Ne IlSussidiario.net del 29 agosto abbiamo ricordato come la Sagra Musicale Umbra (6-14 settembre, ha come tema conduttore ‘La Libertà’ in ricordo dei 25 anni dalla caduta del muro di Berlino. In ciò, anticipa l’inaugurazione della Scala che il prossimo 7 dicembre sarà dedicata a Fidelio di Ludwig van Beethoven.



Tra i numerosi concerti ascoltati (oltre alla prima giornata di cui si è trattato il 29 agosto scorso) di grande rilievo quello eseguito il 7 settembre al Museo di San Francesco di Montefalco. «La libertà porta sempre con sé l’immagine antitetica dell’oppressione e della tirannide – spiega Alberto Batisti, Direttore artistico della Sagra – e per questo abbiamo chiesto al Coro del Maggio Musicale Fiorentino di pensare a un concerto che esprimesse il valore della Libertà».



Hanno affiancato il Coro del Maggio, l’Ensemble Strumentale dell’Orchestra da Camera di Perugia e il complesso di percussioni Tetraktis, l’ensemble strumentale dell’orchestra da camera di Perugia diretto da Lorenzo Fratini, nonché Marco Scolastra e Filippo Farinelli al pianoforte.

Iniziamo dalla seconda parte del concerto dedicata ad un trittico di grande rilievo, raramente eseguito in Italia, I Canti di prigionia di Luigi Dallapiccola. «Stavo lavorando alla mia prima opera Volo di notte quando presero a circolare strane voci che il Fascismo potesse dare il via, dopo l’esempio hitleriano, ad una campagna antisemita  Avrei voluto protestare, ma insieme sentivo che ogni mio gesto sarebbe stato vano. Solo attraverso la musica avrei potuto esprimere la mia indignazione  Proprio in quei giorni avevo terminato la lettura della ‘Maria Stuarda’ di Stefan Zweig in cui avevo scoperto una breve preghiera scritta dalla regina negli ultimi anni di carcere. Tuttavia un solo brano mi sembrava troppo poco per esprimere completamente la mia protesta. Dovevo cercare altri testi, di altri prigionieri famosi, uomini che avevano lottato e creduto». 



Sono le parole scritte da Luigi Dallapiccola negli anni del dopoguerra per ricordare la nascita impulsiva dei tre Canti di prigionia nell’autunno del 1938 (in seguito alla promulgazione delle obbrobriose leggi razziali, che portarono il compositore a dimettersi dalla cattedra universitaria quando  aveva trentaquattro anni ed era sposato da pochi mesi con l’ebrea Laura Coen Luzzatto. I Canti, portati a termine nel 1941, si aprono con la Preghiera di Maria Stuarda, integrata con due pagine su testi di altri due «eretici» sul punto di morte: Invocazione di Boezio, che si presenta come una sorta di Scherzo, dedicata a Severino Boezio, il filosofo romano giustiziato dal re ostrogoto Teodorico intorno al 525, e il Congedo di Girolamo Savonarola, la pagina più drammatica e intensa, ma anche quella più ricca di sfumature, in cui il protagonista è Girolamo Savonarola, il predicatore domenicano condannato all’impiccagione e al rogo nella Piazza della Signoria fiorentina nel 1498. E’lavoro raramente eseguito in Italia non solo per l’impegno che comporta ma anche  a ragione dell’egemonia della cultura comunista (di cui Dallapiccola non volle mai fare parte): la sua opera in un atto Il Prigioniero veniva rappresentata nei Paesi dell’Est, principalmente all’Opera di Budapest , come un vessillo contro l’oppressione ed era un grande successo negli Stati Uniti. Il coro del Maggio Musicale e l’orchestra ne hanno fornito un’esecuzione intensa e commovente: mi auguro venga registrata in cd.

La prima parte aveva incluso composizioni di Ildebrando Pizzetti, Jav Ladislav Dussek e Darious Miluad. Pizzetti non era influenzato da considerazioni politico-morali quando completò la Messa di Requiem nel 1923. La pagina è frutto di quello studio minuzioso del canto gregoriano e delle musiche corali italiane del Quattro/Cinquecento compiuto in gioventù al Conservatorio di Parma sotto la guida di Giovanni Tebaldini ed è dedicata alla memoria della prima moglie, Maria Stradivari (membro di una famiglia discendente dal celebre liutaio), morta di tifo nel 1920.  E’ con queste parole che lo stesso compositore parmense descrive il suo stato d’animo nel comporre ilRequiem, un ‘espressione di rassegnazione non nei confronti del ‘dopo’ ma nel non comprendere il significato dell’avventura umana. E’ una composizione avvincente che ci riporta alle radici della musica italiana, come vennero riscoperte nel Novecento storico. Il Coro ha dato prova della sua eccellenza.

La mort d’un tyran è un pezzo sconvolgente di Darius Milhaud –  proposto a quarant’anni dalla scomparsa del grande musicista provenzale – scritto per coro, strumenti e percussioni, che prende come testo un estratto dalleHistoriæ Augustæ (400ca A.D.), in cui si narrano le vicende degli imperatori della tarda epoca romana, e se l’attendibilità di tutti i dettagli raccontati è messa in questione dagli studiosi, non vi sono dubbi sugli atti crudeli e infami commessi dal megalomane Commodo. Da notare che Milhaud in questo lavoro, scritto nel 1932, inventa un linguaggio originalissimo, un vocabolario «percussivo» che investe anche il coro, chiamato a declamare il testo senza un’intonazione definita. L’interazione tra percussioni e coro è fortemente drammatica.

Tra Milhaud e Pizzetti, la rarissima esecuzione (forse una prima assoluta per l’Italia) de La morte di Maria Antonietta, regina di Francia del compositore boemo Jan Ladislav Dussek (1760-1812), per pianoforte solo ed eseguita da Marco Scolastra. Dussek di quattro anni più giovane di Mozart, uno dei primi virtuosi del pianoforte a livello europeo. Dopo aver toccato molti paesi del Continente, nel corso dei primi anni passati a Parigi (1786-89) diventò uno dei musicisti preferiti di Maria Antonietta, abile suonatrice di arpa. Fuggito dalla capitale francese poco dopo la Presa della Bastiglia, è evidente che Dussek rimase molto scosso dall’esecuzione di Maria Antonietta nell’ottobre 1793, se a Londra scrisse di getto questa pagina in memoria della povera «autrichienne», così disprezzata dai sanculotti. Dieci brevi episodi, affascinanti e quasi leggeri tra . La mort d’un tyran di  Milhaud ed il Requiem di Pizzetti.