Ogni vero artista è un uomo solo. Vede cose che gli altri non vedono, sente cose che gli altri non sentono, spesso e volentieri gli altri non lo capiscono o cercano sempre di giudicarlo, incasellarlo, definirlo secondo i loro angusti schemi, gli schemi di coloro che artisti non sono, ma sono sempre pronti a dire la loro. L’artista è un genio, è la sua solitudine è la maledizione che si porta dentro. Ma è anche una benedizione. Per capirlo basterebbe recuperare il significato originale della parola genio: dal latino genius, dal verbo genere, generare, creare. Dunque il genio non è una persona speciale, ma un lavoratore speciale. Crea in continuazione, perché se così non facesse soffrirebbe, impazzirebbe. Deve esprimere quello che lui riesce a percepire, a qualunque costo.
Claudio Chieffo in questo senso era un genio. Era anche un artista ovviamente. Ed era un uomo solo. Era “l’uomo solo davanti al mare”. Non era solo fisicamente, tanto più che amava, da buon romagnolo verace, la compagnia, le risate, gli abbracci. Uno degli ultimi suoi ricordi che ho è di una volta a un grande convegno in mezzo a migliaia di persone: mi sentii preso alle spalle e sollevato potentemente in aria da due braccia forti. Era lui che mi aveva riconosciuto in mezzo alla folla ed era venuto a cercarmi. Lo sentii ridere dietro di me, capii che era lui. Nel senso della compagnia, Claudio Chieffo non era solo. Nel senso dell’arte lo era.
Se c’è una cosa positiva in questi anni di separazione, di mancanza fisica da quel 19 agosto 2007 è che le sue canzoni cominciano, almeno per il sottoscritto, ad apparire per quello che veramente sono: bellissime. Capita di riscoprirne sempre di nuove, per caso o per necessità. Confine ad esempio, perché l’uomo fermo davanti al mare con occhi di bambino e la faccia segnata dal tempo mi sono accorto di essere io. Ma naturalmente è anche Claudio Chieffo. L’uomo fermo davanti al mare che cerca un segno quando è già sera e i marinai stanno tornando alle loro case e quella vela all’orizzonte desiderata così ardentemente che invece non sembra comparire mai, è sempre più quell’uomo che io sono. Solo un grande artista sa cogliere quel desiderio che accomuna ogni uomo, che ogni uomo porta dentro di sé ma non sa esprimere o, peggio, non si accorge neppure di avere. Quella melodia potentissima così carica di mestizia e nostalgia che emerge da questo brano appare oggi più bella e confortante che mai.
Un vero artista è anche un profeta. Questa canzone scritta nel 1994 oggi a sette anni dalla morte di Claudio Chieffo appare come profezia di quello che per lui si sarebbe compiuto ben presto. “lo ti porto il cuore, il cuore e una canzone sempre vera: ho combattuto la mia guerra, la mia corsa finirò e conservo la tua Luce come il bene più prezioso”. E allora l’uomo solo davanti al mare vede quello che nessuno altro può vedere e sente quello che nessun altro può sentire. I mille angeli di Dio che lo accompagnano e quel mare, immenso e infinito, che sta per accogliere il suo respiro, sono per Chieffo una evidenza insopprimibile. Io, spero che un giorno sarà così anche per me. Per questo non smetto di ascoltare questa canzone.
A Claudio Chieffo sono state date mille etichette spesso fasulle e riduttive. Claudio Chieffo non lo hanno mai capito veramente in molti. Non importa. L’opera di un genio, il duro lavoro di questo lavoratore speciale, è qui, disponibile per tutti. Oggi più importante che mai.