Coerenza, fedeltà, nessuna concessione ai compromessi e tanti, tanti chilometri nelle scarpe.

Dovessimo descrivere la storia dei fratelli Severini, voce, chitarra ed anima della Gang, gruppo storico del rock militante italiano, che ha da poco pubblicato il suo nuovo lavoro, Sangue e Cenere, dopo 14 anni dall’ultimo album di studio, questi sarebbero i punti cardine della loro presentazione.



Un gruppo che nei valori di cui sopra trova la ragione di esistere ed il motivo dell’amore che riceve dai propri fan, vero e proprio motore e membro aggiunto della band.

Basti pensare che, privi di etichetta discografica, Marino e Sandro si sono rivolti alla moderna formula del crowdfunding per racimolare la cifra necessaria all’incisione del disco, ottenendo dieci volte rispetto alla cifra richiesta. 



Un abbraccio lungo, interminabile, proveniente da tutta Italia, che ha permesso ai Gang di togliersi qualche sfizio a livello di incisione e di lavorare con musicisti di alto livello e con un produttore di qualità come Jono Manson.

Il risultato è un disco meraviglioso, completo, ricco di spunti sia da un punto di vista musicale che di tematiche affrontate; una maturità compositiva affinata nel corso degli anni e che promuove Marino Severini al livello dei grandi della musica, con il suo stile cantautorale, storico-narrativo a metà tra la canzone d’autore italiana e gli storyteller americani anni 50.



Un disco dove la militanza di sinistra, da sempre seguita con spirito critico e fedeltà, si unisce alla spiritualità ed alle riflessioni sugli affetti.

Sangue e Cenere parte con la title-track, con la chitarra di Sandro che quasi esplode, forse per la voglia che aveva di tornare a suonare materiale inedito, per un dipinto livido della nostra società attuale, un pezzo cupo, sul cui sfondo pare quasi di sentire la tempesta finale in arrivo, mentre tutto intorno a noi il panorama si riempe appunto del sangue delle ferite e della cenere delle rovine.

Già al secondo brano, Non finisce qui, si grida al capolavoro; la storia parte da lontano, da un processo per morti sul lavoro, dove il figlio di una vittima racconta chi fosse suo padre e perchè fosse finito a lavorare alla Breda. Nelle strofe di questa canzone, brano di forte denuncia, quantomai attuale dopo le recenti sentenze di Casale, scorre però anche il ritratto di un’Italia che si muove, che è costretta a muoversi, per non morire, per non scomparire, per dare ai propri figli una prospettiva, un futuro. Ecco quindi che il padre del protagonista si sposta dai luoghi natii, dal suo mondo perfetto, per andare incontro alla vita, alla sorte, alle proprie responsabilità. Brano strettamente collegato a Sesto San Giovanni, Non finisce qui è una accorata difesa, da parte del figlio di una vittima, affinchè la dignità della propria famiglia e perchè no, della propria classe sociale non venga ulteriormente calpestata da assoluzioni grottesche e rimpalli di colpe. Un brano che nella sua forma di arringa di fronte ad un giudice richiama alcuni pezzi di Woody Guthrie e lo Springsteen di Johnny 99.

In tutto questo però, spicca il commovente ricordo che il protagonista ha del padre, le parole scambiate a cena, la voglia di guardare avanti, la forza che evidentemente gli ha lasciato in eredità.

Richiami sempre presenti nei testi dei Gang, quelli ai valori della famiglia e delle tradizioni contadine che i fratelli Severini hanno dentro di loro dall’infanzia.

 

Alle barricate ed Ottavo KM sono figlie invece dell’anima barricadera e partigiana del gruppo, da sempre vicino a certe tematiche, ai valori della Resistenza ed attento alla conservazione della memoria di certi cardini morali.

Come sempre, le storie dei Gang sono vere, di carne e sangue, di muscoli e lacrime, quindi Alle Barricate racconta la prima resistenza, quella appunto che nel 1922 si oppose al predominio fascista coordinato da Italo Balbo, facendo di Parma l’unica roccaforte inespugnata. Un brano anthemico, un inno, che scalda il cuore e fa rizzare i peli sulle braccia, quando Marino chiama a raccolta: finalmente, dopo anni passati nel mito di Joe Strummer, i fratelli Severini riescono anche a portare nel loro canzoniere un brano che musicalmente è la versione italiana di quel fantastico connubio che furono appunto Strummer ed i Pogues. Un brano che forse deve parecchio appunto all’irish punk, ma che proprio da quella cornamusa che suona l’adunata trova il suo splendore.

 

Ottavo KM invece scende nel particolare e racconta del Comandante Rolando, amico personale di Marino, al quale ha svelato e raccontato segreti ed aneddoti che entrano in questo testo, che parla di eroi nascosti e sacrificati.

 

Marenostro invece è una preghiera, un’invocazione, magari laica, però sicuramente sentita ed accorata verso una qualche divinità che riesca a governare il Mediterraneo in modo che l’ennesima barca di disperati trovi un approdo sicuro. Lontano da proclami ideologici e a calcoli di partito, questo brano chiede una cosa che forse spesso si perde nei discorsi che vertono su questo argomento: il rispetto per la vita, per l’uomo, per i sogni e le speranze di chi parte in quel modo così precario e sconsiderato, facendo capire, dato il rischio che corrono per andare via, da che razza di situazione sta scappando. Alla fine, per valutare certe cose con un minimo di cuore, basterebbe ricordarci queste strofe:

 

Marenostro tu sai chi li guida

è quel Dio che non ha frontiere

che cammina sull’acqua e sul fuoco

e che spezza tutte le catene

È il Dio di tutti i colori

che combatte la fame e la guerra

e per lui nessuno è straniero

come in cielo così come in terra

 

Perchè Fausto e Iaio invece è storia recente, giornalismo d’inchiesta, indignazione e voglia di cercare la verità oltre la coltre di fumo che spesso la circonda; nata dalla collaborazione con l’attore teatrale Daniele Biacchessi,  eseguita per la prima volta dal vivo nel 2003, viene qui presentata in veste elettrica, carica di un pathos tragico, come i fatti che racconta, come le giovani vite di due ragazzi caduti in un attentato politico e dimenticati, forse perchè di poco conto o magari perchè stavano dalla parte sbagliata. 

La storia parla di persone che cercano il bene, di ragazzi “tra il primo lavoro e l’ultimo gioco”, di anime belle che vengono respinte ed uccise, perchè il bene spesso è nascosto da chi non lo vuole. Due persone innamorate del loro quartiere, che nel loro quartiere trovano la morte, perchè scomodi, invadenti, fastidiosi.

La voce di Marino sembra spezzarsi mentre ne racconta gli ultimi istanti ed alla fine del brano, risuona ancora nella testa e nel cuore la parola PERCHÈ?

 

Con Nino invece torniamo indietro, di parecchi anni, ai tempi di Gramsci, ancora oggi visto dai Gang come “l’oceano dove tornare a nuotare”; Marino si immagina di parlargli, nella sua camera, probabilmente in punto di morte o forse ai giorni nostri, alla luce della situazione attuale. Beh, qualunque sia l’appartenenza politica di chi legge, non si può non trovare in queste parole un attacco feroce ai politici attuali, specialmente quelli più vicini alle idee dei Severini. Un manifesto di coerenza, che spesso ha portato molti meno frutti di quanti meritavano, la storia dei Gang si ritrova in questo testo, che ne spiega da un lato l’esilio e la discriminazione di certa parte del music business italiano, ma dall’altro anche il fortissimo senso di appartenenza che li lega a doppio filo ai loro fans.

 

Gli angeli di Novi Sad è invece una prova di classe clamorosa, un pezzo che davvero alza e di molto l’asticella rispetto ad attese e aspirazioni. Uno sfizio forse, quello del brano orchestrale, ma che trova un risultato fenomenale, richiamando in maniera chiara e del tutto adeguata le atmosfere sia liriche che musicali di Anime Salve e Khorhakanè.

Riferimenti artistici importanti come “Il trionfo della morte” del Cimitero Monumentale di Pisa ed il libro “Il sacrificio” di Renè Girard racconta una versione drammatica dell’europa e delle sue fondamenta, andando a trovare nella guerra del Kosovo il capro espiatorio di ogni male, che permise all’europa di immaginarsi pura e di fingere una nascita. L’orchestra parla di saloni regali, tavole imbandite, sfarzi e ricchezze, parla un linguaggio antico, nobile, che nasconde però atrocità inimmaginabili e volute come un razionale e cosciente olocausto, per fini del tutto egoistici.

 

Tra le novità che un budget importante ha permesso, ci sono i fiati, provenienti addirittura dall’America di Bruce Springsteen, con il quale Barry Danielian, (tromba) e Clark Gayton (trombone) suonano dal vivo da alcuni anni, a cui si aggiunge il curriculum di tutto rispetto di Craig Dreyer (sax). 

 

Sono loro tre i protagonisti del pezzo forse più spiazzante del disco, il soul-gospel di Più forte della morte è l’amore, che unisce in pochi minuti spiritualità e umanità, preghiera e cronaca, divino e terreno e si conclude coi vocalizzi in puro stile Harlem di Hillary Smith. Tratto anch’esso da una storia vera, quella di Gabriele Moreno Locatelli, missionario volontario ucciso a Sarajevo nel 1993, il brano si propone facilmente con una doppia lettura; da un lato si racconta la storia di Gabriele, religioso impegnato in una missione umanitaria ed ucciso da un cecchino, mentre dall’altro l’atmosfera del brano rimanda messaggi religiosi e di forte spiritualità, quasi ad azzardare un paragone tra le vite dei tanti  Gabriele che ancora oggi si donano agli altri e la vita di Cristo. 

Un brano che non ci si poteva aspettare forse dai Gang, ma che invece ad un ascolto attento no stupisce, né dimostra incoerenza; la storia del Gang è storia di terra coltivata, di schiene piegate, di lavoro duro ma anche di condivisione ed accoglienza, dove facilmente si respirano valori di ispirazione cattolica o comunque religiosi. Troppo è infine il rispetto che Marino porta ad ogni tema che affronta per non accostarsi a questo binomio in modo lineare, intenso e splendidamente coerente alla sua storia.

Insieme a Non finisce qui, probabilmente il pezzo che vale il disco e anche una carriera.

 

Sempre i fiati e le atmosfere americane protagonisti in Nel mio giardino, brano a metà tra Graham Parker e il già citato Springsteen, brano perfetto per i pub dove la birra scorre a fiumi come le buone vibrazioni e la voglia di stare assieme; nascosta nel testo, la citazione di “Re Bambino”, pezzo presente nel loro disco “Una volta è per sempre”, fa pensare ad una dedica per Paolo Mozzicafreddo, batterista del gruppo mancato diversi anni fa e sempre ricordato dalla band, mentre Otis Redding balla con la mamma di Sandro e Marino, scomparsa da qualche anno e sua grande fan. Divertimento, affetti e famiglia.

 

Finale di una intensità devastante con Mia figlia ha le ali leggere, un brano che è la summa di tutta una storia, di un cammino che da molto lontano ha portato i Gang fino ad oggi e li proietta verso il futuro grazie anche alle loro radici solide e ben curate. Delicato e quasi country, questo pezzo è dannatamente commovente, il che rende parecchio difficile farne un’analisi, specie per chi di figlie ne ha due e le rivede entrambe in queste note; il legame che dal sangue diventa vita, si fa reale, l’amore che non trattiene ma lascia liberi, la discendenza vista come ponte per l’immortalità, come pass-partout per l’eterno, ma soprattutto come banco di prova per il nostro essere uomini.

 

La dimensione della famiglia, qui come in Non finisce qui, rende questo album un disco caldo, accogliente, lo rende casa, riparo e rifugio, entrate in queste canzoni e troverete la vostra storia, le tradizioni, troverete quel senso di appartenenza che poi alla fine ci accomuna tutti.

Fatevi scaldare da questo lavoro, c’è la storia e la geografia di quello che ancora ci ostiniamo a chiamare Paese e che forse ha un senso grazie a persone fedeli e coerenti come Marino e Sandro.

 

Un ringraziamento particolare a Carlo Martelli e Diego Bucconi per la disponibilità, l’aiuto ed i consigli.

(Il Cala)