“Quelli come me, che sono stati presi per mano a un certo punto della loro vita da questa cosa meravigliosa, non possono più farne a meno”. Musica che ti sceglie. Musica che ti salva. E’ una dichiarazione d’amore questo libro di Paolo Vites (124 pagine, disponibile solo online su amazon.it).
Una dichiarazione di resa incondizionata di fronte alla bellezza e alla verità che la musica può regalarti, quando tutto il resto, nella fabbrica di plastica dei singoli digitali e dei talent show – tra budget risicati, recessione, rendite di posizione, monopoli e diritti di prevendita – è a pagamento.
Poetica, acuta, ironica, a volte sarcastica, la prosa di Vites vira sempre al romanticismo rosso vermiglio di un true believer. Un po’ diario di bordo, un po’ autobiografia emotiva, “Backstage Pass” muove dall’epifania di un recital di Allen Ginsberg al Palazzo Ducale di Genova e ci porta nell’ormai epica Milano di fine anni 70, quando riprendeva la stagione dei grandi concerti interrotta pochi anni prima da contestazioni e molotov.
L’autore ricostruisce e condivide i suoi ricordi, riuscendo a comunicare le vibrazioni, la magia o a volte il disagio, accompagnandoci attraverso un certo modo di scoprire e vivere la musica dal vivo che oggi, inevitabilmente, appare sempre più raro. Che si trovi in una posizione privilegiata – in camerino con De Gregori, al party londinese di Lauryn Hill, ad un concerto per pochi fortunati degli Aerosmith – oppure felicemente anonima, perso tra la folla di San Siro nell’epico concerto di Springsteen del 1985, Vites riesce a scansare con disincanto cliché e facili stereotipi per cercare invece di scrutare le ombre e il mistero che spesso avvolgono le performance più intense.
Arricchito da approfondimenti tratti dal suo blog The Red River Shore (“ogni anno candidato come miglior blog musicale e culturale, ma non vince mai….”) o da articoli tratti da ilsussidiario.net, Backstage Pass è una miniera di curiosità per gli appassionati.
Dai concerti epici di Neil Young e Springsteen, alla dilaniante ossessione dylaniana (di cui l’autore è uno dei più accreditati biografi), fino alla profonda comunione spirituale con Nick Cave, Patti Smith e Leonard Cohen, Vites svela un mondo sotterraneo in cui divertenti aneddoti e acute considerazioni critiche vanno a comporre un quadro più ampio che rende inevitabile un’urgente riflessione allo stesso tempo sociologica e intimista: quanto ha significato la musica per le generazioni dagli anni 70 a fine secolo e quanto ancora resiste di quel modo di respirarla e viverla oggi, relegata nelle “periferie esistenziali del cuore” e di città che hanno sacrificato luoghi storici della loro cultura sull’altare del profitto?
Eppure ancora accadono miracoli in cui piccoli principi, armati solo di chitarra ed emozioni, come Beth Orton o Damien Rice riescono magicamente a riportare tutto a quella spoglia e meravigliosa semplicità in cui “fino a quando ci sarà qualcuno che da qualche parte si metterà a nudo su di un palcoscenico, varrà sempre la pena di uscire di casa e andare a un concerto. Due solitudini si incontrano, scatta una scintilla, accade un miracolo, si apre una porta verso l’infinito”.