Quando, a 84 anni, uno dei musicisti più eseguiti e più rappresentati della seconda metà del Novecento, Hans Werner Henze, vuole riflettere sulle proprie scelte fondamentali di vita – quali abbandonare il proprio Paese per trasferirsi in Italia – cosa fa? Scrive, con la collaborazione di due amici, un libretto per ‘uno spettacolo di teatro in musica’ , specificando, che è ‘per adolescenti’ nel senso che deve essere interpretato da adolescenti nonché visto ed ascoltato da adolescenti. Non per un teatro ‘normale’ (anche se è entrato in repertorio in quel gioiello che è la SemperOper di Dresda) ma per una sala scavata in miniera di carbone della Ruhr, dove va in scena una Triennale di arte e musica contemporanea. 



Il musicista è Hans Werner Henze (1926 – 2014), il lavoro Gisela! ovvero Le strane e memorabili vie della felicità. Il Teatro Massimo di Palermo ha avuto la grande idea di presentarlo, in prima’ italiana, come opera inaugurale della stagione. Le repliche continueranno sino al 27 gennaio, ma data la presenza in sala di numerosi Sovrintendenti di altri teatri, è probabili che si vedrà anche altrove.



Un’inaugurazione bella ed anomala: un unico smoking in sala, numerosi giovani e un rapido brindisi di prosecco al termine di uno spettacolo in cui un intervallo di venti minuti ha diviso i due atti (quaranta minuti il primo, trentacinque il secondo).

Prima di parlare del lavoro, e della sua rappresentazione, occorre ricordare chi è Henze e perché, oltre a cumulare tanti premi, ha sempre appassionato il pubblico. Nato in una famiglia numerosa in Westfalia, Henze mostrò ben presto i segni del suo interessamento nei riguardi dell’arte e  della musica, il che produsse immediati conflitti con il padre, di tendenze decisamente conservatrici e che avrebbe voluto farne un notaio o un dirigente pubblico.



Iniziò gli studi presso la scuola di musica di Braunsweign ma dovette interromperli  quando fu chiamato dall’esercito per partecipare al conflitto mondiale; fu ben presto catturato e fatto prigioniero in un campo di guerra. Nell’immediato dopoguerra divenne pianista accompagnatore e riprese gli studi di composizione, a Heidelberg. Iniziò anche una carriera di direttore artistico e rappresentò la sua prima opera”Das Wundertheater” vista ed ascoltata alcuni anni fa al Cantiere d’Arte di Montempulciano da lui fondato nel 1976. 

La sua strana e memorabile via della felicità ebbe luogo nel 1953, quando si trasferì in Italia, vivendo prima tra Ischia e Napoli e successivamente a Marino nei pressi di Roma. Iniziò una stretta collaborazione con Luchino Visconti e nel contempo arrivarono i suoi capolavori , come Boulevard Solitude (ispirato alle vicende di Manon Lescaut) e König Hirsch (su testo di Carlo Gozzi), Der Prinz von Homburg (Il Principe di Homburg dalla tragedia di Kleist) Der junge Lord (Il Giovane Lord). Seguì un periodo di forte impegno politico;  ad esempio di ciò, la prima del suo oratorio Das Floss der Medusa (La chioma di Medusa) venne annullata ad Amburgo quando le autorità tedesche rifiutarono di rappresentare il lavoro esponendo (come previsto dal libretto) un ritratto di Che Guevara e una bandiera rivoluzionaria. Le idee politiche di Henze sono del resto ben rappresentate anche in opere quali la sua Sesta Sinfonia, il Secondo concerto per violino ed orchestra e la composizione per recitante e gruppo da camera El Cimarron, (autobiografia di Esteban Montejo) e Elegy for Young Lovers (Elegia per Giovani Amanti), severa critica degli intellettuali ‘apolitici’.

In una fase successiva cercò nuove strade componendo una deliziosa opera  per bambini, Pollicino,  nel 1980 (sarà in scena a Firenze dal 24 al 28 febbraio) e numerosi lavori basati su romanzi, tra il magnifico L’upupa, basata su una favola popolare ed andato in scena al Festival di Salisburgo nel 2003. Il tema di fondo è la ricerca dell’utopia.

Henze ha portato la dodecafonia al grande pubblico fondendola con il neo-classicismo, il jazz, la musica popolare ed anche il rock. Nonostante le varie e differenziate influenze stilistiche ricevute, la sua musica ha come costante il lirismo sempre molto teso.

Gisela! non ha alcun riferimento con l’Henze del forte impegno politico ma si riallaccia, da un lato, a König Hirsch, e, dall’altro, a L’upupa. Gisela è una studentessa di storia dell’arte, che, con il proprio fidanzatino Hanspeter, un vulcanologo pedante, si avventura sul Vesuvio. La loro guida è un Gennarino il quale, la sera, per arrotondare, fa il pulcinella a teatro. Gisela se ne innamora, lascia Hanspeter e si porta Gennarino a Oberhausen nel grigio Nord della Germania. La passione pare durare poco anche perché Hanspeter si fa vivo e Gennarino cerca disperatamente il sole. 

Nel dormiveglia, Gisela assiste a una battaglia tra i personaggi delle fiabe di Grimm e quelli della commedia dell’arte. Vincono i secondi con l’aiuto di un’eruzione del Vesuvio (potenza di certi Santi napoletani) che copre di cenere nera anche Oberhausen. Nel finale, Gisela e Gennarino inneggiano alla ritrovata felicità. Durerà? Dalla biografia di Henze sappiamo che il suo amore con l’Italia è durato dai 27 agli 86 anni (quando è morto), ma la regia di Emma Dante (la più sobria e la più efficace di quelle da me viste) lascia la conclusione aperta. Ciò che conta è l’inventiva e la meravigliosa partitura di un compositore  che rievoca come a venne sedotto per sempre dal Mezzogiorno. 

Un vero e proprio arazzo: su un tappeto tardo novecentesco vengono amalgamate perfettamente citazioni di Bach, di Hindemith, di Stravinskji, di canzoni napoletane, di musica italiana settecentesca, di jazz e anche di ritmi afrocubani. Eccellente il giovane maestro concertatore Constantin Trinks. Bravi i numerosi interpreti, specialmente i tre protagonisti (Vanessa Goikoetxea, Roberto De Biasio, Lucio Gallo).