“Tracker”: tracciare, inseguire. O anche ricordare, come spiega lo stesso Mark Knopfler: “Il titolo dell’album ‘mi è arrivato mentre cercavo di rintracciare la mia strada nel corso dei decenni. Al di là e fuori di me, inseguendo il tempo, guardando alle persone, ai posti e alle cose del mio passato e anche da quello che è il processo di registrare come quando si registrano le tracce di un disco (“tracks”, tracce, canzoni nel linguaggio musicale, nda)”. Un disco nostalgico? In realtà il modo della nostalgia è sempre stata la cifra artistica dell’artista scozzese, sin da quando esordì con i Dire Straits nel lontano 1978. Nonostante gli avvincenti, scatenati e arrembanti ritmi swing rock di quel gruppo, nella voce melanconica e nell’anima delle sue canzoni c’è sempre stato quel sentimento di malinconia, così british, come una giornata tra la pioggia e la nebbia e il freddo delle città inglesi.



Di nostalgia in “Tracker” ce n’è parecchia, ma quello che stupisce è come Knopfler non sbagli mai un disco. A 65 anni è ancora in grado di produrre dischi, uno dopo l’altro (l’ultimo, il bellissimo “Privatering” solo tre anni fa, che resta forse il suo miglior lavoro solista) sempre efficaci, sempre ricchi di bellissime canzoni. La formula è sempre la stessa, esplorata a fondo ma evidentemente sempre ricca di cose da portare in superficie. Da una parte le radici celtiche della sua Scozia, dall’altra il senso del blues e della ballata folk nord americana. Un mix che Knopfler riesce a rendere sempre avvincente e senza stanchezza. 



Che Knopfler guardi indietro lo si capisce immediatamente da un brano come Beryl, che nel riff di chitarra fa immediatamente venire in mente il suo brano più famoso, Sultans of Swing. Si cita, ma in maniera per niente auto celebrativa, anzi sembra essersi liberato dal complesso del suo ex gruppo, sentendosi libero di riprendere quelle atmosfere che lo hanno reso una star. Beryl contiene l’essenza di questo straordinario musicista, fraseggi di chitarra limpidissimi ed esaltanti, cantato pieno di suggestioni. E’ la storia della scrittrice inglese Beryl Bainbridge, scomparsa nel 2010, scarsamente riconosciuta quando era in vita, fatto di cui Knopfler sottolinea l’amarezza, tranne poi premiarla dopo morta. Ricordi, sofferenze, ingiustizie.



Altrove il ricordo è ai bei giorni andati, quelli della giovinezza, quando “eravamo così giovani, e sempre a pezzi, ma non ce ne fregava granché”, nel pezzo che apre il disco, bellissima ballata dai sapori roots, aria di paesaggi scozzesi nei solchi, Laughs And Jokes And Drinks And Smokes. Un titolo che è un programma: risate, scherzi, bevute e fumate.I ricordi scorrono pieni di sentimento anche in Basil, questa volta con la dedica al poeta Basil Bunting che Knopfler conobbe quando da ragazzo lavorava come apprendista al giornale della sua città, il Newcastle Evening Chronicle. 

Skydiver è un’altra magnifica esibizione di chitarrismo di classe cristallina mai indulgente come nel suo stile, che incrocia stili ed effetti diversi, con quell’aria così disincantata del miglior Knopfler: per dirla alla Sting, un inglese perso per le strade d’America, tra vaudeville e deserti texani. In un pezzo come questo, quarant’anni e passa di carriera senza sbavature. Anche Mighty Man, con quell’intero di chitarra, ricorda i tempi dei Dire Straits, stemperandosi in atmosfere cinematiche e in una melodia di taglio popolare piena di mestizia. C’è tempo anche per salutare e ricordare l’Italia, nella delicata Lights of Taomina, brano che omaggia un classico dello spanish soul newyorchese, Save the Last Dance for Me.

E se Broken Bones è poco più di uno scherzo, un riff ossessivo con svisate in chiave wah wah, il disco si conclude con la delicata Whenever I Go in duetto con la brava cantante canadese Ruth Moody, che per forza di cose ricorda i duetti meravigliosi del disco inciso in coppia con Emmylou Harris.

Mark Knopfler, uno che non sbaglia un disco. Quale sarà il suo segreto?