Long Live the King. Ci ha provato fino all’ultimo, il Re del Blues, a continuare a fare quel che sapeva fare meglio, ciò che lo aiutava più di ogni altra cosa. Forse sperava di andarsene proprio così, immerso nella sua musica e nel suo pubblico fra scroscianti applausi, ma alla fine persino una tempra quasi inossidabile come la sua si è dovuta arrendere all’età e alla malattia. Il mondo della musica piange B.B. King, che a metà settembre avrebbe festeggiato il suo novantesimo compleanno. The Grand Master, lo chiamava Eric Clapton, uno che di certo può permettersi di centellinare gli elogi verso chi davvero li merita. E guardando la carriera di B. B. non si può affatto dar torto al buon Slow Hand. Riley B. King, questo il vero nome, nasce nello stato del Mississippi nel 1925. Pelle nera, sud degli Stati Uniti, epoca del Ku Klux Klan. Non poteva essere una vita facile, e infatti gli inizi non lo sono. Il giovane Riley si trova, come tanti altri con il suo stesso colore della pelle, a lavorare in piantagioni di cotone. La passione per la musica comincia a emergere già nella prima adolescenza, periodo in cui canta in alcuni cori gospel e in cui riesce a mettere le mani sulla sua prima chitarra, secondo alcuni pagandola con 15 dollari faticosamente risparmiati, secondo altri ottenendola in regalo dal lontano cugino Bukka White. Sarà lo stesso White a consigliargli di trasformare gradualmente la sua passione per la musica in una carriera, inizialmente radiofonica.



Nel 1948 King comincia infatti a lavorare come disc-jockey e cantante in una radio di Memphis, nel Tennessee, e proprio qui guadagnerà il soprannome di Beale Street Blues Boy, dapprima abbreviato semplicemente in Blues Boy e poi nel celebre e definitivo B.B.. L’allora emergente “blues boy” prova il grande salto con il singolo Miss Martha King, con il quale ottiene però un successo limitato. Andrà molto meglio pochi anni dopo, nel 1952, con una riuscita cover di 3 O’Clock Blues, originariamente di Lowell Fulson. Da quel momento il suo nome inizia a circolare in maniera quasi virale, rendendolo uno dei più importanti astri nascenti del panorama R&B. A quella cover “galeotta” seguiranno altre hit come You Know I Love You, Please Love Me, Sweet Little Angel, Woke Up This Morning o Whole Lotta Love (non legata all’omonima hit dei Led Zeppelin), e nel 1956 King e la sua band arriveranno ad eseguire addirittura 342 concerti, quasi uno al giorno. La sua vena creativa sembra inarrestabile come il suo successo tanto che nel 1969, anno in cui è l’artista d’apertura al Rolling Stones American Tour, King aveva alle spalle già 15 album.



Suo marchio di fabbrica è Lucille, nome che darà alle preferite tra le Gibson ES-355 custom che lo accompagneranno durante tutta la sua carriera. Come si conviene ai personaggi più straordinari, circolano leggende anche su questo nome. La più accreditata parla di un giovane B. B. che in un locale assiste a una rissa e a un successivo incendio. Durante la fuga si accorge di aver dimenticato la propria chitarra e torna nell’edificio, sfidando le fiamme e recuperando, intatto, il proprio strumento. Poco tempo dopo scoprirà che gli uomini coinvolti nella rissa lottavano per una donna di nome Lucille. La sua successiva affermazione “ho rischiato la vita per colpa di Lucille”, viene forse mal interpretata ma sarà all’origine dell’iconico nome delle chitarre di B. B.. Piccoli aneddoti forse veri, forse falsi o semplicemente ingigantiti, ma tanto basta per accrescere un mito.



Il successo non arretra di un passo neanche nei decenni successivi, durante i quali il bluesman si conferma capace di intercettare i gusti anche di chi non fa del blues il proprio genere cardine. Nel 1980 viene inserito a pieno diritto nella Blues Hall of Fame, e nel 1987 conquista anche la Rock & Roll Hall Fame. Nel 1988 lo si vede suonare accanto al gruppo pop-rock U2 in When Love Comes to Town, conquistando ulteriore pubblico trasversale. Nel 2006 l’età inizia a farsi sentire, tanto da fargli dar vita a quello che nelle sue prime intenzioni sarebbe dovuto essere un tour mondiale d’addio. Il richiamo della musica però è troppo forte, e se il corpo con gli anni si mostra più indebolito e appesantito, il cervello e l’animo sono quelli di sempre. Eccolo quindi ricomparire nel 2008 in un festival musicale del Tennessee, nel 2010 a Rabat e nello stesso anno anche al mitico Crossroads Guitar Festival insieme a Eric Clapton. Nel 2012 è addirittura alla Casa Bianca, con il presidente Obama che duetterà con lui in una parte di Sweet Home Chicago. Nel 2013 B. B. suona al New Orleans Jazz Festival, mentre a ottobre 2014 un malore sul palco della House of Blues di Chicago sembra il segnale che l’artista debba cedere il passo al tempo. In effetti le sue condizioni via via si aggraveranno, fino a non riuscire più a lottare e ad andarsene con serenità durante la notte. Lascia un vuoto incolmabile, una nutritissima schiera di artisti influenzati in varie maniere e ben 15 Grammy Awards vinti durante tutta la sua carriera, l’ultimo nel 2009 per l’album One Kind Favor. Un lungo e sentito addio…Long Live The King of Blues.