Domenica 3 agosto scorso, l’evocativo scenario dell’Anfiteatro Falcone e Borsellino di Zafferana Etnea (CT) ha ospitato l’unica data siciliana degli Afterhours nel tour celebrativo di Hai Paura del Buio? 

Il capolavoro del gruppo meneghino è stato ripubblicato in doppia versione: il consueto remastering e Reloaded, in cui artisti italiani e internazionali (Il Teatro degli Orrori, Le Luci della Centrale Elettrica, Marta sui Tubi, Mark Lanegan, Joan As Police Woman e altri) hanno reinterpretato con la band l’album del 1997. 

I borbottii del più grande vulcano d’Europa hanno accompagnato l’evento live, quasi a sottolinearne la grandezza. Basti pensare che il pubblico ha resistito meno di dieci brani prima d’abbandonare i posti a sedere (d’ordinanza, data la natura del luogo), per precipitarsi a rotta di collo nello spazio senza transenne di fronte al gruppo. A osservarla dall’alto, sembrava una colata lavica umana! Duro lavoro per la security, che però ha sopperito al simpatico imprevisto – ripetutosi più volte – dimostrandosi all’altezza, come l’organizzazione dello show e la cittadina etnea, avvezza a ospitare chicche culturali di livello. 

Manuel Agnelli ha tenuto in pugno l’audience anche in quei momenti di “panico”, sincerandosi che nessuno si facesse male. Una dimostrazione d’affetto da un pubblico che ama incondizionatamente la più grande band indipendente italiana, di casa a Catania dopo avervi realizzato Ballate per Piccole Iene (2005), il suo lavoro più bello dopo quelli degli anni ’90. 

Manuel Agnelli, Xabier Iriondo, Giorgio Prette – gli storici Afterhours – con Giorgio Ciccarelli, Roberto Dell’Era e Rodrigo D’Erasmo, a farne forse la loro miglior formazione di sempre, hanno ricambiato con un concerto che si ricorderà nel tempo. Oltre due ore e mezza di rock intelligente, passando in rassegna l’intero HPDB? nella sua scaletta originale – come d’uso in questo tour – per poi andare dritti al cuore di Padania (2012, ultimo lavoro in studio), fino agli inni Strategie, Non è per sempre, La verità che ricordavo, Bye bye Bombay, Quello che non c’è e Ballata per piccole iene

Prima dell’evento, avevo  parlato con il sempre disponibile Giorgio Prette, batterista concreto e interlocutore gentile. 

Che ricordo hai delle registrazioni all’epoca di HPDB? 

Bellissimo, anche se è stato un percorso un po’ travagliato: lavoravamo all’album senza avere un contratto discografico ma proprio per questo in un clima tenace che, dopo una lunga gestazione di diciotto mesi, ha prodotto un risultato di libertà creativa ed espressiva meraviglioso. Risulta evidente sia nell’eterogeneità delle canzoni sia nella lunghezza del disco, che fu come la chiusura di un cerchio, il compimento di qualcosa solo accennato nel precedente Germi (1995, nda). C’è stato anche molto divertimento, a maggior ragione proprio perché avevamo delle difficoltà pratiche che – però – non hanno influito sull’atmosfera. 

 

Quando ripensi al Giorgio Prette d’allora, con quale stato d’animo lo fai? 

Ero giovane, avevo 32 anni e ci ripenso con tenerezza. A livello personale era un periodo particolare, venivo da situazioni difficili. Portare a termine HPDB? e riuscire a laurearmi (in giurisprudenza, nda), entrambe vicende lasciate in sospeso da tempo, furono per me la riscossa dal periodo negativo da cui venivo. 

Poi HPDB? uscì e venne salutato, da critica e pubblico, come il Nevermind italiano. 

Ci fu una risposta entusiastica, con critiche molto positive. A livello di stampa ebbe riscontri enormi, per l’epoca: mi riferisco ai mezzi di promozione e visibilità di allora. Oggi magari fa ridere ma, nel 1997, finire sulle copertine di tutte le riviste di settore e passare su Videomusic – che trasmise molto i nostri video – fu assolutamente determinante: fece la differenza, come dimostrarono le presenze ai concerti del tour. Al di là dell’aspetto artistico – che lascia un po’ il tempo che trova: dopo 14 anni abbiamo altri gusti – HPDB? è stato fondamentale perché ci ha permesso di fare il salto di qualità, lasciando i lavoretti saltuari che facevamo e buttandoci a capofitto, per provare a vivere di musica. 

Quale brano di HPDB ti piace sempre suonare e quale invece, nella nuova veste della riedizione, ti sei scoperto a risuonare con piacere? 

È sempre difficile selezionare, però dal vivo il pezzo che mi emoziona sempre è Voglio una pelle splendida, con cui ho un legame particolare. Nella riedizione mi ha dato soddisfazione reinterpretareRapace, perché in fase di registrazione ho potuto migliorarne il sound rispetto all’originale. All’epoca, registrando su nastro e per il batterista soprattutto, non c’era la possibilità di rifare le parti se qualcosa non andava. Era tutto analogico, tutto più umano. Ricordo che – nei provini – avevamo fatto questa versione di batteria che era la più bella, la più sciolta ma con un suono di rullante non entusiasmante. Provammo a correggerla ma rimase quella. Nella nuova edizione ho potuto rifarla e l’ho vendicata! Dal punto di vista della resa sonora, penso sia il pezzo che ci ha guadagnato di più.

Fra gli ospiti di Reloaded chi ti ha colpito di più? 

Per motivi diversi, direi: Edoardo Bennato, Finardi e i Luminal. 

 

A Savignano sul Rubicone (FC) – 24 giugno 2011, dopo aver aperto il vostro concerto con i catanesi Nadiè – ho assistito dal palco alla prima data con Xabier Iriondo (storico chitarrista della band, nda) di nuovo con voi dopo 10 anni: gli Afterhours in formazione originale. Com’è stato per te? 

Molto emozionante, al di là del suonare insieme, perché il rapporto personale tra di noi non si era mai interrotto: per me Xabier è come un fratello. Nel ritrovarsi, c’era sia l’emozione di risuonare il repertorio creato insieme sia l’eccitazione di riproporre con lui i brani scritti durante gli anni della sua assenza. Quindi, revival e novità allo stesso tempo! 

 

Padania vi è valso la Targa Tenco: un disco di musica difficile per tempi difficili, che dal vivo assume imponenza. 

Mi sembra davvero una definizione perfetta: io non avrei proprio niente da aggiungervi! 

 

Lo scorso marzo, a Milano, ho notato molte telecamere su e giù dal palco. È prevista un’uscita video per continuare le celebrazioni di HPDB? 

Sì, erano lì per le riprese di un film, proprio su quel concerto: verrà pubblicato da Feltrinelli, probabilmente in autunno. È in fase di ultimazione per il montaggio e il sonoro. 

Gli Afterhours hanno attraversato due fasi di rock italiano: quella nata con voi e l’etichetta Mescalnegli anni ‘90 e l’odierna, che avete documentato nella compilation Il paese è reale, lanciata col vostro omonimo brano di Sanremo. Differenze? 

È un discorso non facile, come fare paragoni calcistici fra i campioni del passato e quelli del presente! Il contesto è cambiato. La scena allora era più ricca e variegata – indipendentemente dal genere e dalla provenienza geografica – perché in quel periodo le band cresciute sottobosco avevano raggiunto il massimo potenziale e sono esplose, dopo anni di attività. Le case discografiche, in crisi di talenti nei ’90, scoprirono questo mondo underground italiano e trovarono una miniera d’oro. Adesso è un po’ più indistinto: si è affermato un certo professionismo, paternalistico nei confronti degli artisti. C’è uno schiacciamento creativo: non che non ci sia talento – anzi – ma gli artisti osano di meno, sfondando meno muri creativi. Quel tipo di professionismo, inoltre, ha curato di più l’aspetto estetico. 

(Giuseppe Ciotta)