Il Festival di Musica e Arte Sacra che si tiene tradizionalmente in autunno nelle Basiliche romane è giunto alla quattordicesima edizione (28 ottobre-4 novembre) Il tema di quest’anno è stato il ricordo di Papa Santo Giovanni Paolo II, nel decimo anniversario della fine della sua avventura terrena. 

Un grande complesso internazionale, i Weiner Philharmoniker, sono stati anche questa volta l’orchestra in residence ed hanno tenuto uno spettacolare concerto beethoveniano (ottava e settima sinfonia) nella Basilica di San Paolo fuori le mura (quasi in concorrenza con il ciclo beethovienano che teneva Antonio Pappano all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Sono affiancati da una formazione giapponese , la Illumin Art Philharmonic, che, guidata da Tomomi Niscitomo ha anche essa acquisito fama mondiale. Tra gli altri complessi di grande rilievo internazionale, il tedesco Montini-Chor ed Ensemble Hans Berger, nonché lo svedese St. Jacobs Chamber Choir. Non manca l’internazionale Coro e Orchestra della Filarmonica delle Nazioni ed ovviamente il coro della Cappella Sistina. 



Tra i complessi italiani ha spiccato  Roma Sinfonietta che anima la stagione concertistica dell’Università di Roma a Tor Vergata. Il concerto conclusivo, è infine, incentrato su una star che appassiona il grande pubblico come Giovanni Allevi che ha presentato la prima assoluta di un suo lavoro per organo. Al Festival hanno preso  parte 600 artisti di otto Paesi. Ciò anche in ricordo di Papa San Giovanni Paolo II il quale vedeva la Seconda Guerra Mondiale come una “apostasia silenziosa” per “distruggere l’identità cristiana dell’Europa”. In questa ottica, il Festival, che non solo ha fatto suonare insieme tanti artisti di tanti differenti Paesi europei ma porta anche a Roma circa 2000 “pellegrini musicali” dal resto d’Europa, è anche uno strumento per rafforzare quelle radici cristiane dell’Europa, che oggi vengono contestate.



L’aspetto fondamentale è come spesso nello stesso concerto siano stati proposti brani ‘classici’ e brani ‘moderni’ od anche ‘ contemporanei’ quasi ad ammonirci che la musica classica è sempre contemporanea.

Lo si è avvertito sin dal primo concerto. Per l’inaugurazione  è stato scelto un programma che amalgama differenti epoche e stili: per l’elevazione spirituale si ha la Messa solenne per santa Cecilia di Gounod del 1855, seguita durante la celebrazione dell’Eucarestia della Messa di padre Rupert Mayer di Hans Berger (completata nel 2008), interpolata, però, durante la comunione, da un canto orasho in latino dei kakure kirshitan 



La Messa per santa Cecilia è strettamente legata alla Terza repubblica della borghesia e dell’industrializzazione trionfante: una scrittura semplice, ma al tempo stesso grandiosa e caratterizzata da una luce serena. Comporta un organico orchestrale di medie dimensioni (la Roma Sinfonietta), un coro (sempre Roma Sinfonietta) e tre solisti. Il tenore (Pierluigi Paolucci) ha nel Sanctus una vocalità “spinta” ed un’impostazione simile a quella del protagonista dell’opera più nota di Gounod, il Faust. Il soprano Sachie Ueshima ha una bella intonazione, ma forse la parte avrebbe richiesto una voce più spessa. Buono il baritono David Ravignani.

Si è passati, poi, durante la celebrazione eucaristica officiata dal Cardinal Angelp Comastri, alla prima italiana della Messa di padre Rupert Mayer di Hans Berger. Padre Rupert Mayer (1878-1945), beatificato nel 1987, è stato un gesuita che si oppose al nazismo. La Messa segue gli stilemi musicali della fine del Novecento per un lavoro che intende essere grandioso: un organico orchestrale più ampio, un doppio coro (il Montini Chor in aggiunta di quello della Roma Sinfonietta), una scrittura orchestrale più possente che raffinata, echi di musica americana, testo nella lingua del Paese (qui, tedesco). 

Al momento della comunione, il lavoro di Berger viene amalgamato con un dolcissimo canto orasho della “Chiesa del silenzio” giapponese di circa tre secoli fa eseguito dal nipponico IlluminArt Philharmonic Chorus. L’innesto ha funzionato perfettamente. Al termine, il tenore ha ripreso il Sanctus di Gounod quasi a riaffermare che la musica classica è sempre contemporanea. Il vero coup de théâtre del concerto è la minuta direttrice Tomoni Nishimoto, che domina un complesso organico ed una ricchissima scrittura orchestrale e vocale.

Tra gli altri concerti che ho seguito personalmente due spiccano. Quello a Santa Maria Maggiore del primo novembre  dove si sono confrontati il Coro della Cappella Sistina con quello della Cattedrale luterana di Stoccolma (St. Jacob’s Chamber Choir) cantando nell’ultima parte insieme con straordinari effetti stereofonici. Si anche potuto riascoltare il Credo di Giovanni Bonato, Premio Siciliani del 2014. Ed il concerto finale nella Basilica di Sant’Ingazio dove Giovanni Allevi ha presentato in prima mondiale la sua ‘toccata canzone e fuga in re maggiore’ per organo a canna i una serata in cui era accostato a lavori per organo di Bach e Mendelssohn-Bartoldy.