La sera del 26 febbraio c’erano alcune file di poltrone vuote e non tutti i palchi erano pieni. Quasi che ‘la-Milano-che-può’ avesse voluto snobbare il vero capolavoro composto da un Mozart sedicenne, ma in piena ebollizione ormonale, nel 1772 su un insulso libretto di stampo metastasiano firmato da tale Giovanni De Gamerra. Eppure, quando la produzione debuttò, nel gennaio 2014, a Salisburgo fu un grande successo internazionale. Era la prima volta che  Marc Minkowski dirigeva alla Scala e con la messa in scena di Marshall Pynkoski arrivava al Piermarini la regia “storicamente informata” e voci giovani ma di già di grande prestigio coronavano lo spettacolo (Kresimir Spicer, Lenneke Ruiten, Marianne Crebassa e Giulia Semenzato). I meno giovani forse ricordano che quando, per la prima volta dal 1772, Lucio Silla venne presentato a Milano , nel 1984, con la regia di Patrice Chéreau, l’opera venne giustamente considerata un capolavoro troppo a lungo ignorato. 



Spieghiamo perché. Il lavoro ha la struttura di un’”opera seria’” settecentesca: una successione di arie (spesso con ‘da capo’), alcuni duetti, un paio di terzetti e quintetti. Il tema è il ‘tiranno’ cattivo che diventa  buono e  clemente e dopo una serie di peripezie nell’arco di una giornata (regna l’unità aristotelica) si pente e si redime, lasciando lo scettro e diventando un agricoltore. Da questo tema illuminista , però, emerge quello che diventerà una determinante della poetica mozartiana: la forza, la tenacia e l’astuzia della donna (in questo caso Giunia) che sconfigge il tiranno. E’ nella musica più che nel testo.



In effetti, il sedicenne Mozart, già pieno di amanti nella Milano granducale, conosceva e descriveva la potenza libertaria della femminilità meglio di gran parte dei suoi contemporanei. Ciò non poteva non avere riflessi sulla struttura musicale.

L’’opera seria’ è concepita per il ‘belcanto’ , che fa ‘suonare la voce’ e dipingere i sentimenti dei personaggi. Ma il giovane Mozart va ben oltre. Dai primi accordi in re maggiore della ouverture, avvertiamo che siamo in mondo differente da quello delle damine e dei cavalieri settecenteschi. Non solo il concetto della liberazione , e dominazione, della donna è rivoluzionario ante litteram ma vocalmente si va dal canto legato, al canto spianato, agli abbellimenti con un orchestra diretta non unicamente a sostenere i cantanti ma a creare atmosfere. Ci sono anticipazioni di Rossini (la scena del cimitero) e anche del Gluck romantico di Iphigénie en Tauride. Per molti aspetti sorprende che dal 1772 al 1929 (prima ripresa in Germania) il lavoro sia stato ignorato e sia stato rappresentato in Italia unicamente nel 1984 a Milano e nel 2006 a Venezia.



L’allestimento coprodotto dalla Scala e Salisburgo è una gioia per le orecchie e per gli occhi. Marc Minkowski accarezza l’orchestra, mettendo, però, in evidenza i chiaro-scuri della partitura e le premonizioni romantiche dell’orchestrazione. Kresimir Spicer è un bar i-tenore, con qualche difficoltà negli acuti compensata da un grande presenza scenica. Lenneke Ruiten è un vero soprano assoluto a cui si può presagire una grande carriera. Buoni gli altri tre soprano (Marianne Crebassa, Inga Kalna, Giulia Semenzato) , ciascuna con una vocalità leggermente differente – due sono in ruoli maschili. 

 Di grande impatto  lo spettacolo di Marshall Pynkoski : non ci viene proposta una Roma di cartapesta ma un’ambientazione settecentesca ispirata alla pittura dei contemporanei del giovane Mozart grazie alla scenografia di Antoine Fontaine (che ha firmato le scene di film come Vatel di Roland Joffé con Gérard Dépardieu e Marie Antoinette di Sofia Coppola con Kirsten Dunst).  Efficace la coreografia di Jeannette Lajeunesse Zingg .

Si replica sino al 17 marzo. Da non mancare.