King Arthur , ‘semi-opera’ di Henry Purcell su testo di John Dryden, arriva in Italia dopo circa 325 anni dalla prima londinese, di cui si hanno tracce (recensioni giornalistiche) nel giugno 1691. La prima italiana sarà a Rimini il 16 settembre, nell’ambito della Sagra Malatestiana; si vedrà, poi, a Roma nel quadro del RomaEuropa Festival a metà ottobre e successivamente in varie città italiane e forse straniere. E’ un evento importante per il suo significato musicale e religioso-filosofico.
La messa in scena, come di consueto alla Sagra Malatestiana, è affidato ad un gruppo di avanguardia, il Motus creato ed animato da Daniela Nicolò che ci sottolinea come il lavoro sia un terreno di incontro fra musica e parole assolutamente originale in cui i suoni sono strumenti di metamorfosi che svelano una potenzialità ambigua. Il canto è affidato a presenze sovrannaturali, spiriti o figure mitologiche, personaggi secondari che non hanno diritto di parola, mentre i veri protagonisti, recitano o declamano. Da una tale dialettica – rara nella storia del teatro occidentale – derivano il carattere ibrido del lavoro, detto “semi-opera”, e la sua anomalia fascinosa e unica.
Nel testo, scritto nel 1684 dal poeta John Dryden, i personaggi commentano le loro azioni e si avventurano spesso anche in micidiali riflessioni sul teatro e il suo stesso farsi, sul rapporto con la critica e il pubblico. Nel 1690, mutato il regime politico in cui l’opera era stata commissionata, il drammaturgo chiese a Purcell di comporne le musiche. Artù per i Britanni e Oswald per i Sassoni, si specchiano in Merlino e Osmond, replicati a loro volta nei loro magici serventi, Philidel e Grimbald, perfetti equivalenti di Ariel e Calibano, in una vertigine di doppi… Un po’ come accadeva – sottolinea Daniela Nicolò – nella Seconda Guerra Mondiale, quando Churchill e Hitler avevano i loro rispettivi stregoni che inviavano incantesimi guerrieri sopra le onde.
La passione tra Arthur, spesso in preda a dubbi e assai disamorato della sua professione di conquistatore, e la non vedente principessa Emmeline, ha sullo sfondo il rumore assordante del conflitto, quello tra gli dei del paganesimo germanico ed il mondo classico e cristiano
Gli eventi del King Arthur conducono infatti alla nascita di una nazione in un momento politico convulso, in cui lo scrittore doveva rivisitare il proprio ruolo, rispetto alla società e alla corte.
Sotto il profilo musicologico – avverte l’ensemble Sezione Aurea che ne curerà l’esecuzione – King Arthur stimola oggi due riflessioni: la prima deriva dal genere – sperimentale in quanto semi-opera – come ibrida combinazione di recitazione, canto, danze, brani strumentali e macchine sceniche; la seconda è legata alla tradizione del testo musicale, della partitura o delle parti staccate La partitura manoscritta originale non è sopravvissuta al tempo, ma gran parte di essa è rimasta in possesso del Dorset Garden Theatre, dove la prima venne seguita da cento repliche, e venne usata per le riprese nei decenni successivi, fino ad essere copiata, integrata ed in parte pubblicata nei primi anni del Settecento.
Sezione Aurea intende offrire una rivisitazione musicale storicamente attenta. Le fonti principali sono state individuate nella seconda ristampa (1702) e nella seconda edizione (1712) del King Arthur, a complemento delle due diverse lezioni conservate a Salisbury e al British Museum.
Nella storia delle produzioni successive del King Arthur – che dal 1784 appare più frequentemente con il titolo Arthur and Emmeline – si assiste a continue sperimentazioni nell’organizzazione dei ‘numeri’, negli organici e nella diversa formazione delle compagnie, con equilibri sempre diversi tra le parti recitate e cantate (come nelle versioni rimaneggiate di Henry Bishop al Covent Garden del 1819 o in quella di William Hawes per il Lyceum del 1857).
Per la nostra esecuzione,precisa Sezione Aurea, si è cercato di elaborare un originale equilibrio strumentale, che tenesse conto della nuova lettura drammaturgica, non prescindendo dal confronto serrato con le recenti letture musicali di Pinnock, Gardiner, Christie e Niquet.
Sezione Aurea intende offrire alla lettura drammaturgica alcune tra le molteplici sfumature del dettato musicale purcelliano. Nella famosa Aria del Freddo, che vibra attraverso l’insistita figura del tremulo, il tema iniziale costruito su cellule musicali ripetute in monotona sequenza, non esercita solo un immediato impulso retorico ad evocazione del ghiaccio, ma suggerisce un’intenzione più profonda, della voce, del gesto e dell’azione scenica e pone le sue radici nella tradizione francese. Si pensi alla Isis di Lully ed in particolare, al Choeur des Trembleurs che provocherà infinite suggestioni anche dopo Purcell, ad esempio nell’Inverno delle Quattro stagioni vivaldiane, dove il gelo viene quasi reso pittoricamente dalle crome che si ripetono senza apparente ritmo o melodia.