Non c’è una canzone di Claudio Chieffo che non sia stata scritta pensando alla sua compagna di vita, la moglie Marta. A dirlo è lui stesso, come si legge nel libro di Paola Scaglione (“La mia voce e le tue parole, Itaca Libri). Ripensare queste parole potrebbe fare effetto a chi è abituato a pensare le canzoni di Chieffo come “canti di chiesa”, ma ovviamente non dovrebbe fare alcun effetto. Per due motivi. Il primo è che come sa chiunque abbia minimamente amato, è proprio la donna il modo preferenziale con cui Dio si comunica: attraverso la sua bellezza e la sua capacità incondizionata di amare. Non avrebbe scelto Maria altrimenti perché suo Figlio si facesse uomo e dunque incontrabile. Il secondo è che le canzoni di Claudio Chieffo sono molto di più che semplici “canti di chiesa” o “di movimento”. Sono la storia di un uomo, nella carne e nel sangue.



Anche per Marta non c’è da meravigliarsi: “Il nostro rapporto non è mai stato dei più facili” dice oggi. “Eravamo molto diversi per temperamenti e carattere per cui i momenti difficili non sono mancati. C’era però una evidenza sin dall’inizio che non è mai venuta meno, e cioè che era chiarissimo che in mezzo a noi c’era un Altro. C’era una presenza che dava senso e rendeva più vero il rapporto, è sempre stato così. Il nostro rapporto non era un guardarsi negli occhi e dirsi come ci piaciamo, ma era per qualcosa d’Altro. Questo Altro passava attraverso le cose semplici o quelle difficili, come anche il suo scrivere canzoni”. 



Una Presenza che, dice ancora Marta, “ha reso sempre più stabile il nostro stare insieme, lo ha reso più grande di quello di chi vive beato e contento senza mai litigare”.

A proposito di Marta, Claudio ha detto anche che era “l’arma preferita di Dio per tenerlo legato a Lui. Una espressione che dice sottinteso di un uomo che ha vissuto la vita e la fede come una battaglia: “La sua vita è stata spesso una battaglia, il suo scrivere canzoni anche fonte di sofferenza. Ma io sapevo che le sue canzoni dovevano andare in giro, essere conosciute, perché erano importanti anche per gli altri, non solo per noi. Ci sono state delle volte in cui lui voleva smettere, diceva di non farcela più, ma io lo spingevo a continuare. A volte mi sono anche pentita di averlo fatto, forse gli ho anche fatto del male, ma sono sempre stata convinta che non doveva fermarsi”.



La vita di un musicista, di ogni musicista, è una vita che per forze di cose concede uno spazio limitato alla famiglia. Per Marta questo però a differenza di tante altre donne nella sua condizione non è mai stato un problema: “Non ho mai avuto il minimo dubbio in proposito. Certo, quando tutti i figli erano malati e lui prendeva e partiva, mi incavolavo, ma passava subito. Non mi è mai passato per la mente di dirgli resta a casa con la tua famiglia, perché anche quello, andare in giro a suonare, era parte della famiglia. Lui era anche quello e non l’ho mai fermato”. Anzi, ride Marta, “se non lo chiamavano a suonare diventava insopportabile”. 

Chieffo ha scritto tantissime canzoni. Viene da chiedersi a quali sia legata di più Marta. Lei si schernisce: “Dipende dai momenti. Oggi mi vengono in mente a seconda del momento che sto vivendo. Qualche tempo fa pensavo continuamente a Reina de la paz, per certe parole della canzone. In altri momenti Il viaggio“. Una cosa però ha chiaro oggi: “Sono diventate più presenti adesso di quando c’era lui. Credo di capirle più adesso di quando le sentivo cantate o mentre le componeva. Acquistano un senso più grande, le capisco e mi dicono di più ed è una cosa che mi hanno detto anche altre persone”. 

Una grande canzone è tale proprio perché non smette mai di rivelare significati che appaiono inediti di volta in volta: “Penso che sia stato un po’ un profeta. Riusciva a dire cose senza forse esserne consapevole neanche lui, però quanto più vai avanti nella vita e vivi esperienze più a fondo, tanto più le sue canzoni dicono sempre di più”.  

 

Caso unico in Italia, le canzoni di Claudio Chieffo sono diventate patrimonio pubblico, come accaduto solo in America ad alcuni cantanti. Le sue canzoni si cantano nelle chiese o negli incontri pubblici. Questo fa sì che inevitabilmente vengano modificate, talvolta caricate di significati che invece non hanno: “C’era un periodo che ero molto infastidita quando sentivo che venivano storpiate o cantate in modo lagnoso” dice Marta. “Adesso invece non più. E’ più importante che le cantino anche senza capirle che non le cantino per nulla. Se uno ha un minimo di desiderio di verità forse anche attraverso una storpiatura qualcosa arriva comunque. Mi fa star male il pensiero che possano venir dimenticate”.

 

Ci sono tre persone in particolare che probabilmente hanno colto fino in fondo il significato delle canzoni di Chieffo. Uno è l’attuale vescovo di Ferrara, monsignor Luigi Negri, che è stato amico di Claudio sin dai tempi del liceo. Altri due sono don Luigi Giussani e il pittore americano Bill Congdon, che sempre hanno espresso una sintonia fortissima con le sue canzoni. “Le poche volte che ho passato dei momenti di intimità con Bill o con Giussani” dice Marta”mi era evidente quanto loro fossero in sintonia con Claudio. Ho sempre percepito che ci fosse una sintonia di fondo tra Giussani e lui, una sensibilità comune, un modo di sentire le cose in comune. Questo perché credo che Giussani fosse anche lui un artista. Ognuno a modo suo diceva la stessa cosa. Capitava spesso che Giussani dicesse: in questa canzone hai detto esattamente quello che io ho messo delle ore a dire, sai arrivare direttamente al punto”.