Nel periodo pasquale c’è una forte tendenza a riempire i teatri (le chiese ed altri spazi adatti a concerti e a rappresentazioni) con lavori di puro repertorio oppure a carattere re religioso o comunque spirituale. Il vostro chroniquer è andato invece ad ascoltare una nuova opera rock (o meglio uno spettacolo di rock con danza atletica moderna) in tournée nel centro nord sino al 17 aprile: Il Vestito di Marlene, uno sforzo comune della Myula Sungani Company e del gruppo rock Marlene Kuntz.
Occorre forse spiegare perché tale scelta.
La Roma governata da Matteo Renzi e Ignazio Marino assomiglia sempre più alla Berlino descritta dalle novelle di Christopher William Bradshaw-Isherwood, tradotte in un’opera rock e film di successo, Cabaret. Dilagano disagio e povertà, aumento differenze sociale e malaffare (a volte ‘per dare un esempio’ si mettono alla gogna innocenti neanche indagati ma con la grave colpe di pensare con la testa loro), spira aria autoritaria ma quaranta teatri, tra grandi e piccoli, sono in attività, pullulano i bar con ‘aperitivi rafforzati’, la movida si è impossessata di interi quartieri. Pensavo, quindi, che Il Vestito di Marlene fosse un adattamento ai nostri tempi e luoghi delle novelle di Isherwood. Tanto più che veniva presentata nella sezione danza dell’Accademia Filarmonica Roma.
Nulla di tutto ciò. E’ una vera e propria opera rock, genere sì di importazione dagli Stati Uniti ma di cui l’Italia ha una lunga tradizione che risale al 1967 quando Tito Schipa jr. presentò Then an Alley ,anche nota come The Beat Oper, basata su 18 canzoni di Bob Dylan inserite in una messa in scena teatrale. Ad essa segui Orfeo 9 sempre di Tito Schipa jr proposta con grande e meritato successo al Teatro Sistina della capitale. Tra le opere rock americane (che sarebbero adatte al periodo pasquale) vorrei considerare la bellissima Mass di Leonard Bernstein che nel 1971 venne commissionata per inaugurare, nel nuovo teatro dell’opera, il Kennedy Center for Performing Arts sulle rive di Potomac, a Washington.
Ma veniamo a Il Vestito di Marlene. Prima sorpresa: un Teatro Olimpico (dove spesso il pubblico latita anche per la difficoltà di trovar parcheggio e di raggiungerlo con mezzi pubblici – è nato come cinema teatro di quartiere) affollatissimo di giovani, in gran parte giunti in scooter. Seconda sorpresa: i 90 minuti (senza intervallo) fanno pochissime concessioni alla vocalità (ci sono solo tre o quattro canzoni) mentre lo spettacolo è composto essenzialmente di musica rock elettronica, danza ed affascinanti giochi di luci. La partitura è molto intensa, quasi angosciante. Il tema è la flessibilità e la sensualità del ruolo femminile; le sette danzatrici sono abilissime e muscolose atlete quindi non particolarmente attraenti sotto il profilo erotico. Differenti due dei tre ballerini (il terzo con giacca e cravatta si dedica al tango ed al tip tap); atletici, glabi e in slip fanno gridare alcuni componenti del pubblico femminile “Mamma vi ha fatto proprio belli!”.
Il senso dello spettacolo è che le donne sinuose attirano ma i maschi sono piuttosto brutali, anche quando ciascuno dei due si confronta in parallelo con tre di esse. Più che a Isherwood, si va con la mente a Egon Schiele.
Dopo un’un’ora e mezza, il pubblico non applaude entusiasta ma fa un’ovazione e chiede il bis di una performance che, senza dubbio, ha lasciato gli interpreti esausti per i rocamboleschi giochi atletici per dare corpo alla musica dei Marlene Kuntz.
A qualcuno, l’opera piace rock.