Approda domani sera al prestigioso Teatro Sociale di Como lo spettacolo “Grazie Maestro”, un tributo a Enzo Jannacci in scena da diversi mesi e che presenta un cast straordinario. Oltre a musicisti come Paolo Tomelleri (con Jannacci sin dalla fine degli anni 50) e Sergio Farina (chitarrista storico in studio e dal vivo di Jannacci) anche cantanti e attori appartenenti a generazioni più giovani, ma che comunque hanno lavorato con Enzo se non addirittura sono stati scoperti da lui. E’ il caso dell’attore/cantautore Osvaldo Ardenghi, che è anche un po’ il cuore e il motore di questo spettacolo insieme a Silvia Reggiani e Giulio Falco dell’Associazione “Quelli che… Enzo Jannacci ce l’hanno nel cuore”. Lo spettacolo infatti prende il titolo dalla canzone che Ardenghi ha dedicato al suo maestro. Oltre a questi nomi il trombettista Marco Brioschi e il fratello pianista Paolo, Flaviano Cuffari alla batteria, il bassista Piero Orsini, le cantanti Beatrice Zanolini e Silvana Lorenzetti, i cantautori Claudio Sanfilippo e Stefano Usini. Il duo di comici e attori Bove e Limardi portano sul palco l’anima cabarettistica di Jannacci facendo dello spettacolo un tributo unico. Tutti hanno in qualche modo intrecciato i loro percorsi artistici con quello dell’artista milanese.
A Como (dove si raccomanda di arrivare per le ore 20 e 30) ci saranno diverse novità rispetto agli spettacoli precedenti, come ci ha spiegato Osvaldo Ardenghi: “Innanzitutto adesso abbiamo un vero regista, Dario Barezzi, che ha lavorato tanti anni con Enzo. Il suo apporto è stato fondamentale per dare profondità e respiro a tutto lo spettacolo. Ci saranno poi dei brevi video inediti di Jannacci, girati sempre da Barezzi, che serviranno a legare una scena all’altra. E poi ci sarà l’esecuzione di brani rivisitati, ad esempio Silvano cantata da Bove e Limardi o L’Armando che farò io”. Spiace che uno spettacolo di questo livello non sia stato ancora presentato nella città di Jannacci, Milano: “Purtroppo i costi per i teatri a Milano sono per noi proibitivi, non abbiamo trovato sostegno dall’amministrazione o da sponsor. Adesso però siamo in contatto con il Conservatorio, forse finalmente riusciremo ad esibirci là”. Parlando con Ardenghi si avverte tutto l’entusiasmo e l’amore pulsante per il suo “maestro” Jannacci: “E’ più vivo che mai, io vorrei lo si portasse nelle scuole come si fa con De André, non c’è più nessuno oggi che come lui sappia cantare il sociale”. Domenica 29 poi sarà anche il secondo anniversario della scomparsa di Jannacci: “Lo ricordo così, una sera che mi trovavo a Milano e decisi di andare a trovarlo a sorpresa a casa sua. Suonai il citofono e la porta si aperse contemporaneamente. Era lui, mi fece prendere uno spavento… Mi disse: aspettami venti minuti che torno. Lo vidi salire in motorino, stava andando a portare un certificato medico a un operaio malato, roba che normalmente i dottori non fanno neanche in macchina. Lui era così ed è per questo che tutti quelli che l’hanno conosciuto dicono una cosa sola quando pensano a lui: grazie. D’altro canto le sue canzoni parlano chiaro”.
Paolo Tomelleri ha diviso la sua storia musicale con Enzo Jannacci sin dagli esordi, quando i due militavano nei Cavalieri. Era il 1959 e con loro c’era anche Luigi Tenco. La storia musicale con Jannacci ha avuto momenti di interruzione e di ripresa, ma dietro al successo di un brano simbolo come El portava i scarp del tennis c’è proprio Tomelleri: “Un giorno Enzo venne a casa mia” ci ha raccontato “e mi disse: ho composto un brano per te. Io suonavo il sassofono e questa melodia che lui mi fece sentire al pianoforte mi sembrava inadatta al mio strumento. Glielo dissi e lui ci pensò su. Poco dopo tornò con quella che era diventata El portava i scarp del tennis“.
Il ricordo di quell’episodio lo fa sorridere ancora oggi: “Probabilmente se me la fossi tenuta sarebbe rimasta uno dei tanti brani che suonavo, magari sarebbe finita in fondo a qualche baule dimenticato. Invece posso dire con orgoglio di aver spinto Enzo a farla diventare quel brano formidabile che è con quelle parole che erano così innovative, genuine e rivoluzionarie”. Al Teatro Sociale Tomelleri suonerà il suo sassofono in alcuni brani celebri di Enzo: “Nel corso degli anni con Enzo ci siamo lasciati e ritrovati. Adesso suonare le sue canzoni senza di lui non è tornare a cose che facevo, è davvero ripercorrere una strada senza il mio compagno a fianco”. Lo dice con una certa commozione, segno di quanto queste persone più che musicisti, erano degli amici. “Penso che oggi Enzo dopo la sua scomparsa cominci a essere ricordato più di quando fosse in vita” dice, aggiungendo quanto Jannacci secondo lui sia stato “la voce più importante di Milano”: “Giorgio Gaber, con cui ho suonato, era il cantante di una certa realtà sociale, non cantava Milano, cantava una società. Ha fatto brani importanti per Milano, come Porta Romana, ma il Gaber più importante era un altro”. Forse quello che li accomunava è che erano entrambi due uomini liberi? “Assolutamente sì. Ma Enzo era Milano” dice convinto delle sue parole. “Nella sua follia, nel suo delirio di immagini e visioni che sovrapponeva, Enzo era davvero la voce di Milano. Prendeva su di sé le persone che incontrava per strada esasperandone le figure e rendendole così più visibili per tutti”.
“Il vero Jannacci?” dice Sergio Farina, chitarrista storico di Enzo, con lui sul palco fino all’ultimo. “Era prima di tutto un musicista, un musicista vero, per questo ha scritto tante canzoni così belle. Aveva un bagaglio musicale vasto, aveva cominciato da giovane suonando il pianoforte e la musica jazz, ecco perché da quando ha cominciato a scrivere canzoni, oltre ai testi e all’interpretazione c’è sempre stata una musica così bella in quello che componeva”. Per Farina, il vero Jannacci però “è quello degli anni Sessanta, quello che ha scritto tutte quelle canzoni legate ai poveri di Milano. Non a caso, nel corso dell’ultima tournée aveva voluto tornare proprio a quelrepertorio e siamo tornati a proporre tante canzoni in dialetto milanese. A differenza del periodo degli anni Novanta, quando aveva tentato una strada un po’ pop e un po’ rock, era tornato a essere il vero se stesso, quello migliore”.
Uno spirito libero, anche nella musica, Enzo Jannacci: “Lasciava sempre ampio spazio ai suoi musicisti. Ricordo quando incidemmo Quelli che. Arrivava in studio scherzando e diceva: ho tutto qui, ho scritto tutto. E tirava fuori un pezzetto di carta grande come un francobollo. In realtà non aveva preparato quasi niente, aveva in mente solo un canovaccio generale. Poi nasceva tutto in studio, tutti insieme, con me e Tommelleri che scrivevamo le parti dalle sue idee”.
Farina ha condiviso anni di concerti con Janancci: “Sul palco era sempre creativo. Ho lavorato anche con Giorgio Gaber, un altro gigante, ma c’era una grande differenza con Enzo. Gaber era un ragioniere, preciso e attentissimo a ogni particolare, i concerti erano tutti uguali. Jannacci invece arrivava ai concerti con un canovaccio su cui imbastiva ogni cosa. Quando cominciava a parlare partiva per la tangente e c’erano le serate in cui ci imbroccava ed erano grandi, le serate in cui imbroccava meno” dice sorridendo. Un uomo che non si nascondeva nella musica, ma era sempre attento e partecipe di ogni cosa intorno a lui: “Eravamo in studio a registrare non ricordo se era il giorno del rapimento di Aldo Moro o il giorno quando l’hanno trovato morto. Saputa la notizia ha detto: basta chiudiamo tutto e andiamo anche noi in piazza del Duomo dove c’era una manifestazione spontanea e così abbiamo fatto”.
E’ contento Farina di occasioni come quella che si terrà al teatro Sociale di Como, momenti in cui riprendere a suonare quelle canzoni: “Mi manca molto. Nell’ultimo periodo andavo spesso a trovarlo, è stato molto doloroso vederlo andare via così. Mi manca molto dal punto di vista musicale ma soprattutto mi manca l’amico”.
Per Andrea Bove del duo comico Bove e Limardi, “quello di stasera è uno dei pochi spettacoli che ricordano il maestro. Forse perché manca un’organizzazione ufficiale che se ne occupa, forse perché è scomodo, è come se facesse ricordare certi valori che sono stati abbandonati. Dava fastidio quando era vivo, e continua a dare fastidio anche adesso. Poi è uno spettacolo particolare perché ha la sua musica, proposta dai musicisti che hanno suonato con lui, ma anche la sua parte cabarettistica. Il pezzo “Il caldo” che facciamo io e Enzo è nato come spunto iniziale al Bolgia Umana, ma poi per lo più a casa del maestro. Eravamo io, Enzo e mio cugino che era lì per caso perché mi aveva accompagnato. E’ un pezzo che ha avuto molta fortuna e al maestro piaceva tantissimo”. Obbligatorio chiedergli allora cosa fosse la comicità per Jannacci: “Non lo so cosa fosse per lui la comicità. Posso dire cosa ha insegnato a me. Ha insegnato una comicità che in tre parole potrei descrivere così: non essere volgare, ricercare sempre e sorprendere. Volgare non significa evitare parolacce, ma evitare di usare le parole per ingannare. Lui ci ha insegnato un certo uso delle parole. Le parole per lui erano un macigno e ad esse è legato un mondo. Adesso usano le parole in modo strumentale così da far cadere il loro significato. Ci ha educato a una lealtà nell’uso delle parole. Perché noi usiamo la parola ma la parola crea il pensiero e il pensiero crea movimento, crea realtà. Se impoveriamo la parola, il nostro pensiero e la nostra realtà s’impoveriscono. E così non c’è più ricerca vera, non c’è più cultura”. Aggiunge: “Di fronte alla ragazzina che muore perché nessun ospedale l’accetta, non puoi dire: è colpa dei politici, perché questo è generico ed eludere la realtà.
Il maestro era un poeta per questo, perché usava le parole ed erano macigni. Ed erano importanti. Un’altra cosa mi ha insegnato a riguardo della comicità: la sorpresa, il ribaltamento. E’ questo che crea comicità”: E ricorda questo episodio: “Una volta di fronte a una battuta stupida lui ci tirò dietro una sedia. Non ci eravamo accorti che era dietro le quinte, pensavamo fosse andato via e ci eravamo lasciati andare a battute banali… lui non ci permetteva ci rifugiassimo in cose del genere”. Ma è ancora Jannacci-uomo che emerge dalle parole di Enzo Limardi che ricorda quante persone continuano ancora a ringraziarlo per averlo fatto conoscere loro. “Lui apriva il mondo. Nessuno come lui ha saputo immedesimarsi nella povera gente, nella gente che soffre, nella gente normale. Sapeva ‘entrare’ nelle persone, poteva entrare in un idraulico e farti sentirei cosa sente un idraulico. Ci sono cose che si possono scoprire solo ascoltando lui”.
(Paolo Vites, Silvia Becciu)