Rakele (all’anagrafe Carla Parlato) è un’altra delle giovani proposte di Sanremo 2015 e presenta la canzone Io non so cos’è l’amore. La terzina iniziale è subito suggestiva. Il fatto che il corpo di una giovane fanciulla sia attraversato da fulmini senza conseguenze negative ci porta subito nel dominio del fantastico. “Ho sentito fulmini Attraversarmi in fretta E scaricarsi a terra In fretta riferito a un fulmine è ridondante ma si sa che le parole devono accompagnare le note e riempire il più possibile. Sembra chiaro che tutto quello che succede a questa ragazza viene dall’alto. Dopo i fulmini … Se cadesse su di me Un pezzo di infinito inferno paradiso Saresti qui con me Saresti qui con me” Un pezzo di infinito che cade in testa manda all’aldilà, se all’Inferno o in Paradiso la ragazza sembra non saperlo con precisione, non riesce a valutare i suoi peccati ma la rima è salva. Con un evento di tale potenza per far scomodare lui è necessario il condizionale. Che sia un infermiere, un medico, un paramedico? “Io non so cos’è l’amore io non so cos’è l’amore io non so cos’è l’amore io non so cos’è l’amore” In seguito a un trauma cranico tutto è possibile, anche aver dimenticato i fondamentali dell’esistenza, quello che già sappiamo appena venuti alla luce senza che nessuno ce lo spieghi, il sentimento più nobile (anche causa di sofferenza immeritata). “Io ti ho dato altari come a Dio pagando coi miei sogni il prezzo dei tuoi sbagli” Immancabile la sopravvalutazione del maschio, come in ogni canzone sanremese buona e giusta. La sua deificazione porta non solo delusioni ed elargizioni fuori misura (gli altari) ma anche debiti, non sempre pecuniari. “Se mi perdo ancora io nel freddo del mio inverno nel vuoto dell’immenso che gira intorno a me la colpa di chi è” L’affondo successivo è un inno al senso di colpa. A causa del trauma cranico (e del ritardo nei soccorsi da parte di lui) la fanciulla è disorientata non solo nell’aspetto percettivo (freddo-inverno) ma anche in quello spazio-temporale (vuoto dell’immenso). Niente di tutto questo smarrimento può essere endogeno, la causa va ricercata all’esterno. Anche nelle sacre scritture c’è spesso una colpa alla base del comportamento umano. Da notare un trabocco improvviso di ammirazione egoriferita (l’immenso che gira intorno a me) che comunque rimanda a qualcosa di trascendente, al di sopra, imparentato con i fulmini e il pezzo di infinito di cui sopra. Il ritornello (Io non so cos’è l’amore) ripetuto quattro volte ci rinforza lo spaesamento della ragazza che a questo punto della canzone si presenta smemorata, indebitata, al freddo e in attesa di giustizia, pur consapevole della sua centralità nella vicenda. “E cambierò la pelle adesso e brucerò le stelle adesso” Le metafore bibliche non finiscono se interpretiamo il cambiamento di pelle come un riferimento al serpente dell’Eden. Con un rapido slittamento di personalità la ragazza da Eva diventa serpente (e cambierò la pelle) e assume un comportamento onnipotente e apocalittico (brucerò le stelle). Gli amanti guardano le stelle e il loro mistero, se togliamo le stelle dal cielo ogni sogno sarà impossibile. L’ultimo verso di questa strofa (mi lascerai senza respiro) è un atto d’accusa e anche un’ammissione di inferiorità. Dopo aver messo l’universo a fuoco e fiamme cosa succede alla ragazza? Rimane senza fiato, e non perché sia stanca per quello che ha appena fatto ma per colpa di qualcun altro. Lei ha dato fuoco al firmamento ma è lui che la può spegnere. La ripetizione del ritornello (io non lo so, e non lo so/cos’è l’amore/l’amore/l’amore/l’amore) conferma lo stato di amnesia della fanciulla ma anche una certa propensione alla confusione dei piani. Il fuoco della passione non può essere confuso con il fuoco che distrugge.



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