Dopo una pausa di due anni, un commissariamento e un cambiamento di gestione, il Teatro Massimo di Palermo ha ripreso il wagneriano Ring des Nibelungen (L’anello dei Nibelunghi) nel nuovo allestimento di Graham Vick e della sua équipe (Richard Hudson per la scene ed i costumi, Ron Howell per le azioni mimiche, Giuseppe Di Jorio per le luci). Cambia quasi completamente, invece, il cast musicale (dal maestro concertatore agli interpreti). La stagione 2015 chiude con Siegfried in scena sino al 29 dicembre; quella 2016 riapre con Götterdämmerung in scena dal 28 gennaio 2016.



Chi ricorda le recensioni pubblicate su questa testata nel 2013, sa che la visione di Vick non è religiosa o trascendentale (la fine del politeismo nordico e l’avvento del cristianesimo) come nelle intenzioni di Richard Wagner, ma fortemente politica: la vicenda è attualizzata ai nostri giorni e mostra l’ultima lotta per il potere tra élite ormai decadute e decrepite (i Giganti, gli gnomi, gli Dei del panteon germanico) in attesa di un radicale rinnovamento. Siegfried dovrebbe essere la leva per tale rinnovamento ma in Götterdämmerung cade anche lui nelle trappole del vecchio mondo ingannatore. La luce di speranza si nell’olocausto di sua moglie Brünilde .



In questo contesto, Siegfried (inizialmente intitolata Il giovane Siegfried narra l’adolescenza del protagonista, sino alla sua presa di coscienza e maturità. Nella lettura di Vick, l’opera potrebbe chiamarsi ‘i turbamenti del giovane Siegfried’, mutuando il titolo dal noto ‘romanzo di formazione’ di Robert Musil oppure ‘gioventù bruciata ai piedi del Walhalla ‘ – il Walhalla è il monte dove sorge il Palazzo degli Dei germanici –  ricordando il film di Nicholas Ray che nel 1955 face diventare James Dean una ‘star’ internazionale. Infatti, la regia pone l’accento sulle inquietudini esistenziali del protagonista . A differenza di quello del film di Ray (il cui titolo originale era Rebel wihout a Cause, ‘Ribelle senza una Causa’), Siegfried ha numerose ragioni per essere turbato. Cresciuto da un nano in una foresta, cerca disperatamente di sapere chi sono i suoi genitori, è consapevole che gli uccelli nidificano e fanno figli, ma non hai mai visto una donna (quindi, nel primo atto fa atto di autoerotismo nel letto a castello della capanna del nano Mime prima di forgiare la spada con cui uccidere il drago Fafner). Il turbamento aumenta, anzi diventa paura, quando dopo avere superato il cerchio di fiamme entro cui la donna dormiva da anni (punizioni inflittagli per avere disobbedito al Re degli Dei, Wotan, suo padre), scopre cosa è una donna. Per la prima volta scopre cosa è la paura. Seguono, 45 minuti di eros pieno di gioia culminante in un orgasmo finale in fortissimo “do”, e Brünilde  diventa la sua ‘sacra sposa’.



E’, senza dubbio, interpretazione originale del mito, e dell’opera wagneriana. Tanto più che il Re degli Dei, Wotan, è ormai a metà tra un viandante  ed un mendicante, ossesso da rapporti anali sia con uomini sia con donne, chiaro segno, quindi, di un mondo che si è già auto rottamato. Il leader, se vogliamo, dei Nibelunghi. Alberich è un ‘furbetto da quartierino’, la Madre Terra Erda una vecchia barbona. La foresta è popolata da giovani che fanno esercizi ginnici ed anche sesso; da essi si distacca un uccellino portato da un innocente scout (che ne canta il ruolo).

Ho preferito porre l’accento sulla drammaturgia che sulla parte musicale, che tratto su una rivista tecnica, perché ha in parte diviso il pubblico palermitano. L’opera non veniva messa in scena al Massimo dal 1971 e pochi abbonati la conoscevano. Inoltre anche se la parte musicale dura strettamente tre ore e mezza , due lunghi intervalli per la cena (buffet nel primo, dolci nel secondo) ha fatto sì che si entrasse in teatro alle 17,15 per uscirne circa alle 23.

Un cenno ai principali aspetti musicali. Il  Massimo ha  affidato la direzione musicale a Stefan Anton Reck,,  assistente di Claudio Abbado dal 1997 al 2000, ed oggi riconosciuto tra i massimi conoscitori della musica di Mahler e della seconda Scuola di Vienna. L’orchestra risponde bene ai suoi stimoli. Il cast vocale è mediamente di buona qualità. Ottimi, sia come attori sia come cantanti, Peter Bronder (Mine) e Thomas Gazheli (Wotan). Di buon livello Seirgei Leiferkus (Alberich). Deliziosa Deborah Leonetti (uccello del bosco). Il protagonista ha un ruolo impervio (tre ore e mezza sempre in scena) e la regia lo fa cantare tra esercizi ginnici e capriole: alla ‘prima’, Christian Voigt era forse indisposto – mi si dice che ha cantato molto bene alla prova generale – ma è stato un Siegfried pallido con poco volume ed un’insoddisfacente intonazione. Meagen Miller (Brünilde) ha un’unica lunga scena con il futuro sposo: avrebbe reso meglio con un partner più in forma.