Nina Zilli è ormai un’esperta del festival di Sanremo. Si è esibita sul palco dell’Ariston nel 2010, ricevendo subito il premio della critica “Mia Martini” (col brano “L’uomo che amava le donne”), nel 2011 come ospite e nel 2012 col brano “Per sempre”. Fa quindi parte di quel gruppo di cantanti che è fortemente legata al Festival, e lo è sempre di più.  Evidentemente interpreta in maniera efficace quel particolare stile “sanremese”, fatto di canzoni quasi esclusivamente d’amore, molto melodico anche quando è moderno e aggiornato nel sound, che osa quanto basta per rimanere musically correct. Sanremese, appunto. È decisamente preparata e ben seguita nella costruzione della sua immagine: sul suo profilo RAI si legge che inizia la sua strada musicale lasciando la Val di Trebbia per l’Irlanda e gli Stati Uniti, cioè il cliché prefetto del cantante moderno, e che ogni tanto ha un anno sabbatico di studio e di viaggi (come il 2013) da cui ritorna con nuovi brani e raccolte. Ogni aspirante cantante immagina una vita professionale così. Occorre anche dire che è una donna molto bella, che sfrutta questa bellezza per mescolare fascino contemporaneo e accenni vintage: anche le canzoni, che raccontano situazioni quasi sempre d’amore un po’ particolari (in una di queste canzoni essa è l’amante di un uomo che narra la situazione), un po’ alla Mina: sia l’immagine del personaggio-Zilli, sia i temi dei testi che lo stile musicale, infatti,  la citano abbondantemente. Anche la canzone di quest’anno, che si presenta come un blues, riproduce una circostanza del genere. Il personaggio cantante è una donna che sembra preferire la solitudine: “, / gli altri ballano / piace male / ricordare la felicità cos’è /  / prima di dormire”. Si rivolge all’uomo amato, ma solo per ribadire questa solitudine, trattenuta a sé anche a costo del dolore: “non, non migliora neanche quando ci sei tu / cerco di più / È meglio se tu / poi capirai che non ci sei stato mai / … / È così che andrà a finire / solo a quelli come me / cerco di più / È meglio se tu / vai capirai / non ci sei stato mai / vorrei dare a te / spazio che ti serve ma non c’è /… / non importa se / ò di solitudine”. Il testo non contiene altro: è in realtà molto semplice, indice evidente del fatto che si punta molto sulla musica e sulla voce comunque notevole dell’interprete. Sembra una specie di affermazione di indipendenza femminile, ottenuta a costo di soffrire, ma anche dicendo la cruda verità all’uomo. La semplicità testuale, persino ripetitiva, è adeguata al genere blues, che tradizionalmente anche nella musica americana (di cui forse la canzone citerà qualcosa) gira intorno a pochi elementi, memorizzabili e facili e a un sentimento contraddittorio dell’amore. Ragione in più per pensare che a Sanremo si punterà tutto sul fascino del suono e della cantante, che certamente c’è.



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