Cosa c’entrassero, nell’omelia di un funerale – qualunque funerale, ma ancora di più quello di un musicista – gli insulti e gli attacchi ai politici, è poco chiaro. “Guardate quanti banditi che ci governano, ci hanno tutti traditi, ‘sti pupazzi di politici che ci hanno ridotti a stracci, uno più magnaccia di un altro…”. Padre Renzo Campatella non c’è andato giù leggero, con il suo intercalare tipicamente romanesco. Salvate la famiglia, ha poi aggiunto, “è l’unica cosa che ci resta, se salvate la famiglia salvate la società e anche la Chiesa” e si è capito a cosa mirassero le parole del francescano, alla faida cioè che si starebbe consumando nella famiglia dello scomparso musicista. Parole che lasciano comunque interdetti, pensando al contesto in cui sono state dette: mettere insieme attacchi alla politica in stile grillesco e il dramma di una famiglia non si capisce che senso abbia, se non strappare applausi come infatti si sono sentiti.



Tant’è. Quelle parole sono state solo lo specchio di un clima di fastidiosa confusione che ha accompagnato l’uscita da questo mondo del musicista napoletano. Mentre la sua bara si trovava ancora nel santuario  della Madonna del Divino Amore, ad esempio, i giornali battevano la notizia che il tribunale di Roma stava aprendo una inchiesta per omicidio colposo ai danni di Daniele. Aggiornata poco dopo con un’altra notizia, piuttosto macabra, quasi irrispettosa verrebbe da dire, che sul corpo del defunto musicista dopo i funerali sarebbe stata fatta una autopsia.



Abbiamo detto “i” funerali al plurale perché due sono state alla fine le esequie. Dopo l’annuncio che quelli voluti dalla famiglia (dai figli, per l’esattezza, perché i fratelli di Daniele avrebbero preferito Napoli) si sarebbero tenuti a Roma, tra i napoletani si era diffuso malumore e anche rabbia. Ci scippano il nostro Pino. La famiglia ha dovuto fare un parziale marcia indietro e concedere così il doppio funerale. 

Dopo quello romano alla mattina, nel tardo pomeriggio la salma sarebbe stata portata nel capoluogo campano dove una cerimonia funebre, presieduta nientemeno che dal cardinale Sepe, si sarebbe tenuta in piazza del Plebiscito.



E poi le ceneri, promesse a Napoli da mettere in esposizione al Maschio Angioino nei prossimi giorni, per un nuovo tributo pubblico.

Non c’è pace per Pino Daniele. Certo, i personaggi pubblici, specie quelli amatissimi da decine di migliaia di fan, devono talvolta sottostare, anche da morti, a tanta pubblica esposizione, a un duro prezzo da pagare. C’è anche chi ha pensato di farsi un selfie con la salma e di pubblicarlo sulla Rete. E poi i sospetti sulla compagna, Amanda Bonini, che quella notte, quando Pino Daniele si è sentito male, pare fosse al volante della vettura che lo portava a Roma, dai suoi medici di fiducia e per sua precisa volontà, così si dice per adesso.  

C’è chi la accusa di essere colpevole in qualche modo della morte del suo uomo. C’è chi dice che dietro a tante accuse ci siano solo interessi economici. Si era visto qualcosa di analogo anche dopo la morte di Pavarotti e Lucio Dalla, litigi e bassezze per eredità troppo ambite tanto da far passare la morte in secondo piano.

Non c’è da scandalizzarsi, siamo uomini con le nostre debolezze. Ma resta un fatto, la morte di un uomo. Che fosse una star o meno. Pino Daniele, con la sua ironia tipicamente partenopea, quella che l’aveva sempre distinto, sembra adesso che quasi avesse previsto tutto quanto. “Napul’è”, ma quale Napoli: funerali a Roma, sepoltura in Maremma, così lontana dal golfo del Vesuvio. Come dire: vi voglio bene, ma almeno adesso lasciatemi in pace. Lasciatemi da solo. Ho cantato per voi e di voi, adesso però sono solo un uomo stanco, con un cuore capriccioso che mi ha fatto vivere una bella fetta della mia vita come se ogni giorno fosse l’ultimo.

Che cosa centrassero quelle parole del frate contro i politici, adesso appare sempre meno chiaro e anzi, sempre più indisponente. Così come quel doppio funerale, quel prolungare la nudità di una salma il più possibile, come facevano i dittatori sovietici o gli antichi faraoni, senza misericordia verso il defunto. A trattenerlo qui, nei nostri intrighi e nei nostri pettegolezzi. A tirarlo in ballo in mezzo alla miseria degli uomini – tutti, non solo i politici, anche di chi fa omelie fuori luogo – quando lui aveva un solo desiderio.

Ma lui se lo sentiva dentro, verrebbe da dire. Sulla sua pagina Facebook partendo da Courmayer dove si era esibito la notte di Capodanno, aveva postato una foto dell’autostrada che si snodava davanti a lui. Stava tornando a casa e sentiva di dirlo a tutti. Sotto alla foto, poche parole: “Back home… in viaggio per casa”.

Era stanco, Pino? Non lo sappiamo. Forse sentiva una stanchezza inspiegabile, ma anche un desiderio insopprimibile: quello di tornare a casa. Probabilmente era felice, il cuore pieno di quella gioia che il pensiero di tornare a casa solo sa metterci dentro. Napoli, la Maremma? Che importa. C’è una casa più grande, sembra abbia voluto dire con le sue ultime volontà, oltre i luoghi geografici e le appartenenze di questa vita che si consumano e svaniscono. La morte di un uomo è un affare privato, e lui in qualche modo ce lo ha fatto capire. I conti li facciamo con Dio e come li facciamo e come Dio stabilisce di metterceli davanti in quegli ultimi istanti, è proprio un fatto intimo. E’ un faccia a faccia in cui noi non dobbiamo intrometterci. Pino Daniele sta tornando a casa, quella casa a cui in fondo tutti vogliamo tornare. Che ne siamo coscienti o meno.