“Attention seeker” è il modo in cui gli specialisti definiscono certi tipi di personalità. A giudicare superficialmente, Sinèad O’Connor potrebbe rappresentare un caso perfetto di “ricercatore di attenzioni” da parte degli altri.

E’ anche difficile citare quante volte ha annunciato di uccidersi. Ad esempio nel 2012 quando su twitter aveva scritto: “Se qualcuno conosce un modo in cui io possa suicidarmi senza che i miei figli lo sappiano per favore me lo dica”. La polizia era arrivata a casa sua e lei aveva detto che non aveva intenzione di farlo.



E’ successo ancora una volta in questi giorni, quando la cantante irlandese ha scritto un allarmante messaggio sulla sua pagina facebook annunciando che stava per uccidersi con una dose di stupefacenti in grado di procurarle una overdose. Nel messaggio una serie di accuse in gran parte deliranti al mondo della musica, agli ex mariti, ai figli. Tutti l’avevano abbandonata, aveva scritto, e adesso saranno ben contenti che mi tolgo di torno: “Mi considerate feccia e invisibile. Finalmente vi sbarazzerete di me. 



Quello che è successo realmente ancora non si sa: nel giro di un’ora la polizia di Dublino l’ha rintracciata in un albergo e l’ha fatta ricoverare. Non si sa se si era effettivamente iniettata della droga, ma le sue condizioni di salute sono state definite più che buone dopo poco il ricovero. La salute fisica, ovviamente. Il post è poi stato cancellato dalla pagina facebook.

Nella giornata di ieri, ripreso conoscenza in ospedale, la prima cosa che ha fatto è stata scrivere un nuovo messaggio su facebook rivolgendosi ancora ai suoi ex mariti e familiari vari: “Assassini ladri di figli, non voglio mai più vedere o sentire qualcuno di voi. Perché siete venuti qui in ospedale mentre ero in stato di incoscienza quando siete voi che mi avete fatto finire qui? E dove c… siete adesso? Assassini, bugiardi, ipocriti. Tutti voi”.



Non è vero, come è mentalità comune, che chi annuncia il proprio suicidio poi non lo commette, non lo voglia fare veramente. Succede, purtroppo, che poi lo compiano veramente. Tante cose non sappiamo della vita e dei disturbi di cui soffrono le persone, ma ci piace dire la nostra, offrire spiegazioni, pensare di saperla lunga. Una cosa è certa e dovrebbe bastare per chi non è coinvolto personalmente: Sinéad è ovviamente una donna malata e la sua storia lo dice chiaramente. Ed è una persona che cerca disperatamente aiuto, non trovandolo o pensando di non trovarlo. Ecco cosa sono i suoi annunci di suicidio. In modo inquietante riecheggiano l’ultima lettera di Virginia Wolf prima del suicidio: “Sento con certezza che sto per impazzire di nuovo. Sento che non possiamo attraversare ancora un altro di quei terribili periodi”.

Lei stessa anni fa aveva raccontato delle terribili condizioni in cui era cresciuta, con una madre alcolizzata e con evidenti problemi psichici che usava violenza fisica e pressioni psicologiche devastanti nei confronti dei figli. “Mia madre mi faceva inginocchiare sul pavimento con le gambe aperte e mi picchiava sulla vagina e mi dava calci al ventre” raccontò nel 1996 in una intervista che fece il giro del mondo. E anche: “Poteva letteralmente picchiarti fino a non poterne più e rispondere al telefono con una voce assolutamente indifferente tenendoti il piede addosso”.

Dopo il divorzio dei genitori, le condizioni della madre erano così gravi che il tribunale affidò lei e i fratelli al padre. Lei però in una sorta di sindrome di Stoccolma, non riusciva a stare lontano dalla mamma e chiese e ottenne di tornare a vivere con lei. Fino a quando, a 13 anni, scappò di casa per non tornarci più. Ma i fantasmi non hanno mai smesso di inseguirla. 

La madre muore in un incidente d’auto nel 1985, poco prima che la figlia ottenga il contratto discografico che un paio di anni dopo dopo l’avrebbe lanciata nel mondo come una star. Psicoterapie, cure e altro ancora non le sono mai mancate e lei stessa aveva detto: “Rimasi sconvolta dal fatto che mia madre se ne fosse andata: questo significava che non ci sarebbe stato mai più un chiarimento fra noi. Per me rimaneva aperta una ferita, sentivo che tutto in me era sbagliato e questo spiegavo nelle mie canzoni. Era il mio modo di portare certe cose allo scoperto”. Aggiungendo: “Dopo due anni di psicoterapia, sebbene abbia ancora una scarsa stima di me stessa, posso almeno capirne il perché. Posso vedere le cose nel contesto del mio passato e sto per guarire”.

Non è andata così, Sinéad O’Connor non è mai guarita del tutto, anzi adesso è probabilmente peggiorata. I traumi vissuti nella famiglia si portano dietro per sempre. Proprio perché dovrebbe essere la cosa più bella, la famiglia può diventare l’orrore più grande. Perché ad alcuni sia data in sorte una famiglia piuttosto che un’altra è un mistero. Così come ogni destino è diverso e perché qualcuno sia sopraffatto dalla vita e altri no. 

Sinéad però il gesto tragico non lo ha ancora fatto nonostante tutto. C’è qualcosa nel suo disturbo mentale che la tiene viva. 

 

Il penultimo disco di Sinéad O’Connor, “How About Me (And You Be You)?” uscito nel 2012, si concludeva con un quasi impercettibile segno della croce, sussurrato dalla cantante, seguito da un “amen”. Il testo del brano che terminava in quel modo apparentemente sconcertante, V.I.P. diceva fra le altre cose: “Quando saremo davanti al cancello (del Paradiso) non ci sarà make up sul viso e non ci saranno borse di Vuitton e scarpe di Manolo e Lui ti chiederà, hai amato solo te stesso o hai combattuto per qualcosa oltre alla voglia di successo. Un volto che non è mai stato baciato o non lo sarà mai, ti mostrerà che cosa è davvero un Vip”. Un altro brano sempre di quel cd, Back Where You Belong, si apriva con il suono delle campane di una chiesa situata chissà dove, e le voci di bambini, come a sottolineare la malinconia per un senso di innocenza e di serenità. Quella mancanza che nessuna terapia ha riempito nel cuore della O’Connor.

 

C’è un altro modo con cui possiamo capire chi è la cantante irlandese e probabilmente è quello più giusto e l’unico che spetta a noi osservatori esterni. La voce di Sinéad è una delle più belle della storia della musica. Nel 2012, nella recensione di quello che era allora il suo ultimo disco, scrissi parole che oggi mi suonano ancora più vere: “La voce di Sinéad merita ben altro. È capace di esprimere una gamma di emozioni potentissime: il suo sussurrato, le improvvise devastazioni, le aperture celestiali sono il racconto vocale di un’intensità che ha pochissimi paragoni fra le cantanti bianche di ogni tempo. È il classico caso, la cantante irlandese, di colei che può cantare l’elenco del telefono e far breccia ugualmente. Nella sua voce, la fragilità di un personalità avvolta da problemi psichici non da poco, da sofferenze interiori che non è mai riuscita a superare se non nell’eccesso di suoi certi comportamenti, e naturalmente quando ha la possibilità di cantare. Soprattutto, in questa voce, il senso di una perdita, una malinconia a tratti insopportabile, la mancanza di un qualcosa che tortura cuore e anima. Si potrebbe dire che Sinèad O’Connor è una persona a posto con se stessa solo quando si esprime nel canto. Come una sorta di magia, come una guarigione dell’anima e del cuore, la sua voce si eleva su vertici che suggeriscono l’infinita incompletezza dell’essere umano”.

Amen, e un segno della croce, come finiva quel disco, per chi nella vita deve soffrire colpe non sue.