Stasera alle 20.30 Milano ospiterà finalmente lo spettacolo-tributo “Grazie Maestro!!”, dedicato all’arte e all’etica di Enzo Jannacci: con tanto di incasso in beneficenza (nel caso, a “Scarp de’ tenis”, il periodico di strada della Caritas Ambrosiana), una faccenda che il Dottore avrebbe apprezzato molto. “Grazie Maestro!!”, che trae il titolo da una bella e toccante canzone-omaggio dell’allievo Osvaldo Ardenghi per il suo (e non solo suo) insegnante di cabaret e soprattutto di vita, si terrà alla Sala Verdi del Conservatorio di Milano, luogo jannacciano come pochi giacché al Conservatorio meneghino l’enfant prodige del pianoforte Vincenzo Jannacci (fu un talento pazzesco del jazz, agli esordi) ha effettivamente studiato, dividendo le proprie giornate in quel luogo con il contemporaneo percorso universitario in Medicina.



“Grazie Maestro!!” nasce dall’amore e dall’infaticabile lavoro dell’associazione culturale Quelli che…Enzo Jannacci ce l’hanno nel cuore, e ha già toccato diverse città: ma stasera è appunto al debutto in quella Milano di cui Jannacci è stato protagonista primario – e voce decisiva quanto coraggiosamente scomoda, perché attenta agli altri e mai indifferente – in più ambiti: dalla canzone d’autore alla solidarietà, passando per jazz, cabaret, televisione e quant’altro. E come sempre, l’appassionato lavoro di Silvia Reggiani e dei suoi amici ha partorito, per uno spettacolo che di Jannacci testimonia l’arte musicale, la genialità comica e anche la lezione etica, un parterre di protagonisti che raramente si riesce a radunare in un’unica soluzione.



Ma per Jannacci, evidentemente rimasto dentro mente e cuore di moltissimi, accade spesso che protagonisti del jazz, della canzone d’autore, della comicità, intersechino i propri percorsi a volte anche anagraficamente molto distanti al fine di tenerne vive memoria ed eredità. E al di là del valore in sé del ricordare una persona e un artista del calibro del Dottore, nonché oltre lo scopo benefico dell’evento che è comunque da sottolineare ancora con forza (l’ingresso è a contributo minimo di 10 euro, info al numero 340.9472554), va rimarcato come la prima milanese di “Grazie Maestro!!” allinei sul palco soprattutto testimoni, artisti cioè che con Jannacci hanno diviso momenti fondamentali ed esperienze decisive: faccenda che aumenta, della serata, portata emotiva e capacità di trasmettere davvero, a tutto tondo, l’eredità di Jannacci.



I nomi in cartellone sono venti, e chi legge ben capirà come le esigenze giornalistiche impediranno, ahinoi, di parlare di tutti in modo approfondito. Però intanto tutti li citiamo, com’è doveroso fare. La band che ridarà vita al corpus jannacciano è composta da Marco Brioschi (tromba e flicorno), Sergio Farina (chitarra), Paolo Brioschi (pianoforte), Piero Orsini (contrabbasso e basso), Flaviano Cuffari (batteria e percussioni), Paolo Tomelleri (clarinetto), Carlo Pastori (fisarmonica). Voci dell’eredità del Maestro saranno Carlo Fava, Andrea Achilli, Claudio Sanfilippo, Elena Paoletti, Folco Orselli, Stefano Usini, Micaela Negri. Protagonisti in più modi, anche perché espliciti allievi jannacciani dal Bolgia Umana (il suo locale fondato negli anni Novanta) in poi, saranno Osvaldo Ardenghi e il duo Bove & Limardi. E special guest Davide Zilli, Nando de Luca ed Enrico Intra.

Proprio da Enrico Intra partiamo, anche perché la portata di Intra nella storia della musica italiana (jazz e non solo) è notevolissima: Intra è jazzista di vaglia, sperimentatore inesausto, educatore rigoroso, autore di dischi decisivi per la musica italiana contemporanea e soprattutto – almeno, soprattutto in questo caso – operatore culturale di prim’ordine. Fu da operatore culturale, che Intra creò il celebre Intra’s Derby Club negli anni Sessanta: e fu lì che Jannacci iniziò a esibirsi, testandovi come lo stesso Intra ci ha raccontato anche futuri capolavori degli esordi, creandosi un linguaggio che poi con “Milanin Milanon” e i dischi da “El portava i scarp del tennis” in giù, sarebbe divenuto indimenticabile quanto inimitabile. Soprattutto, anche oltre Jannacci stesso, grazie a Intra e al “suo” Derby nacque quello che oggi chiamiamo cabaret. E che dunque al Conservatorio verrà testimoniato in più forme, da quelle che prese nell’arte del Dottore a come potrà ricordarne la nascita colui che la provocò cercando di scuotere una Milano all’epoca ancora distratta a certe novità culturali, il jazz e non soltanto.

Ma anche Nando de Luca, pianista e arrangiatore eccellente, ha avuto una parte decisiva nella storia di Enzo Jannacci. Pochi sanno, in questo Paese di pessime abitudini della memoria, che de Luca è l’arrangiatore di faccenduole tipo “Azzurro”, che Celentano portò nel mondo; e de Luca, per lunghi anni nella band di Jannacci, a Enzo arrangiò “Messico e nuvole” e “Vincenzina e la fabbrica”, fra le tante, aiutando al meglio l’espressione della sublime quanto sofferta – perché impastata di vita vissuta – grafia poetica del Dottore.

Detto che anche Marco Brioschi e Flaviano Cuffari, in tempi e modi diversi, hanno suonato con Jannacci (e trattasi di un eccellente jazzista e di un batterista il cui sound si sente in decine di dischi pop-rock che hanno fatto la storia della canzone italiana), non ci si può poi non soffermare su Paolo Tomelleri e Sergio Farina: di Jannacci amici più ancora che collaboratori.

Paolo Tomelleri divise con lui gli studi al Conservatorio, e all’inizio pure quelli di Medicina: poi i due fecero una scommessa, chi vinceva andava avanti solo con la musica. Vinse Tomelleri, per sua fortuna come ci ha detto un giorno ridendo: e Tomelleri, uno che col clarinetto può moltissimo se non tutto, di Jannacci fu anche testimone di nozze nonché destinatario dello spartito originale di “El portava i scarp del tennis”, che il buon Enzo nella sua schizzata genialità aveva inizialmente pensato quale strumentale per un sax solista, prima che Tomelleri gli dicesse che forse con un testo la cosa sarebbe venuta meglio. E nacque ciò che sappiamo.

Sergio Farina è persona sin troppo gentile e schiva, per i nostri tristi tempi: compagno di tournée e di sale d’incisione del Dottore per decenni, l’ha accompagnato anche nell’ultima, dolorosa, tournée, quando Jannacci già stava molto male fisicamente ed era sin troppo sconfortato dalla deriva etica e dalla volgarità crescente del Paese. Fatevi raccontare da Farina, se vi capita, l’umanità di Jannacci: dei tanti che ci è capitato di intervistare sul tema è il più delicato e commosso, nel ridarci il sorriso bambino e buono dello Jannacci “matto, ma non scemo” (disse di sé Enzo) che abbiamo conosciuto, scoprendo dietro la timidezza una persona di profondità e sensibilità uniche. Senza contare che c’è Farina, e varrà la pena renderlo noto a tutti prima o poi, dietro il successo di cose tipo “Io se fossi Dio” di Gaber, amico storico del Dottore: il celebre arrangiamento che riesce a esaltare la scrittura del capolavoro del Teatro Canzone gaberiano, una scrittura non facile, zeppa di parole però necessarie da gridare e corredate di crescendi continui, quell’arrangiamento è firmato Sergio Farina, appunto. Anche se sul disco non c’è scritto.

Carlo Fava è poi un artista raffinato, cantautore vero erede della generazione jannacciana (e gaberiana): e coi sodali Claudio Sanfilippo e Folco Orselli ha rilanciato, con intelligenza, il portato della “scuola milanese” della canzone anche in un disco di recente uscita.

Elena Paoletti era molto amata da Jannacci, quale cantante da egli stesso selezionata per il Bolgia Umana; nel tempo non ha avuto la fortuna che il suo talento meritava, però è nella schiera dei tanti che Jannacci ha saputo riconoscere quali artisti di vaglia, e che ha aiutato a costruirsi un percorso professionale serio. E siccome tale schiera comprende personaggi tipo Cochi e Renato, Abatantuono, Teocoli, Boldi, Faletti o Paolo Rossi, non è male quale biglietto da visita.

Al Bolgia Umana peraltro c’erano, a dividere con Jannacci musica, comicità e follia creativa (in senso alto), anche Osvaldo Ardenghi e il duo Bove & Limardi, come già scritto sopra. Altri tre talenti, altre tre persone che Jannacci indubbiamente scelse soppesandone pure le qualità umane, giacché non agiva mai altrimenti. Ardenghi ha una ruvida tenerezza che ricorda molto, certe cose del suo Maestro: efficace come pochi nei monologhi del cabaret più bello e dunque meno volgare (anzi, proprio mai volgare), l’artista bergamasco è anche capace di guizzi notevoli nella scrittura musicale. E la canzone che dà il titolo allo spettacolo di stasera lo dimostrerà ampiamente a chi ancora non la conoscesse: con quel suo essere costruita sulla vita vera e sulle sue sofferenze, e quella capacità di ribaltarne il piano sublimando tutto nell’emozione dei valori e del Senso con la maiuscola.

Bove & Limardi sono invece un duo comico di quelli talmente raffinati e precisi da risultare inattaccabili: e del loro Maestro sono testimoni eccellenti, quando non si emozionano nel ricordarlo, anche per il saper elencare con grande precisione i valori su cui si basava il fare arte di Jannacci, ovvero una comicità (e una canzone) non certo improvvisate, bensì basate su autentici pilastri etici che a noi Jannacci sintetizzò nell’eredità paterna di “rispetto, altruismo, dignità”.

Ecco, rispetto, altruismo, dignità: andate a cercarlo altrove, se ci riuscite, uno che come Jannacci scriveva canzoni e faceva ridere partendo da questi valori.

Non è certo un caso, se viene ricordato in un certo modo, da così tante e così diverse personalità artistiche, compreso il Davide Zilli da poco interprete di un’intrigante versione di “E, la vita la vita”, il brano più venduto dell’intero canzoniere jannacciano anche se a lanciarlo furono Cochi e Renato.

Ricordare Jannacci, e testimoniarlo, è un dovere, più che altro: specie per chi ne ha conosciuto il sorriso e ascoltato le parole, quel “Grazie Maestro” che stasera risuonerà in più modi nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano è stampato sul cuore. E non si può dimenticare, il Maestro in questione, l’Enzo Jannacci medico fantasista, come egli avrebbe voluto essere definito alla fine del suo percorso terreno. Se passate dal Conservatorio stasera entrate, e se non ci passate passateci: c’è qualcosa di ben più che un’eredità artistica, per quanto essa già in sé sia imponente, che è necessario tenere vivo quando si parla di Enzo Jannacci.

articolo di Andrea Pedrinelli

(autore della biografia critica “Roba minima (mica tanto) – Tutte le canzoni di Enzo Jannacci”, Giunti, e de “La canzone a Milano – Dalle origini ai giorni nostri”, Hoepli)