Era normale ai concerti dei Motorhead che il volume dell’amplificazione fosse tenuto così alto che, almeno per quelli delle prime file, tutto quello che si potesse percepire era un rumore assordante, dove strumenti o voce del cantante erano ugualmente indistinguibili. Era normale perché così era Lemmy: esagerato, eccessivo, assordante. La sua vita è stata tutta spesa nella corsia di sorpasso e oggi molti si meravigliano che sia potuto vivere fino a 70 anni di età.



Se i segni nella vita delle persone significano qualcosa, lo scomparso bassista e cantante dei Motorhead avrebbe potuto dire di essere segnato da qualcosa che ha intravisto appena: “nato per perdere, visse da vincente”, è stato detto di lui. Era nato la vigilia di Natale del 1945 ed è morto tre gironi dopo Natale, quest’ultimo, dopo aver appena compiuto 70 anni. Il tumore gli è stato diagnosticato il giorno dopo Natale e ci ha messo solo due giorni a portarselo via. Esageratamente, velocemente, nel modo distaccato con cui Lemmy aveva vissuto, sempre oltre, sempre nonostante.



Come altri personaggi tragici del rock, ad esempio Kurt Cobain, è facile adesso dire che Lemmy la morte se l’era sempre cercata, ma probabilmente non è così. Lemmy e Kurt avrebbero fatto la fine che hanno fatto anche se fossero stati impiegati di banca. Il rock ha solo permesso loro di esprimere quella rabbia che si portavano dietro: Cobain per il divorzio dei genitori quando era bambino, Lemmy abbandonato dal padre, un pastore anglicano, quando aveva solo tre mesi. Proprio da un un uomo di chiesa che avrebbe dovuto rappresentare il bene e l’amore di cui tutti i bambini hanno bisogno: senza quel bene genitoriale, prende il sopravvento quello che lo psicologo Paul Williams ha definito il terzo principio di sopravvivenza: la rabbia mi terrà in vita.



Ma Lemmy era anche un gran umorista, sapeva prendere e prendersi in giro, la sua musica, in modo superficiale definita heavy metal, hard rock, punk e che lui orgogliosamente dichiarava essere solo rock’n’roll tradizionale, quello che lui aveva cominciato ad amare quando a 16 anni era andato al Cavern di Liverpool ad ascoltare i Beatles, era quello che l’ha tenuto in vita, più della rabbia. La sua voce greve e arrochita era inconfondibile, un rantolo da sopravissuto. I titoli delle canzoni non lasciano dubbi: Born to Raise Hell (nato per scatenare l’inferno), Killed by death (ucciso dalla morte, perché niente altro lo ha mai annientato: né gli eccessi, né la menzogna del mercato musicale).

Anni fa ero stato invitato a Londra per intervistarlo. Non ricordo se perché troppo occupato col lavoro, o perché non mi sentivo all’altezza non conoscendolo abbastanza per poterlo intervistare, mandai un collega. Mi raccontò che al momento fissato bussò alla porta del salottino dove doveva incontrarlo, entrò e lo trovò abbracciato a una ragazza, la patta dei pantaloni aperta. La ragazza si allontanò e l’intervista durò tutto il tempo con la patta dei pantaloni di Lemmy spalancata. Lui era così. Come diceva Bob Dylan, “per vivere fuori della legge devi essere onesto”: E lui era onesto alla sua scelta di vita e viveva fuori dalle leggi di noi comuni mortali.

I Motorhead erano assordanti, come chi vuole coprire il rumore della vita quella vera, quella che fa male. L’economista francese Jacques Attali, uno che con la musica rock non centra niente, aveva detto che “nonostante la morte in essa contenuta, il rumore porta con sé un ordine intrinseco e nuove informazioni. Può sembrare strano, ma il rumore crea un significato perché l’interruzione di un messaggio comprende l’interdizione della trasmissione del messaggio stesso. E proprio la mancanza di significato nel rumore puro o nella ripetizione senza senso del messaggio nell’impedire qualunque contatto uditivo, libera l’ascoltatore stesso e la  sua immaginazione. L’ assenza di un significato, è in questo caso la presenza di tutti i significati,  l’assoluta ambiguità, una costruzione al di fuori del significato. La presenza di rumore ha un senso, rende il significato. Esso rende possibile la creazione di un nuovo ordine su un altro livello di organizzazione, di un nuovo codice in un’altra rete”. Che Lemmy ne fosse consapevole, ha comunque creato una nuova forma di comunicazione, anarchica e spontanea che nei suoi momenti migliori ha permesso a chi lo ascoltava di entrare in contatto con un oltre. 

Nel messaggio lasciato sul suo sito ufficiale ieri, si invita ad ascoltare la sua musica: “ascoltate FORTE la musica di Lemmy. Fatevi un drink o due. Raccontatevi storie. Celebrate la VITA che questo uomo amabile e meraviglioso ha celebrato così bene per primo. LUI VORREBBE PROPRIO QUESTO”. Ian Lemmy Kilmister, “nato per perdere, visse da vincente”. La sua vita ha contenuto tutta la promessa e la maledizione del rock’n’roll, quella che espresse Elvis Presley quando generò questa storia: che la vita possa essere un unico e continuo sabato sera. Non è possibile, ma qualcuno ci ha provato. “Ho viaggiato per tutto il mondo, ho dormito con donne di ogni razza e religione e ho suonato la musica che mi piaceva e ho reso la gente più felice di quello che era prima che arrivassi. E’ un bel modo di vivere. Trovamene uno migliore”.

E’ impossibile creare uno come lui a tavolino. La sua carriera è stata, piacesse o no la sua musica, un esempio raro di stile e contenuto. E’ stato uno degli ultimi collegamenti con le origini stesse del rock’n’roll. In un mondo dove la musica è sempre più qualcosa di effimero e controllato, Lemmy è stato come tornare al passato, dove tutto era cominciato. Davvero, sarà impossibile veder nascere un altro come lui.