Lo Stato Sociale è un gruppo indie-pop bolognese, formatosi a Bologna nel 2009. Nati dall’esperienza comune in un piccola radio, Radio Città Fujiko, si sono rapidamente evoluti in quello che oggi è uno dei gruppi maggiormente in voga della musica indipendente italiana. Dopo il primo album “Turisti democrazia”, si sono lanciati in un maxi tour durato due anni, in cui hanno mischiato date “concerto” a date più “cabaret” (tutta la leg chiamata “Tronisti della democrazia”). Dopo questi anni sempre in giro, annunciano l’uscita di un nuovo album con il singolo “C’eravamo tanto sbagliati”. Ed è subito successo strepitoso. Il disco, “L’Italia peggiore”, è uscito il 2 giugno ed è addirittura schizzato al primo posto in classifica, davanti a un nome non certo piccolo come Pharrel. Li abbiamo intervistati al MiAmi, in un assolato sabato pomeriggio, seduti per terra, tra uno stand di magliette artigianali e un chiosco della Heineken.



In molte canzoni parlate dell’amore. Da un lato c’è l’amore salvifico, come quello dello Stil novo, e dall’altro un’incapacità quasi ontologica di voler bene fino in fondo. Come questi due aspetti si coniugano nella vita di ogni giorno?

Lodo: Beh, spesso si parlava di due donne diverse! Ma poi è come le idee. Che non si compiono in quante idee e quindi ti fottono. Noi siamo cinque persone, siamo diversi per come impostiamo i nostri rapporti, però c’è questo denominatore comune: di avere bisogno dell’impossibile, di cercare l’impossibile e di rimanerci male perché è impossibile.

Checco: E’ un modo carino per dire che ci piacciono le ragazze… (Ride) 

Nel brano “Piccoli incendiari non crescono”, parlate di bruciare le cose. Cosa vuol dire? E’ una catarsi del mondo, per liberarsi dalle ipocrisie; o un modo per mettere a nudo la verità delle cose?

Lodo: Non so se c’è tutta questa cosa che ci vedi. Magari sì! Secondo me è vero ma è anche il contrario: è un istinto che ti viene in risposta a certi percorsi segnati, certe strade che devono andare in una direzione, gli orari fissi, i lavori sottopagati ma che comunque devi accettare e ringraziare, una condizione in cui ti devi costruire un certo tipo di famiglia , con un certo tipo di persone, con frequentazioni regolari, con amici non sbagliati… è un po’ quello! Tutte queste cose ci hanno insegnato che sono importanti, pero’ nel momento in cui ci insegnano che sono importati viene un po’ voglia di mandare tutto a monte.

Checco: Io l’ho sempre interpretato a modo tuo. La questione è che dall’alto ti viene imposto di vivere allo stesso modo e a volte ti ritrovi così oberato di condizioni sociali che ti va di mandare a quel paese la gente. In questo senso parliamo di bruciare le cose.

E quindi è la rivolta….

Lodo: La rivolta ha un’utopia davanti. Quel pezzo lì è perché io da ragazzino ho amato, per un paio d’anni circa, dare fuoco ai divani e ai motorini per strada. Poi ho smesso con il grande gesto, quello sì che è stato catartico, di buttare giù un motorino da una scogliera (ride)… Ma mentre la rivolta ha un disegno, cioè distruggiamo il mondo per farlo diventare in qualche altro modo, questo secondo me è un istinto che vien subito un passo prima: vale a dire, facciamo saltare in aria il mondo, perché istintivamente è così.

Fin dove può la critica? E’ in grado di sistemare le cose fino in fondo? Oppure ha dei limiti?

Lodo: Certo che ha dei limiti! Ne deve avere! Noi non siamo, Vladimir Lenin (che tra l’altro aveva dei limiti anche lui), noi facciamo canzonette. Il problema non è quanto la nostra pars costruens politica sia inattaccabile e sia in grado di farci vivere tutti in una società migliore, saremmo dei grandi, ma non ne siamo capaci. Noi facciamo delle canzoni che parlano di momenti in cui si avverte una spinta, che spesso può anche essere una spinta rivoltosa.

Checco: Poi si attribuisce un plus valore a un certo tipo di musica. Ma ricordiamoci che sono pur sempre canzoni. Chi le ascolta tende sempre a caricare un significato molto più grande rispetto a chi le scrive. È chiaro che ci si tiene alla proprie canzoni, ma sono sempre e solo canzoni.

Lodo: Se è una cosa che ti accompagna nel momento in cui stai progettando una società migliore, va benissimo; ma se il progetto di società migliore l’affidi ai tre minuti di una nostra canzonetta, forse hai fatto un po’ una cretinata… 

 

In “La musica non è una cosa seria” cantate: “Portami ovunque, ma che sia lontano da qui”. Ma vuol dire che non c’è più speranza qui?

 

Lodo: Indica la voglia di fuggire, e poi molte delle cose che mi stavano attorno in quel periodo mi avevano rotto le palle. E in realtà quel pezzo ho provato a scriverlo per Checco. Perché la sua maniera di cantare e di suonare l’ukulele mi ha sempre dato l’idea di distanze lunghe. Cioè, che ci fosse un orizzonte molto aperto mentre lui cantava. Sarà che lo faceva durante i sound check, che di solito sono all’ora del primo tramonto. C’era tutto un romanticismo che mi portava a immaginare cose lontane. Quello a cui mi fa pensare Checco è a un altro tipo di rivolta: non quella violenta in senso europeo, in cui si bruciano le cose etc… ma ad un tipo di rivolta che sia avere un altro sguardo sul mondo, essere lontani da certe dinamiche. Se vuoi, se proprio vuoi portarla a livello fenomenico, si tratta di tutto il discorso della non-violenza che loro là erano culturalmente in grado di fare, mentre noi no… 

 

Come l’ispirazione della quotidianità diventa canzone?

 

Checco: Allora, il principale scrittore dell’ultimo disco è stato Lodo. In generale il processo di scrittura avviene via mail. Uno butta giù un’idea, uno scheletro di quello che sarà il testo e gli altri poi ci mettono del loro. Io non ho contribuito particolarmente a questo disco, e nemmeno al precedente. Ho scritto giusto qualcosina.

Lodo: noi forse siamo l’unica band al mondo che compone collettivamente facendo girare delle mail. Poi quando troviamo una mail che ci piace, iniziamo a buttare giù due accordi. Rarissimamente si aggiunge o si toglie qualcosa, e lo si fa solo per esigenze di metrica.

Checco: Non c’è molta censura. O la cosa ti prende così com’è, o la lasci stare. Ci sono stravolgimenti solo se, per esempio, la canzone prevede un certo stacco e allora si vanno a spostare uno o due versi.

Lodo: fondamentalmente viene prima il testo, e poi adattiamo la musica. Molto di rado succede il contrario, forse solo in “Febbre”(dal loro primo EP, “Welfare pop”). È più quello che diciamo che quello che ci diciamo. Ma in generale è più una traduzione delle nostre chiacchiere, prima al bar, poi in radio e adesso in furgone. In quel senso poi, gli autori sono sempre collettivi. Perché anche il pezzo che scrivo materialmente io, o che scrive materialmente Albi, è un pezzo che respira una chiacchiera complessiva delle idee. Lui ad esempio non l’avrebbe mai scritta la canzone di cui abbiamo parlato prima. Però essa è nata comunque da delle idee che mi ha dato lui. 

 

Ed è per questo che il disco è così eclettico? Perché passate da pezzi con una forte impronta rock, a pezzi più di “caciara”, al teatro-canzone, che poi diventa “teatro-cazzone”, e così via…

 

Lodo: Sì, perché noi stiamo facendo questo sforzo difficile, che complica i rapporti perché nessuno ha un ruolo definito e può stare tanto in disparte o tanto centrale e non può davvero rifugiarsi in quel ruolo. Però è molto difficile riuscire a dare una realizzazione collettiva di una cosa e non sai mai se ci sei riuscito. Secondo me noi però per approssimazione ci stiamo avvicinando.

 

Come Bologna influenza la vostra musica?

 

Checco: Dal punto di vista dell’intrattenimento e della cultura è sicuramente una città molto fervida e probabilmente se non ci fosse stata l’opportunità di fare radio, Lo Stato Sociale non sarebbe mai nato. Perché lui e gli altri due (Alberto e Alberto) non si sarebbero mai incontrati. E poi è ovvio che crescere o avviare una band a Bologna ti porta dei vantaggi. Innanzitutto hai già tre club “grossi” dove suonare o comunque ascoltare musica ed entrare in un certo immaginario. Poi c’è l’università che ti concede di avere degli spazi e suonare e organizzare feste. Ci sono i centri sociali, c’è un forte movimento a Bologna. E per questo Bologna è stata molto importante per noi. Vedo molto simile Padova, per dimensioni e fermento artistico in generale. In una città che in un certo modo è piccolina, come Padova, d’estate hanno tre-quattro festival di musica diversa. E Bologna è abbastanza simile. C’è un sacco di roba da guardare e da vedere.

Lodo: Abbiamo delle ordinanze un po’ da coprifuoco… a Bologna alle 11.30 deve finire un concerto. Però almeno esiste un luogo dove suonare, quanto meno!

 

Come è nata la “Instant classic” e la collaborazione con Caterina Guzzanti?

 

Lodo: E’ nata con un mio amico una sera che guardavamo l’elenco delle foto profilo di una fan. Insomma, alla fine prendendola in giro, con ogni foto usciva qualcosa di divertente. E allora abbiam detto “Facciamo una canzone,”. Abbiamo inviato la mail, ognuno ha messo il suo contributo ed è venuto fuori questo elenco. Poi io volevo che la cantasse una donna, un po’ perché in “quello che le donne dicono” la donna la parte della donna la faccio io e non volevo ripetere lo stesso gioco. Poi volevo qualcuno capace di fare ridere, quindi tendenzialmente non una cantante, e mi è venuta in mente Caterina Guzzanti, che poi si è presa bene.

 

Ma dopo un successo così grande, e inaspettato, non temete un po’ la “svolta mainstream”?

 

Checco: Beh, siamo finiti primi in classifica. Siamo stati sopra Pharrel, che è abbastanza mainstream.

Lodo: Perché in Italia non si vendono più dischi. Poi un pezzo nuovo atteso, metti un giorno o due di esclusiva e la gente lo compra. Il nostro progetto non è mainstream-non mainstream, perché sono discorsi che sono destinati a morire. Io non riesco a ragionare nel modo di “ci sono quelle cose che vendono e fanno i numeri” e “ci sono quelle altre che no”. Infatti poi c’è Lo Stato Sociale che mette un giorno di esclusiva e va primo in classifica. L’hanno fatto, non so, trenta rapper in fila, e il rap è diventato il genere mainstream in Italia. Se lo facessimo solo noi l’indie probabilmente sarebbe il nuovo genere mainstream. Stiamo parlando comunque tutti di gente che, con l’ultimo disco che ha fatto, è entrata nella top ten. Gli Zen Circus, Brunori, Dente, Le Luci della Centrale Elettrica… Il nostro obbiettivo è portare ogni giorno a qualcuno in più quello che abbiamo da dire e portare un po’ di più di noi in tutto quello che facciamo.

Checco: Sicuramente non c’è nessuna svolta mainstream da temere. Noi abbiamo fatto e continueremo a fare quello che ci pare. Non abbiamo obblighi o contratti con nessuno. Nessuno ci dice “Adesso fate una canzone con questo ritornello”

Lodo: Anzi, le edizioni ce le comprano dopo che abbiamo fatto il disco! Poi adesso stiamo facendo dei grandi numeri e abbiamo l’editore major, che tra l’altro avevamo anche prima. E comunque non siamo così tanto “architetti” come ci viene attribuito, sia dagli esaltatori, sia dai detrattori. Ci vengono attribuite una sagacia e un’intelligenza nello studiare le mosse… In realtà noi facciamo quello che viene. Non progettiamo una presa di potere da nessuna parte.

Checco: su questo c’è più ingenuità che altro. Le cose le facciamo così, guardando un fenomeno con i nostri occhi e valutiamo cosa fare.

Lodo: Come la cosa di Emergency (per le prime due settimane le royaltes saranno devolute interamente all’organizzazione), che è un modo per dire “compra il disco” senza che a me dispiaccia di dirlo. A noi non arriva niente, al massimo 1 euro da dividere in in cinque. Metti 3000 copie vendute, che poi è un risultato incredibile, fanno 600 euro a testa.

 

Come è avvenuta la vostra formazione musicale?

 

Lodo: E’ avvenuta. Io proprio a caso. Checco ha avuto un periodo da ascoltatore.

Checco: C’è stato un periodo in cui ero un assiduo frequentatore di concerti e compratore di dischi. Poi gli impegni, l’università, le cose, ti fanno scegliere cosa fare nella vita. E quando ho accantonato un po’ la musica, è arrivato lo Stato Sociale. Perché, ricordati, noi siamo la morte della musica.

Lodo: E adesso è morto (ride)!

Checco: Ci si è un po’ messi con gli strumenti che avevamo in casa. Prima suonavo in una band del tutto simile allo Stato, ma che cantava in inglese. Poi hanno fatto un tour europeo e una reunion. Io Lodo l’ho sempre visto con una chitarra in mano a suonare a caso (ride)! 

(Gianluca Porta)