Difficile, quando si tratta di artisti dalla carriera ultra decennale e costellata di tanti capolavori, definire il disco migliore. Che poi di fatto tale definizione è sempre o quasi una scorciatoia per non impegnarsi in ascolti integrali, approfonditi, di cui non abbiamo il tempo o la voglia. E’ un dato di fatto però che le espressioni migliori, nel caso della musica almeno, si ritrovino a giovane età, quando l’artista butta fuori in pochi, essenziali colpi tutto quanto ha portato dentro nel corso della sua maturazione. C’è un fuoco che brucia, una esigenza di imporsi, una ambizione sana, una esplosione creativa che nella storia del rock ha visto tutti o quasi fare i loro dischi migliori in un arco brevissimo, dai 20 ai 25 anni. Ovviamente ci sono le eccezioni, ma rare e dalle motivazioni particolari.
Per quanto abbiano poi prodotto lavori egregi, talvolta contenenti anche diversi capolavori, è infatti onestamente impossibile paragonare quanto un Dylan, un Paul McCartney, un Bruce Springsteen, Jagger o Richards abbiano fatto prima dei loro trent’anni a quanto è venuto nel resto della loro carriera. Van Morrison rientra nella categoria, ma potrebbe esserci una eccezione, e potrebbe proprio essere un suo disco.
Nel 1991Van Morrison ha 46 anni, si appresta a girare la boa dei 50, è sulle scene da quando ne aveva 20. Ne ha fatti di capolavori, dischi imprenscindibili come quelli con i Them, e poi da solista lavori come Astral Weeks, Moondance, Tupelo Honey, Saint Dominic’s Preview per citare solo gli anni 70. Nel decennio successivo, a differenza dei suoi coetanei incapaci o quasi di pubblicare un disco decente, ne ha messi fuori di più che dignitosi, ad esempio No Guru No Method No Teacher o anche Irish Heartbeat. Ma è con Hyms to the Silence che mette a segno il colpo che nessuno si sarebbe aspettato, e che con il passare degli anni, a fronte di lavori incisi in fretta e con apparente scarsa voglia, rimane forse il suo ultimo grande disco e comunque uno dei cinque suoi migliori, almeno per chi scrive.
Hyms to the Silence è anche un doppio vinile, il primo della sua carriera anche se si sa che con l’avvento del cd quasi ogni compact per la sua durata potrebbe essere stato un doppio vinile dei tempi. Ma Hyms to the Silence viene pensato proprio per essere un doppio album, perché qui di riempitivi non ce n’è manco uno. E’ invece l’incontenibile testimonianza di una genialità in fase esplosiva in maniera formidabile.
Da tempo, superati i 40, l’irlandese si era avvicinato al tema del passato: qua il ricordo della propria adolescenza diventa uno dei due temi portanti del disco. L’altro è una religiosità semplice e spontanea, una dichiarazione che vuol far piazza pulita dei recenti trascorsi in cui, per riempire l’ansia esistenziale, Morrison si era dedicato pure a Scientology. Ma già ai tempi di No Guru No Method No Teacher, quando nel brano In the Garden contenuto nel disco cantava, aveva fatto chiarezza: “nessun guru, nessun metodo, nessun insegnante, solo io, te e la natura e il Padre il Figlio e lo Spirito Santo”.
Dal punto di vista musicale in Hyms to the Silence Van Morrison spazia in tutto quanto aveva fatto in precedenza nella sua carriera con freschezza e spontaneità inarrivabili. Blues, folk, rock, jazz, gospel, folk, musica irlandese: è una esplosione senza limiti. Non solo. Si avventura anche in territori inediti e coraggiosi, come lo spoken word, la recitazione di testi poetici su accompagnamento musicale. E poi la sua voce.
Da sempre giustamente considerata la più bella voce black della musica bianca, soprannominato il leone di Belfast, Van Morrison canta come raramente ha fatto nel recente passato. Si sente quanto durante queste incisioni si sentisse libero come non mai: ogni vocale, ogni sillaba è pronunciata con potenza declamatoria, le note più ardite vengono raggiunte come fosse uno scherzetto. Ascoltarlo in questi brani è una gioia rara, il coinvolgimento che ne scaturisce è totale, è difficile stare fermi.
Ironizza, prende in giro, fa il finto burbero o lo è davvero, come in Why I Always I Have to Explain e All Saints Day, come dire, ma lasciatemi in pace. Ricorda le strade dell’infanzia, una Belfast del cuore come una vecchia fotografia virata seppia in On Hynford Street, si getta nel dump blues più scatenato comeProfessional Jealousy, canta il jazz nella lussureggiante So Complicated, sfodera quello scat unico e irresistibile coniato ai tempi di Astral Weeks in Take Me Back quasi dieci minuti di piroette vocali. Tira fuori anche uno dei suoi capolavori assoluti d’autore, la commovente Carrying a Torch che non sarebbe stata male su “Moondance”.
Come nei giorni antichi in cui incideva uno deo più bei dischi dal vivo di tutti i tempi, It’s Too Late to Stop Now, il leone è tornato a ruggire.
E poi ci infila dentro qualche cover. E’ quel qualcosa in più che definisce il disco come uno sforzo a tutto tondo. Prima è il classico inciso anche da Elvis I Can’t Stop Loving You con l’accompagnamento degli amici Chieftains, scoppiettante e travolgente. Poi, ancora con i Chieftains, Be Thou My Visions con il vecchio battito di cuore irlandese sul risvolto della giacca. E alla fine, la bomba.
See Me Through Pt. 2 (Just a Closer Walk with Thee) è meet cover e meet no. E’ la seconda parte, dice il titolo, di un pezzo dal titolo uguale inciso ai tempi dell’album “Enlightnement”. Ma Morrison scompiglia le carte. Il pezzo infatti inizia con il classico della musica di New Orleans, Just a Closer Walk with Thee, un gospel vecchio come il mondo registrato da dozzine di artisti, anche come strumentale. A Closer Walk è forse il brano più suonato ai funerali di New Orleans e riprendendolo Van Morrison ci porta di schianto in una America antica e profonda, visioni di facce e colori che si mischiano con la sua Belfast. E’ musica universale, è un fremito dell’anima incontenibile quello che ascoltiamo con un cantante in forma divina e un accompagnamento corale impetuoso. Poi, dopo un assolo di Hammond scontato ma perfettamente centrato con l’atmosfera che stiamo ascoltando, succede qualcosa di inaspettato.
Van prende tutti alla sprovvista, forse anche la sua band e parte impetuoso a improvvisare versi che gli escono al di là della sua stessa volontà, come se fosse posseduto solo lui sa da chi. E’ inarrestabile ed è esaltante, mentre la band e il coro dietro di lui subiscono con gusto quanto sta succedendo e si fanno sempre più incalzanti. Ed ecco cosa dice: i giorni del vino e delle rose, il ricordo dell’adolescenza, jazz e blues, folk e poesia e ancora jazz. Voce e musica, silenzio e poi voce. Memorie, ricordi riportami a Hymford Street e ad Hank Williams, Louis Armstrong, domeniche pomeriggio di inverno. Prima, prima, prima che ci fossero televisioni e rock’n’roll, prima, prima, guardami dentro: solo una passeggiata al Tuo fianco.
See me through days of wine and roses
By and by when the morning comes
Jazz and blues and folk, poetry and jazz
Voice and music, music and no music
Silence and then voice
Music and writing, words
Memories, memories way back
Take me way back, Hyndford Street and Hank Williams
Louis Armstrong, Sidney Bechet on Sunday afternoons in winter
Sidney Bechet, Sunday afternoons in winter
And the tuning in of stations in Europe on the wireless
Before, yes before it was the way it was
More silence, more breathing together
Not rushing, being
Before rock `n’ roll, before television
Previous, previous, previous
See me through, just a closer walk with Thee
E’ qualcosa di unico e di irripetibile, un flusso di coscienza ispirato da chissà quale visione, da quale moto del cuore e dell’anima. La musica incalza in crescendo. Quando sembra che non sappiamo cosa potrà accadere, tutto si placa. La musica riconfluisce di nuovo là dove era partita ed esplode questa volta con un coro gospel di un milione di voci.
Consapevole o no, Van Morrison ha catturato su disco un momento di straordinaria gioia musicale, quando il cuore sobbalza davanti a qualcosa di più grande dell’artista stesso e rimbalza in faccia all’ascoltatore. Una cosa è certa: né lui, l’artista, né l’ascoltatore saranno più le stesse persone. E’ il miracolo della musica che ci attraversa e ci squarcia in un milione di piccoli pezzi.