. Per questo dico grazie anche a chi in quel periodo ci ha avversato.

Come ogni gruppo musicale che si rispetti non mancano i fan che fin dal primo momento hanno seguito con trepidazione e passione il percorso di questa giovane boyband, sostenendola in ogni momento.  Come definireste il rapporto con le fan e cosa vi piace di loro?     

Simone: Abbiamo sempre avuto un bellissimo rapporto con le nostre fan. Siamo attivi sui social e quindi vediamo le loro foto e leggiamo i loro messaggi. È un rapporto molto importante per noi che va avanti ormai da tempo e sappiamo di fan che ci seguono già da tanti anni; è bello incontrarle dal vivo perché riusciamo ad instaurare un rapporto diretto con loro e quando sentiamo che cantano le nostre canzoni sotto il palco è un’emozione unica. 

 

La vita del cantante non è però solamente concerti, eventi e fan; a monte di tutto questo esiste qualcuno che ha saputo appoggiarli e supportarli condividendo quotidianamente le loro emozioni e lottando affinché  il loro sogno si realizzasse. La famiglia è infatti parte importante e integrante della loro vita. Com’è il rapporto con i vostri genitori?

Enrico: Il rapporto con i genitori per noi è ancora fondamentale dal momento che fino a qualche “giorno” fa ero minorenne ma anche adesso che sono maggiorenne mi sento di avere ancora bisogno, almeno in parte, del loro aiuto e quindi sotto l’aspetto tutelare e umano reputo molto importante il loro sostegno. Fin da “Io canto” ci hanno sempre seguiti attentamente, ci hanno aiutati a prendere le decisioni giuste perché spesso ci siamo trovati di fronte a delle scelte e quindi è stato fondamentale avere un supporto che ci aiutasse a compiere scelte non individuali ma il più possibile condivise con qualcuno che ci voleva bene veramente, perché questo sono i genitori. Poi ovviamente sono anche i primi a rimproverarci quando sbagliamo qualcosa sia nella vita quotidiana che quando cantiamo. 

 

In questa prima parte abbiamo quindi potuto attingere un po’ dalla loro vita di cantanti e un po’ da quella di comuni adolescenti che si destreggiano tra scuola, amici e famiglia. Per quanto diversi e opposti questi due mondi sono però accomunati da quella passione che li ha portati in parte a fondersi: la musica. Tutto ha un inizio, un suo perché e loro hanno voluto condividere con noi quei momenti che hanno segnato il cambiamento della loro vita, indirizzandoli su una particolare strada.                                                   

 

Parlando singolarmente, quando avete capito che la strada che volevate intraprendere era quella della musica?

Kevan: Io, nonostante fossi sempre circondato da musica perché mio papà è docente di pianoforte e mia madre ballerina, ho capito che la musica è la mia vita solo quando ho cominciato a suonare in un gruppo  confrontandomi direttamente con questo mondo, avevo circa 12\13 anni.
Simone: Io vivo sempre con la musica in casa a palla. Poi mia nonna cantava e si cantava in sala con la chitarra tutti insieme.
Enrico: Diciamo che anche io avendo i genitori musicisti ho sempre provato ammirazione per il loro lavoro. Ricordo che seguivo mio papà quando faceva i concerti a Venezia, anche nelle chiese, magari mi addormentavo sulle gambe di mia nonna mentre ascoltavo ma ero sempre circondato dalla musica. Il violino per esempio era uno strumento che catturava molto la mia attenzione. Le esperienze più importanti sono capitate anche abbastanza casualmente ma alla fine  ti trovi talmente coinvolto che avverti che quella è la tua strada e non ne puoi più uscire e anche quando partecipi a un programma televisivo capisci che devi migliorare continuamente e quindi in un certo senso diventa un po’ la tua piccola gabbia.

 

I vostri esempi musicali a cui fate riferimento?

Enrico: Noi non facciamo riferimento ad un artista preciso ed abbiamo anche gusti musicali molto diversi ma alla fine ci troviamo sempre d’accordo sulle canzoni che cantiamo che devono piacere a tutti e tre altrimenti non le facciamo. Io per esempio, individualmente, ascolto i grandi classici Italiani, molta musica Italiana come ad esempio De Andrè.
Simone: Ascolto musica americana come Will.I.Am, anche se prendo spunto da tutto.
Kevan: In ogni genere musicale, in ogni cantante e in ogni artista c’è qualcosa di diverso e particolare che mi piace cogliere, sia dal punto di vista canoro che strumentale, sia dall’avanguardia che dal passato. Cerco di avere una visione a 360° del panorama musicale e mi piace cogliere ciò che di bello esiste; io non sottolineo mai quello che non è bello ma parto sempre dal positivo, da ciò che mi provoca emozione.  

 

Per quel che percepisco dalle persone che mi circondano posso dire di sentire un po’ di avversione da parte degli adulti nei confronti di noi adolescenti quando tiriamo fuori le cuffie per ascoltare la musica perché alla fine loro ci vedono come ossessionati dalla musica, come se fosse l’unica cosa di cui non ci lamentiamo. Ci accusano di passare le nostre ore isolandoci dalla realtà per immergerci in un mondo fatto di melodie diverse. Forse non sanno che il quel mondo riusciamo a ritrovare noi stessi e quell’isolamento così criticato è spesso di grande aiuto. Ho pensato quindi di parlarne con i Free Boys per conoscere il loro punto di vista. 

 

Com’è il vostro rapporto con la musica? E come pensate che la musica possa aiutare i giovani d’oggi?

Simone: Personalmente io tutte le mattine da quando mi sveglio ho la musica a palla nelle orecchie e ascolto la musica tutto il giorno, perché mi tiene compagnia, mi carica oppure perché semplicemente mi rilassa. In base a come mi sento in quel momento scelgo una canzone oppure al contrario quando non so che cosa fare ascolto una canzone e in base ad essa si modifica il mio umore.
Kevan: Mio papà mi ha insegnato che “la musica è inevitabile, la musica c’è sempre stata e l’uomo non ne potrà mai fare a meno” e questo diventa una parte anche fondamentale della quotidianità che ti condiziona, ti fa cambiare, ti fa crescere; la musica ha un potere incredibile. Il sogno di chi vuole fare l’artista infatti è dire qualcosa attraverso la musica, la grande soddisfazione di un’artista è poter parlare a tante persone e poter trasmettere un messaggio diventando, per quelle persone, un portavoce, un riferimento e questa secondo me è una delle cose più belle.
Enrico: La musica è un qualcosa di molto legato agli stati d’animo. Io per esempio alterno periodi in cui non ascolto nulla a periodi in cui invece non ne posso fare a meno. L’influenza che può avere sulle persone è un tema interessante, un tema già affrontato da Platone e Aristotele nell’antichità quando dicevano che la musica aveva grande influenza sui comportamenti delle persone stesse. Platone ne prendeva le distanze mentre Aristotele parlava della famosa catarsi; le persone ascoltano determinati tipi di canzoni perché risvegliano determinate emozioni.

 

Poiché io sono una persona curiosa e so che nell’animo di questi ragazzi ci sono molti sogni e progetti ho deciso  di formulare loro  una domanda atipica. Se ciascuno di voi potesse avere un desiderio da esaudire come lo utilizzerebbe?

Simone: fare il giro del mondo in 80 giorni o comunque visitare molti luoghi del pianeta.
Kevan: diventare l’artista che appunto possa fare le cose prima citate
Enrico: riempire San Siro di fan.

 

Con il nuovo album “Dedicato a…”  inizierete un tour che vi poterà in giro per l’Italia e vi offrirà la possibilità di presentare dal vivo i vostri brani.

Simone: Abbiamo lavorato sodo per la riuscita dell’album e siamo felici e contenti del risultato e delle canzoni. Per quanto riguarda il disco siamo curiosi di vedere, una volta uscito, come sarà il riscontro da parte delle fan.  Siamo curiosi anche dal punto di vista dei live perché ci porteranno in tour per l’Italia e a contatto con tutti i nostri fan, sarà fantastico poterli abbracciare tutti;
Enrico: il tema principale dell’album è l’amore e questo per quanto possa essere letto ed ascoltato non è mai abbastanza perché c’è sempre un modo nuovo per raccontarlo e perché tutti abbiamo bisogno di colmarci continuamente di amore, cosa saremmo senza di esso? Effettivamente rispetto all’EP precedente di Party Mega abbiamo affrontato la tematica in modo diverso e siamo molto meno spacconi e  molto più romantici e questa è un’anticipazione per chi leggerà l’articolo. 

 

I FreeBoys sono la dimostrazione di come, con piccoli sacrifici e una grande forza di volontà i sogni e la realtà possano convivere fra loro. Come tutti i ragazzi della loro età hanno un sogno a cui lavorano sodo ogni giorno per potersi migliorare, confrontare ed arrivare maggiormente al cuore dei loro fan. Hanno tanto da dire e da offrire al mondo e insieme possono rappresentare un esempio per tutti coloro che cercano di essere spronati a fare del loro meglio. Perché al di là del sognare in grande, al di là di salire su un palcoscenico e cantare si deve essere moralmente predisposti ad accettare ogni tipo di situazione si presenti lungo il percorso. Hanno 16 e 18 anni ma di esperienze ne hanno fatte abbastanza da poter incitare tutti noi giovani a non arrenderci mai e se talvolta le cose non vanno per il verso giusto non importa  perché nulla finisce mai definitivamente. Anzi proprio quando si fallisce si deve trovare la forza per rimettersi in gioco perché non c’è una fine se si continua un percorso, questa arriva solo quando decidiamo di abbandonare tutto.
A questo punto lasciamo da parte i pregiudizi nei confronti della prima boyband italiana, acquistiamo il loro cd ed ascoltiamo ciò che hanno da dirci e da offrire, solo così sarà possibile rendersi conto che al di là di un insieme di parole e note c’è un messaggio ben più profondo lanciato da tre ragazzi che in breve tempo si sono ritrovati a dover capovolgere la loro quotidianità creandosene da capo una nuova.
Auguro dunque a loro  di poter diventare dei grandi artisti che gireranno in tour tutto mondo (magari in 80 giorni) comprendendo tra queste tappe un tutto esaurito a San Siro.

(Diletta Rosestolato)