La 69sima edizione della Sagra Musicale Umbra (6-24 febbraio) ha quest’anno come tema La Libertà. In un anno in cui numerosi festival (da Ravenna a Salisburgo) ricordano il centenario dall’inizio della prima guerra mondiale, La Grande Guerra per antonomasia, la Sagra, come sempre dedicata alla musica dello spirito’(ossia alla musica rivolta verso l’Alto, celebra i 35 anni dalla caduta del muro di Berlino.
La prima giornata della Sagra (il cui programma integrale si può studiare a [email protected],) ha due programmi che difficilmente ci si attenderebbe di trovare nel maggior festival italiano di musica dello spirito. Nel pomeriggio, a Piazza della Repubblica vengono intonati i cori di Grosset e Cherubini della Rivoluzione francese. La sera, al Teatro Morlacchi, un evento eccezionale: inizia da Perugia la tournée europea di “Die Entfürung aus dem Serail” di Wolfgang A. Mozart nella edizione critica della Akademie für Alte Musik di Berlino; dirige René Jacobs, in buca ‘La Stagione Armonica’; il cast annovera Robin Johannsen, Mari Eriksmoen, Mauro Peter, Julian Prégardien, Dimitry Ivashchenko, Cornelius Obonya.
L’opera verrà registrata da Harmonia Mundi, con cui Jacobs sta pubblicando i maggiori lavori teatrali di Mozart. Sarà presentata in versione integrale, ossia con anche la parti parlate che vengono spesso espunte da versioni teatrali in Italia; le parte parlate verranno accompagnate da musica suonata al ‘forte piano’
Cosa c’entra la libertà, e la musica dello spirito, con un lavoro che si svolge in un harem – il serraglio delle traduzioni nostrane – e che spesso viene considerata una ‘turquerie’, una commedia farsesca di impronta medio orientale – stile che andava di moda nel Settecento? Ad esempio, è in repertorio da oltre dieci anni alla Komische Oper di Berlino, una regia di Calixto Bieito, in cui il serraglio è un bordello sadomaso; in stanze di plexiglas varie coppie si esibiscono in varie posizioni del Kamasutra. I “nostri” scappano rivoltella alla mano facendo strage dei frequentatori del bordello. Il Pascià viene ucciso, mentre tenta un ultimo abbraccio con Kostanze, che nella confusione generale si suicida (probabilmente pensando che a letto Belmonte è inferiore al Pascià). La lettura musicale (il primo interprete dell’allestimento di Bieito fu Kirill Petrenko che oggi dirige il wagneriano Der Ring a Bayreuth) è piena di brio.
In effetti, “Die Entfürung aus dem Serail” non è una farsa. Mozart era stata cacciato, letteralmente a calci nel sedere, dal Conte Arco, ciambellano dell’Arcivescovo di Salisburgo sia dal servizio presso il Principe-Arcivescovo (che gli procurava, oltre ad un piccolo stipendio, vitto ed alloggio a Vienna) sia dall’abitazione in fitto nella capitale, aveva trovato ospitalità presso la Signora Weber (una vedova di cui avrebbe sposato la figlia) e, convinto della sua bravura, si lanciava come musicista libero professionista, rinunciando ad opportunità che gli venivano offerta da impresari londinesi e dal Re di Prussia.
L’Imperatore Giuseppe II (massone cattolico, quindi illuminista) si era lasciato entusiasmare dalla possibilità di varare un teatro in musica nazionale; aveva abrogato la prassi di affittare il Teatro Imperiale a impresari (per lo più italiani) per farlo diventare parte integrale “della Casa Imperiale e della Nazione”; incoraggiava le opere in tedesco, iniziando dal Singspiel (già molto diffuso nel Nord) in cui l’azione si dipanava recitata ma era interrotta da numeri musicali (ben differente dall’opera “buffa” italiana in cui i “recitativi” erano cantati ed accompagnati dal clavicembalo). Aveva anche lanciato il “Giuseppinismo”, un tentativo di riforma della Chiesa alla britannica, mantenendo i riti ma sostituendo il Papa con la propria Imperial Persona; molti conventi di suore vennero chiusi e le religiose, spesso addestrate come cantanti, si diedero al teatro.
In questo clima, un po’ confuso e disorientante per non pochi sudditi dell’Impero (nonché caratterizzato da tensioni con la Santa Sede), nasce “Die Entfühung”. Presentata al Burgtheater (Teatro del Borgo, quindi del popolo, lontano dalla pompa di quello imperiale) fu, lui vivente, l’opera di maggior successo di Mozart (purtroppo allora i “diritti d’autore” non erano regolamentati così efficacemente come lo sarebbero stati nell’Italia della seconda metà dell’Ottocento (in gran misura, grazie a Giuseppe Verdi ed alla Casa Ricordi ed alle loro iniziative contro “la pirateria musicale”). Se lo fossero stati, Mozart avrebbe potuto vivere sereno l’ultima fase della sua breve esistenza terrena. Fu una delle poche opere mozartiane che restarono in repertorio durante l’Ottocento e la prima metà del Novecento, anche se in Italia arrivò solo nel 1935.
Mozart era un sostenitore della necessità di un teatro d’opera nazionale – tedesco (si veda l’appassionata lettera al padre del 5 febbraio 1783) e non era nuovo al Singspiel – il giovanile “Bastien und Bastienne” e l’incompiuto “Zaire” – ma era alle prese con un libretto pasticciato di Gottlied Stephanie, tratto da una commedia di Christoph Friederich Bretzner, tratto, a sua volta da fonti inglesi (tra cui una vera e propria commedia musicale). In aggiunta, Mozart aveva a disposizione cantanti di maturo successo che imponevano le loro regole: l’aria più nota del soprano (“Martern der Arten”) era un’aria di bravura per concerto dalla Caterina Cavalieri protagonista della prima rappresentazione. Sotto il profilo musicale, il lavoro presenta una mescolanza di stili incompatibili tra loro: dal “vaudeville” ai duetti ed ai terzetti da opera comica, a numeri da opera seria, ad echi di cantate di chiesa.
Sotto il profilo drammaturgico viene di solito interpretato come una settecentesca commedia in musica buffa vagamente anti-orientale; quindi, lazzi, frizzi e allusioni sessuali a volte anche pesanti, e con più di un pizzico di razzismo. In alcune letture, questo stile viene mescolato a quello di una “pièce à sauvetage”, dramma in prosa od in musica basato su un “salvataggio”, genere teatrale che sarebbe diventato di moda una decina di anni più tardi, all’epoca della rivoluzione francese, e di cui l’esempio più grande è “Fidelio” di Beethoven.
Ed in effetti, al pari di ‘Fidelio’ è un inno alla libertà. Il vero protagonista è il solo che non canta: il Pascià Selim , prototipo del sovrano illuminista, che perdona tutti (anche coloro che hanno ucciso suo padre) e concede a tutti la libertà, pur avendoli ‘presi sul fatto’ mentre stavano scappando dal ‘serraglio’. E’ esecuzione da vedere e da meditare.