“Sogni infranti” – proviamo a guardare dentro a questo testo interpretato da Gianluca Grignani per il Festival di Sanremo 2015. Siamo tra il banale ed il rococò. Scusate, ma devo fare un’ammissione-confessione. Ho sempre fatto una grandissima fatica ad ascoltare la musica Italiana. Le parole, qualunque sia la lingua, ballano sempre tra lo scontato e l’iperbolico, ma suona meglio “Sogni infranti” o “Shattered dreams”? Battisti sì, quello l’ho sempre ascoltato (musica e i geniali testi di Mogol), e con il Lucio nazionale poche altre eccezioni come Jannacci, Conte. Per sembrare acculturato probabilmente dovrei dire anche Gaber, ma non ho mai rintracciato granché di affascinante nella sua musica. Ma siamo tutti qui per imparare qualcosa di nuovo, e allora, forza e coraggio! Leggo il testo e la prima – drammatica – domanda che mi prende per il collo è: ma questo Grignani, di cosa sta parlando? Parte con un’affermazione sull’amore:  “L’amore è un fiore che se nasce non conosce inverno ed io ci credo”. OK, promuoviamo questo opening dandone una lettura generosa ricavandoci che l’amore (vero) è un’alba di eternità, è fatto per l’infinito. Immagino questo sia ciò che l’autore cerca mentre la realtà delle cose (“Ma credo anche a questo caos che diventa inferno”) appare molto più amara. Cosi il nostro – detto con parole mie – aspetta il giorno in cui sarà liberato, perche’ lui, ahimè da solo non ce la fa, e ce lo dice: “E quando è sera non ci riesco ma vorrei uscire da questo quadro”. Apprezziamo il desiderio. Ma qui si arriva al ritornello, quello che nella storia della musica racchiude il messaggio o la grande domanda. Insomma, il nocciolo della questione. And here the cookie crumbles, qui casca l’asino. Eccovelo qua: “Ma io, se solo io fossi Dio, avrei un sentimento anche io come gli altri uomini o santi ingannati dai tanti sogni infranti”. Ora, ditemi voi cosa vuol dire, perché io proprio non lo capisco. Non è che non sono d’accordo o che mi disturbi l’idea che uno vorrebbe essere Dio. A me sembra solo un giocare con le parole – mal fatto e pure privo di senso logico. Grignani, cos’è che vorresti fare se fossi Dio? Avere un “sentimento”? Per avere sogni infranti non mi pare ci sia bisogno di essere Dio. E lasciamo perdere l’italiano. Si va avanti con la canzone, nella speranza che i versi successivi illuminino almeno un pochino queste “parole infrante”. Speranza vana. Prima ci si imbatte in sgangherati tentativi di poesia da serie D (sono buono): “…un azzurro fiume scende da quelle colline e non è un caso che dentro a questa noia la città è assorta, lo stato come piombo si sopporta, i ragni fanno i nidi sulle tue rovine come su un ramo” e poi, oplà, una donna! “Fortuna c’è lei che mi dona bellezza dagli occhi suoi. Non voglio mai più sentirla lontana”. Allora ci siamo! Forse che siamo alla svolta? Macché….torna il ritornello. “Se solo io fossi Dio tornerei indietro nel tempo a cancellare le rughe dai suoi occhi stanchi e a ricucire per tanti questi anni questi inganni questi nostri sogni infranti”. Sì, questo ha un capo ed una coda, ma cosa c’entra col resto? Per carità Signor Grignani, non si offenda, ma finché non me la viene a spiegare questa canzone la mia unica speranza è che la musica sia cosi bella da farci ignorare le parole. Dubito.



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