“Sono tornato, Obama”. Le immagini di “Jihadi John” come è stato soprannominato il killer di James Foley e adesso di Steven Sotloff e le sue parole di sfida fanno quasi venire in mente un film western, del tipo “Sfida all’OK Corral”. O anche una brutta e disgustosa versione di un classico di Sergio Leone. Gli ingredienti ci sono tutti: il deserto, la vittima in attesa di essere giustiziata, il carnefice con il coltello in mano invece di una Colt 45, il soprannome degno appunto di apparire tra il buono, il brutto e il cattivo, tra Clint Eastwood e Eli Wallach. E le sue parole di sfida: precise, pensate, impietose.

C’è un altro elemento però: “Jihadi John”, che si è meritato anche una pagina di wikipedia, è inglese, come si è capito dal suo accento da perfetto est londoner. Pare che nella sua vita precedente fosse un dj o anche un rapper. Il nome “John” l’ha preso in prestito da John Lennon in quanto la cellula terroristica di cui faceva parte a Londra si faceva chiamare i “Black Beatles” e i suoi compagni George e Ringo.

Non è la prima volta che i Beatles finiscono dentro a un episodio di orrore. Nel 1969 la gang di Charles Manson, quella che massacrò Sharon Tate e alcuni suoi ospiti ponendo fine al sogno hippie di pace e amore, usò la loro canzone Helter Skelter per firmare la strage, scritta con lettere di sangue delle vittime sui muri della casa in cui avvenne il fatto.

Non è colpa dei Beatles ovviamente. La colpa è altra.

Sono moltissimi, specialmente gli inglesi, gli occidentali che si sono uniti ai sanguinari terroristi islamici di Isis in Siria e in Iraq. Sono, secondo le testimonianze, e l’esempio di Jihadi John, i più sanguinari, i più cattivi, i più fanatici. Ci sarà un motivo perché proprio un inglese è stato scelto per essere filmato mentre decapita i due giornalisti americani. 

Mentre si teme una ondata di terrorismo islamico in occidente, dovremmo piuttosto renderci conto che quel terrorismo è già qui da noi da tempo. E’ frutto dell’occidente. Isis è un terribile gioco nato qua da noi. 

Tra i più sanguinari esponenti di Isis ci sono anche diverse donne, anche loro inglesi. Una, Sally Jones, faceva parte di un gruppo rock tutto al femminile e amava definirsi una strega. Oggi sembra sia la donna di Jihadi John, si fa fotografare con il burqa e un mitra in mano e dice che i cristiani meritano la decapitazione e se ne avrà l’occasione farà volentieri il boia. Un’altra ragazza inglese, Khadijah Dare, ha lasciato il regno Unito nel 2012 insieme al fratello per unirsi a Isis ed è adesso sposata con uno svedese anche lui giunto in Siria per combattere con le milizie jihadiste. Su twitter, all’indomani dell’esecuzione di James Foley, ha postato frasi esultanti sulla sua decapitazione. Umm Layth ha studiato alla prestigiosa Glasgow Caledonian University prima di andare in Siria e ha spesso commentato su twitter lodando l’uccisione del soldato inglese Lee Rigby opera di due islamici inglesi e l’attentato alla maratona di Boston. Sono solo alcune. 

Umm Khattab, una diciottenne inglese che è andata in Siria, ha twittato di recente che il governo inglese dovrebbe smettere di preoccuparsi del possibile ritorno in Inghilterra di quelle come lei: “La cosa migliore che ho fatto nei miei diciotto anni di vita è stata lasciare l’Inghilterra. Non tornerò alla vostra sporca società che non ha valori morali, siete tutti incivili e avete bisogno dell’islam che vi liberi” ha scritto. Aggiungendo che presto la bandiera nera dell’Isis sventolerà anche sul numero 10 di Downing Street.

L’occidente dovrebbe chiedersi da dove arriva e come nasce tutto questo odio verso quell’occidente stesso che ha cresciuto questi suoi figli. Cosa cercano questi ragazzi europei in cose così estreme che qui non hanno? La cosa non si esaurisce poi a livello individuale tanto è vero che cercano un progetto collettivo e messianico. 

Un illustre figlio dell’Inghilterra convertitosi all’Islam è anche il cantautore Cat Stevens, oggi Yusuf Islam, visto di recente come ospite anche al Festival di Sanremo. La conversione di Stevens accadde in tempi non sospetti, alla fine degli anni 70, frutto di un intenso cammino spirituale che lo aveva portato ad abbracciare diverse religioni fino a trovare risposta alle sue ansie esistenziali nell’Islam. Stevens/Islam è stato uno dei massimi cantautori degli anni 70, autore di bellissime canzoni, capace di vendere decine di milioni di dischi. Il prossimo 11 novembre farà il suo unico concerto italiano al Forum di Assago e ovviamente c’è grande attesa. 

Negli anni 80, durante il noto caso dello scrittore Salman Rushdie su cui era stata lanciata una fatwa con tanto di pena di morte per il suo libro considerato blasfemo “Versetti satanici”, Cat Stevens in una intervista televisiva che si trova ancora sulla Rete, disse esplicitamente che lo scrittore meritava la pena di morte e che se fosse vissuto in uno stato islamico e gli fosse stato chiesto di giustiziarlo lo avrebbe fatto. Viene in mente Jihadi John.

Dopo aver abbandonato la musica per decenni, dopo gli attentati dell’11 settembre ha deciso di tornare a fare dischi e concerti per testimoniare che l’Islam non è solo terrorismo e morte, ma anzi una religione di pace. 

Oggi Stevens non parla praticamente più di Islam. Canta l’amore universale e la pace. Certo, sarebbe significativo se, alla luce di quanti suoi compatrioti islamici stanno facendo in Medio oriente, dicesse qualcosa. Non certo un proclama, ma magari qualche parola rivolta agli inglesi che tagliano le gole di innocenti ostaggi potrebbe fare un cambiamento, vista la sua influenza e il carisma di cui dispone ancora oggi su milioni di fan, molti dei quali musulmani.

E’ per questo che viene difficile pensare di andarlo a vedere l’11 novembre al Forum di Assago anche per chi, come il sottoscritto, aspetta di rivedere Cat Stevens in concerto da una vita e ama ancora tantissimo le sue canzoni. Il silenzio si sa fa male. E di questi tempi una parola soltanto può fare la differenza.