Un titolo che non si limita ad essere una pigra ripetizione di uno schema (nome di band usato a mo’ di eponimo in mancanza di idee migliori), piuttosto un riferimento a un gruppo assemblato in via d’emergenza, manipolo di uomini reclutati per un’impresa priva di scopo immediato e remunerativo. In apparenza fragile ed estemporanea come una missione di soldati scaraventati in trincea allo sbaraglio e senza alcuna concreta speranza di costruzione o di una via d’uscita per poter riedificare la parte di mondo da loro calcata e che odora già di macerie.



Il progetto Maremma Orchestra è questo tentativo estremo di riconquista, il dissotterramento di una rivelazione di bellezza a lungo perduta – e il cui fantasma vaga da lungo tempo – in attesa di essere nuovamente presa in carico da qualcuno che se ne faccia  portavoce. Il senso primo e ultimo di questo progetto sembra indicare che un vero desiderio di felicità per se stessi e l’umanità che cammina al nostro fianco, esige l’instancabile posa di piccole pietre di un lungo percorso dove fascino e fecondità di un passo formano un tutt’uno con il proprio antecedente.  



Lo si tocca con mano in quella che è la ricodificazione della matrice musicale dei brani prescelti per questa avventura d’amore e arte.  Sotto l’egida della produzione artistica e della direzione musicale del cantautore Filippo Gatti e di quella esecutiva di Ermanno Labianca, prendono corpo mescolanze e contaminazioni continue e vicendevoli tra musica leggera, d’autore e classica.  Il tutto non in nome di un malinteso gusto per il rivolgimento e il ghiribizzo, quanto per incuriosire e attirare l’ascoltatore mimetizzando il capolavoro originale sotto l’incipit di uno spunto diverso per poi ricondurlo alla forza della sua dimensione nativa. 



Si ascoltino (dopo l ‘introduzione di Terra), le riproposizioni de “L’Ultima Luna” e de “La Serie dei Numeri” dove si intravede – più che la direzione di un diligente remake – il senso più definitivo e convincente di un ritorno agognato che cresce come una invocazione che parte da lontano. Il capolavoro dalliano riemerge nella sua forza primigenia prendendo corpo da un arpeggio sospeso di chitarra acustica che nel suo giro di boa si ricongiunge al suo originale incedere incalzante per chiudersi con un intreccio di chitarra elettrica che rievoca le infuocate digressioni della sezione fiati. Il tono pulito ed espressivo di Alessia Piccinetti fa il resto rileggendo il canto sotto una lente più intima e sospirata.

Non è da meno il confronto con la vivace ballata branduardiana.  Qui la voce scorticata di Gatti innaffia di aromi inediti le strofe mentre Corale di Puccini, Briganti della Maremma  ed Orchestra Sinfonica di Grosseto si intendono a meraviglia nel tinteggiare le successive modulazioni esaltandone e rinnovandone il gusto rinascimentale.

La cavalcata strumentale di “Maremma Amara” coniuga tra loro le caratteristiche citate arricchendo il cocktail di folk e mediterraneità tra accelerazioni impetuose e sguardi nostalgici il cui testimone viene raccolto dalle sfumature celesti e bucoliche dell'”Amara Terra Mia” di Modugno.  Condotta dal canto della Piccinetti – qui denso di lacrime e popolanità – la celebre ballata si apre a una coda di archi che ne ridefinisce il lascito sulle coordinate sinfoniche che rappresentano un po’ il trait d’union del nucleo musicale del lavoro.

Ma il disco è vario e multiforme come lo scorrere imprevedibile dei giorni delle singole esistenze e così la malinconia lascia il posto a una fase finale di gioia e ricreazione che prende corpo in un dialogo leggero e frizzante tra ideatori e ispiratori ( “Conversazione col Bonelli”) per riportare alla luce quel memorabile concentrato di surreale goliardia de “La Marcia di Brancaleone” (dedicata a Monicelli che ne diresse la trasposizione cinematografica).  Si chiude con lo sguardo profondo e persistente di “Accordo”, un ultimo pensiero quotidiano davanti alla bellezza eloquente offerta dalla prospettiva sconfinata di un grande scorcio di mare (il cui suono chiude il disco).

In soli trentuno minuti viene riassunta – secondo l’intensità che può far capolino in un mondo di uomini e donne come quello di oggi – la dimensione del desiderio.  Di un amore inesauribile come quello che parte dalla lunga memoria di madri e padri che ce l’hanno custodito e lasciato in eredità per essere raccolto e riportato come nuova e desiderabile meraviglia da altre madri e altri padri che si sono messi alla ricerca del testimone smarrito di quell’esperienza.