Ho forse sostenuto quella che è stata una delle telefonate più cariche di emozione della mia vita, a parlare con me c’era infatti Luigi Grechi De Gregori, ma soprattutto c’era un uomo che ha fatto della musica la sua linea continua nella vita, una musica che esce dal cuore, una musica senza barriere o meccanismi, una musica che lui percorre dai primi anni 60, quando, mi raccontava lui, a Roma si riunivano popolazioni e generazioni più diverse di artisti uniti dall’unico scopo della musica come unica forma d’arte.
Luigi nasce e cresce musicalmente al Folkstudio, importantissimo locale a Trastevere che ha visto esibirsi nomi importanti di ogni genere, da De André a Francesco De Gregori, da Bob Dylan a Odetta, tutti coloro che non imparavano la musica prettamente in una scuola, ma dalla genialità e l’ingenuità del talento senza troppe formalità, così come lo stesso Luigi, che muove i suoi primi passi a Trastevere, sfoggiando poi album che lo hanno reso noto per la sua semplicità e per la capacità di trasmettere l’emozione a prescindere dal modello da seguire.
Controccorrente nelle mode, ha deciso di ripagare il suo debito morale verso coloro che lo hanno fatto diventare quello che oggi è, verso coloro che si sono impegnati affichè lui potesse trasmetterci ciò che ha imparato, uno su tutti Cesaroni, che prese in mano il Folkstudio e lo lasciò esattamente com’era, libero di espressione e di talento.
Hanno così deciso durante una cena Luigi Grechi e Francesco Pugliese (noto chirurgo e Primario di Roma) di ricominciare la ricerca verso l’altra medaglia del pubblico. Una decisione coraggiosa, un rischio, un “Azzardo” per citare uno dei pezzi più belli di Luigi Grechi. Non è vero che tutti amiamo la stessa musica, perché non tutti abbiamo le stesse emozioni, e loro è per questo che si esprimono, con i “Giovani” del Folkstudio, per dare a quella fetta di pubblico che non ama troppo il commerciale, la possibilità di ascoltare anche quello che è forse meno ricercato, ma mai meno importante.
Una piccola realtà mi diceva Luigi, io posso confermare che forse è una piccola realtà, ma è assolutamente destinata ad essere qualcosa di grande, di raro, perché la raffinatezza del ricercare tutti per una sola musica è dote che pochi possono davvero avere. Non sono di certo mancati contratti discografici a Grechi, ha portato il nome di importanti case di produzione, ma questo non gli ha mai fatto perdere il vero senso della sua arte, non ha mai messo in discussione cosa era la sua vera natura e la sua gioia di trasmettere.
Presso L’Asino che vola, a Roma dal prossimo 10 febbraio, loro si esibiscono a martedì alterni, proprio per portare questo progetto alle origini, cavalcano il palco diversi generi di artisti, dall’emergente, al conosciuto, dal giovanissimo al meno giovane, dall’uomo alla donna, si improvvisa, e si vive per la musica senza aspettarsi il grande pubblico o lo stadio.
«Non siamo più negli anni Settanta – raccontano Luigi “Grechi” De Gregori e Francesco Pugliese – e anche la parola folk chiede di essere ridefinita, ma in questo non vogliamo essere noi a fare scuola: tutto dipenderà dalle proposte musicali e dal pubblico che abbiamo riunito e che riusciremo ancora ad aggregare in futuro». Il titolo della serata, Noi non ci saremo è stata scelta in scherzosa antitesi con il contemporaneo festival di Sanremo: nessun tentativo di concorrenza, spiegano, ma solo la voglia di far consoscere energie creative autoctone alternative al palco dell’Ariston.
Io ci sarò a Roma, e continuerò a raccontarvi di questa fantastica avventura…