“Idomeneo, re di Creta” ha inaugurato il 20 novembre la ricca e bella stagione del Teatro La Fenice . E’ stata un’inaugurazione all’insegna della sobrietà per esprimere il cordoglio della città per la scomparsa di Valeria Solesin e delle vittime della strage di Parigi. Le bandiere della Fenice erano issate a mezz’asta in ricordo delle vittime e in particolare di Valeria Solesin La serata è iniziata alle 19 con un intervento del sindaco e del sovrintendente e dopo un minuto di silenzio sono stati eseguiti l’inno di Mameli e la Marsigliese. Non ha avuto luogo la tradizionale cena offerta dall’Associazione Freundeskreis des Teatro La Fenice.
L’abito scuro ha sostituito lo smoking, indossato da pochi giovani stranieri a cui non era giunto il messaggio. Occorre complimentare il Sovrintende per l’iniziativa: da un lato, il terrorismo ferisce la cultura, dall’altro la cultura è l’arma più efficace e quella che i terrorismi temono di più. Come sempre alle ‘prime’ de la Fenice, ci sono aspetti interessanti. Innanzitutto, questa volta, l’opera viene presentata in versione integrale, come avvenne al Teatro della Residenza di Monaco (oggi chiamato Teatro Cuvillés) il 29 gennaio 1781. E’ piuttosto differente dalle edizioni viste e ascoltate di recente in Italia: il ruolo di Idamante (giovane principe cretese), originariamente scritto per un castrato, è cantato da un mezzo soprano (non rielaborato per un tenore lirico); vengono tenuti tutti i recitativi accompagnati (essenziali per la comprensione dell’intreccio); vengono aperti diversi ‘tagli di tradizione’. Lo spettacolo dura complessivamente circa quattro ore, tenendo conto dei due intervalli . Nel teatro in musica di Mozart, “Idomeneo” ha avuto un lungo periodo di oblio. Dopo una tornata di rappresentazioni a Monaco nel 1781 e la revisione eseguita per Vienna, l’opera di fatto sparì dai repertori.
Nell’Ottocento, veniva rappresentata solo in Germania e tradotta in tedesco dalla versione originale in italiano. Fu quel genio di Richard Strauss a riproporla nel Novecento rielaborando parte dell’orchestrazione. Soltanto negli ultimi quindici anni, e in particolare dal 2000, è entrata tra i lavori mozartiani rappresentati con frequenza nei teatri italiani. Eppure da molti viene considerata il capolavoro assoluto di Mozart per il teatro: l’opera in cui più precorre i tempi sotto il profilo musicale e nella quale svela meglio e il proprio credo politico e e le sue nevrosi più intime. E’ solo la terza volta che “Idomeneo” viene rappresentata a La Fenice. ?Il libretto, apparentemente una parabola edificante, del modesto abate Gian Battista Varesco è di stampo metastasiano. Quindi, già rétro quando venne scritto. Di ritorno dalla guerra di Troia, Idomeneo, Re di Creta, nel corso di una tempesta marina, promette a Nettuno di sacrificare la prima persona che incontrerà all’approdo. Questi è il principe reggente, l’avvenente Idamante, suo figlio, conteso tra la troiana Ilia e la greca Elettra ambedue vogliose di portarlo sotto le lenzuola prima e all’altare poi (le donne mozartiane, va ricordato, sono tutt’altro che fragili). Per amore paterno, il Re non mantiene la promessa. Nettuno invia un mostro che minaccia di divorare tutti i cretesi. Idamante lo uccide, ma i sacerdoti reclamano il sacrificio. Il giovane principe è pronto a farsi sgozzare. Mentre Idomeneo sta per farlo, Ilia si sostituisce a Idamante e chiede di essere immolata al posto suo.
Nettuno perdona tutti; Idamante ascende al trono coniugato a Ilia; Elettra si dispera in isterica follia, mentre si celebra il nuovo Re. ?Come riuscì da questo pasticcio un 24enne come Mozart, in procinto di lasciare un comodo impiego a Salisburgo per una dura scoperta del mondo, a tirare fuori un capolavoro sommo? Neanche nella più nota trilogia dapontiana (“Nozze di Figaro”, “Don Giovanni”, “Così fan tutte”), il compositore austriaco ritrovò la compattezza musicale di “Idomeneo”. Mai la musica per teatro di Mozart, neanche nelle ultime opere (“Il flauto magico” e “La clemenza di Tito”), ebbe un’orchestrazione, al tempo stesso, così complessa e così smagliante, nonché parti vocali così innovative, quali il grande quartetto del terzo atto, in cui si fondono un recitativo secco, un duetto, un recitativo accompagnato e un concertato a quattro voci, oppure ancora l’ultima aria di Elettra in cui si rompe la consueta divisione in numeri. Per un quartetto analogo si sarebbe dovuto aspettare il “Rigoletto” circa 70 anni più tardi e per un’aria simile a quella di Elettra si deve giungere quasi all’ultimo Giuseppe Verdi o a Richard Strauss. ?Ci si chiede spesso cosa abbia portato Mozart a una vetta così alta partendo da un libretto convenzionale di “opera seria”, pur se fortemente marcato dalla rivoluzione gluckiana allora in corso e dai canoni della “tragédie lyrique”. Al giovane adulto, che componeva “Idomeneo”, stava stretta la cappa protettiva del padre. Aveva, inoltre, una vita sentimental-erotica complicata ed era già in cammino verso la massoneria. In quel lavoro, quindi, riversò e sublimò le proprie tensioni interiori, sia quelle nevrotiche che le politiche. Nella partitura abbiamo le nevrosi dei rapporti con il padre-padrone Leopoldo nell’interazione tra Idomeneo ed Idamante; delle relazioni anche sessuali con le donne nel triangolo Idamante-Ilia-Elettra (Mozart – rivela l’epistolario – aveva sotto le lenzuola gusti non convenzionali, al limite dall’essere considerati devianti); del nesso con Dio (il burrascoso rapporto tra Idomeneo e Nettuno). In “Idomeneo”, dette alle proprie nevrosi uno spessore universale e atemporale, tanto che se ne sono visti allestimenti con scene e costumi di epoca bonapartiana e anche da Secondo dopoguerra. ?Sotto il profilo politico, il 24enne Mozart aveva già le idee chiare. Non un progressista, come per decenni ha scritto una critica impostata ideologicamente e poco documentata sotto il profilo musicale e storico. Neppure, nel contesto dell’epoca, un “neocon” illuminista. Era un conservatore bello e buono che adorava l’armonia della monarchia assoluta (non per nulla si iscrisse alla loggia più vicina alla Corte), aveva pregiudizi vagamente razzisti (i “turchi” del “Ratto dal Serraglio”, Monastatos de “Il flauto magico”), avvertiva ma non approvava la forza delle donne e in un solo lavoro (“Le nozze di Figaro”) espresse un punto di vista modernizzatore, con la “doppia rivoluzione” delle donne e della servitù, a ragione, però, più del libretto e della commedia da cui è tratto che della musica. Ma andiamo allo spettacolo inaugurale della Fenice. Il punto forte è la direzione musicale di Jeffrey Tate e la bravura dell’orchestra.
Lo si avverte dalla splendida ouverture in re maggiore che rivela, sin dall’attacco iniziale, la combinazione di maestosità e di dramma. Il forte nesso tra ouverture e opera , che nei precedenti lavori per il teatro, sarebbe stata fortuita, è costruito deliberatamente per cui il giovane Mozart (pur lavorando su un testo intriso di ‘opera seria’ del passato, fa di un colpo un balzo in avanti verso l’avvenire. Tate evidenzia la sicurezza con cui il salisburghese spiega i suoi timbri orchestrali, il magistrale passaggio da un imponente re maggiore, attraverso il dolce secondo tema il la maggiore , alle battute finali quietamente tese che introducono il dramma con l’apertura del sipario e l’aria di Ilia , da sola. Tate esalta giustamente (come faceva Peter Maag , uno dei grandi direttori di “Idomeneo” , ben due volte a Venezia ed almeno una a Roma) la maestria dei recitativi accompagnati, un’innovazione assoluta nel 1781, non solo nelle ‘opere serie’ ispirate alla vecchia maniera. Tate riconferma che l’orchestra di Mozart in “Idomeneo” è più ricca ed abbagliante che in qualsiasi sua opera successiva. Ancora un volta , Tate fornisce non solo una grande esecuzione ma una grande lezione. Tra le voci, spicca il gruppo femminile. Monica Bocelli è un grandissimo Idamante ; è impossibile sapere quale fosse la vocalità del giovane castrato Vincenzo dal Prato (che interpretò il ruolo alla prima assoluta del 1781). 



Monica Bacelli ha la tinta, il fraseggio e la coloratura che ci aspetta dal giovane principe, conteso tra due donne , e con un rapporto complicato con il padre. Eccelle nel quartetto del terzo la cui importanza non è stata avvertita dal pubblico della ‘prima’ veneziana (e me ne rammarico) poiché non la ha sottolineata con un applauso. Le due donne che se lo litigano sono la russa Ekaterina Sadovnikova (Ilia), un soprano lirico ben temperato e dalla vocalità dolcissima (anche se , la sera dell’inaugurazione, con un volume non eccelso) e la tedesca Michaele Kaune, un soprano assoluto anche se tendenzialmente drammatico. Già nel confronto del primo atto le due personalità e vocalità si contrappongono : alla melodia di Ilia per richiedere la liberazione dei troiani replica con un’aria già dall’attacco di violenza furiosa. La stessa violenza che sarà centrale nell’aria finale. Il protagonista, Idomeneo è Brenden Gunnell, un bari tenore americano che abbiamo ascoltato in ruoli a lui più consoni (di recente in Mahagonny a Roma). Non manca di volume ed affronta bene anche la coloratura, ma forse a causa anche della regia non ha la maestosità che ci aspetta dal Re di Creta che rientra in Patria vincitore dopo la guerra di Troia.
Tra i numerosi personaggi secondari, spicca il tenore Anicio Zorzi Giustiniani, dal timbro chiaro, la vocalità ben impostata e la buona coloratura. In breve, gli aspetti musicali di questo “Idomeneo, re di Creta” mostrano il grande valore di questa opera: con essa Mozart guarda al futuro con il suo senso del dramma, la sua forza ed originalità, la sua libertà di forma appena scoperta, ma dà un affettuoso addio al passato, alle convenzioni della ‘opera seria’, alle arie sempre tripartite. Non ho parlato di regia, scene e costumi per carità cristiana. Ho apprezzato Alessandro Talevi in L’Amour des Trois Oranges di Prokovie’f al Maggio Fiorentino e ne la Tosca romana. Questa volta regia, scene e costumi sono da dimenticare. Oltre tutto l’idea di fondo (lo scontro di civiltà) non è originale : era quella dell’ Idomeneo, Re di Creta proposto da Olivier Py a Aix-en-Provence, Bremen e Salisburgo nel 2009-2010.

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