Al Teatro alla Scala è in scena sino al 27 febbraioLa Incoronazione di Poppea l’ultima puntata della trilogia monteverdiana coprodotta con l’Opéra di Parigi, Rinaldo Alessandrini per la direzione d’orchestra e Robert Wilson per la regia. Il progetto è stato inaugurato da L’Orfeo nel 2009 ed è proseguito con Il ritorno di Ulisse in patria nel 2011. Per la Scala si tratta di un viaggio alle radici del melodramma e alla riscoperta di un musicista immenso il cui teatro conserva un’efficacia che incanta e seduce anche gli ascoltatori di oggi.



In altra sede ho trattato degli aspetti registici. Queste note riguardano elusivamente la parte musicale. E’ importante sottolineare che dell’opera esistono due manoscritti, uno rinvenuto a Venezia ed uno a Napoli, ambedue senza orchestrazione (o quasi) e con accompagnamento di basso continuo. Inoltre, le due edizioni differiscono in numerosi punti essenziali. Sino alla fine degli Anni Settanta, si utilizzava una versione curata da Raymond Leppard, ma se ne vedevano anche altre che davano all’opera un’impronta melodrammatica, verista e pure wagneriana. Il primo vero tentativo di produrre un’edizione, che tenendo conto di ambedue i manoscritto, riproducesse qualcosa di simile a quando ascoltato nella seconda metà del Seicento è la registrazione in studio nel 1973-74 fatta da Niholkaus Harnancourt con il Cocertus Musicus; venne anche prodotta sulla scena a Zurigo con la regia di Jean Pierre Ponnelle.



Altro tentativo importante di trovare le sonorità e il clima dell’epoca è quello (registrato dal vivo) da Alan Curtis con il Concerto Barocco al Teatro La Fenice di Venezia nel 1980. Da allora non sono mancati tentativi di affinare su questi due filoni. Rinaldo Alessandrini ed Ottaviano Dantone (che presentò un’importante edizione de La Incoronazione di Poppea nel circuito dei ‘teatri di tradizione’ lombardi una quindicina di anni fa) sono stati tra i direttore d’orchestra italiani quelli che più hanno lavorato sulla partitura e prodotto interessanti edizioni sceniche. C’è in materia anche un’ampia letteratura musicologica italiana e soprattutto straniera.



Alessandrini, nel programma di sala di questa edizione alla Scala, fornisce indicazioni su come ha proceduto nel fondere i due manoscritti. Precisa anche che -come tutti sapevamo – l’anziano Claudio Monteverdi, Maestro di Cappella della Basilica di San Marco, lavorava con una squadra, di cui il suo collaboratore più importante era Francesco Cavalli, organista nella medesima Basilica e fecondo autore di opere che oggi vengono riscoperte. Secondo Alessandrini, il 60% della musica de La Incoronazione di Poppea è a attribuirsi a Monteverdi, il resto ai suoi colleghi nella squadra. E’ noto che il duetto più famoso, e più lascivo, con cui si conclude l’opera, è probabilmente frutto di Cavalli (le cui opere sono caratterizzata da un alto grado di sessualità).

Quindi, La Incoronazione di Poppea è il risultato  di quello che oggi si chiamerebbe un ‘collettivo’. Un’altra caratteristica la distingue dagli altri due lavori della trilogia : è stata composta per un teatro commerciale. I teatri veneziani erano di non più di 300, erano dotati di gruppi strumentali essenziali e bastavano voci ‘piccole’ per ottenere le sonorità volute (anche perché gli strumenti erano pochissimi).

A Parigi, la trilogia – inclusa  La Incoronazione di Poppea – è stata presentata alla Salle Garnier , ossia all’Opéra costruita nel secondo Impero. E’ ben troppo grande, ma comunque circa 600 posti meno del Teatro alla Scala ed un’acustica meno dispersiva. Ax-en-Provence per Monteverdi e Cavalli si opta per l’antico teatro cittadino Jeau de Paume che con i suoi 400 posti ha le dimensioni ideali. A numerosi spettatori e critici , l’esecuzione è parsa noiosa . Parte della responsabilità può essere da scelte di Alessandrini, ma parte di avere eseguito La Incoronazione di Poppea, in un’edizione critica (non i vari adattamenti al melodramma, al verismo, al wagnerismo) nella grande sala del Piermarini dove voci e suoni si perdevano.