Ci aveva visto giusto, come sempre d’altro canto, Enzo Jannacci, quando disse che il concerto del primo maggio avrebbe finito per assomigliare al festival di Sanremo, ma in peggio, perché lì, almeno, disse, “ci sono delle belle canzoni. Qui invece, gridano molto”. Parole dette un paio di giorni dopo la sua esibizione proprio al concertone del primo maggio del 2005. Enzo Jannacci era stato invitato a esibirsi come l’ospite di grido, come era giusto che fosse, vista la sua carriera ultra decennale e il peso di questa carriera. Ma il pubblico del primo maggio non gradì e furono fischi, soprattutto per aver avuto l’ardire di eseguire un pezzo di tale profondità e intensità (Sei minuti all’alba, storia che racconta gli ultimi attimi di vita di un condannato a morte perfettamente in tema con il significato di quella serata), troppo difficile e troppo poco in sintonia con quel pubblico.



Viene da chiedersi cosa resta, dopo dieci anni, del senso di una manifestazione come questa se il pubblico è ancora quello che non riuscì “a entrare in sintonia” con Enzo Jannacci. Resta un gran casino, come a qualunque concerto dove si vada per sballarsi, sfogarsi, ubriacarsi. Insomma dimenticarsi di sé. 



Che il primo maggio ormai da molti anni sia solo una passerella per artisti con il disco in uscita o da promuovere con un passaggio di lusso in televisione comunque è un dato di fatto. Le case discografiche impongono, i sindacati incassano, il pubblico gradisce o meno. Quest’anno, visto il cast, forse un po’ di meno, ma soltanto perché le case discografiche ormai non esistono quasi più. 

“Credo che questo concerto vada un po’ ripensato: mi pare ci sia troppo baccano, quando il rumore dovrebbero farlo solo i ragazzi del pubblico non le band. Molti, invece di fare cose semplici, investono su questo concerto per promuovere i loro nuovi dischi o per fare qualche serata in più. Mi piacerebbe vedere cose più dirette e semplici, credo che se Springsteen fosse stato qui, avrebbe suonato all’antica, chitarra e voce” commentò Jannacci, centrando ancora una volta la questione.



Sul palco quella sera del 2005 c’era anche Francesco De Gregori. Si era esibito prima di Jannacci e lo invitò a fare un pezzo insieme. Così ha ricordato a ilsussidiario.net quei momenti: “Il pubblico del primo maggio è un pubblico un po’ particolare a cui piace far casino. Certo, Enzo era un personaggio non facile per quel pubblico. Lo considero uno dei padri fondatori della canzone italiana”. Del duetto di quella sera, De Gregori dice che non fu facile stare dietro a Jannacci: “Feci fatica a stargli dietro, lui aveva uno swing tutto suo in cui era difficile entrare. Di fatto, era un musicista jazz. Ho cantato e suonato con un altro musicista che era profondamente jazz, Lucio Dalla, ma con Enzo non credo di essere riuscito a entrare dentro fino in fondo”. Il brano prescelto fu Sfiorisci bel fiore, una canzone che in passato De Gregori aveva già eseguito, inclusa anche in un disco dal vivo dei primi anni Novanta. Il duetto di quella sera, come documentano ancora oggi i filmati disponibili su Yioutube, fu tutto tranne che brutto, comunque. Anzi, decisamente toccante. Non poteva essere altrimenti con una canzone di tale bellezza. “Quando seppi che Jannacci si sarebbe esibito anche lui lo chiamai e gli proposi un duetto. Da ragazzino, negli anni sessanta, quando veniva a Roma andavo a trovarlo in camerino, l’ho sempre amato fin da allora. All’inizio pensavamo di fare anche Vengo anche io no tu no, poi decidemmo di fare quella”. Jannacci per De Gregori? “Un gigante della canzone. Quei fischi furono davvero fuori luogo”. 

Furono fischi che Enzo Jannacci soffrì. Come raramente successe nella sua carriera, sentì il bisogno di dire qualcosa. Seduto al pianoforte elettrico, prima di lanciare una travolgente ed esaltante E la vita la vita (un gruppo formidabile di accompagnamento, una esecuzione folgorante la sua, una lezione di musica per quelli che erano saliti su quel palco e anche per quel pubblico) non sembrava lo Jannacci scanzonato, irridente, provocatorio di sempre. Anche il tono della voce era diverso. Si percepiva rabbia, ma più che rabbia dolore per quel pubblico di ragazzi che non capiva. Ma Jannacci capiva che quei ragazzi al concerto erano gli stessi che poi sarebbero andati a casa, a scuola, all’università, al lavoro. E se non avevano capito il senso di una canzone come Sei minuti all’alba tanto da fischiarla, allora non avrebbero capito neanche il senso del loro lavoro e del loro studio. A qualcuno piace dividere i momenti della vita in comparti stagni chiusi fra loro, ma non è così che funziona. Un cuore che non sa ascoltare una canzone non sa neanche ascoltare il suo professore o il suo compagno di lavoro. 

“Sembra che per molti la vita sia un modo per morire, ma alla vostra età non si pensa alla morte, se mai lo fanno quelli che hanno la mia età. La vita non è una cosa, non è un viaggio sperimentale fatto involontariamente. Non è neanche una selva di piaceri, un orgasmo sparso”. Poi, ricordando una partita di calcio fra non vedenti a cui aveva assistito qualche giorno prima, l’affermazione colma di stupore, come era la cifra di quest’uomo: “Mi è venuta la pelle d’oca e dovrebbe venire anche a voi. Per i disabili la vita è ancora un miracolo”. 

Una testimonianza di vita furono quelle parole di Jannacci. Chissà se qualcuno fra il pubblico le ascoltò. Per chi lo ha fatto, il mondo sarà senz’altro apparso meno cialtrone e balordo. La vita non è un orgasmo sparso. Genio.