E’ tutta una questione di cuore, cos’altro? Tecnica? Sì, serve anche quella, per carità, ma prima viene il cuore. Se no sarebbe come avere il libro di anatomia più perfetto di questo mondo, sapere esattamente come funziona un cuore, ma non averne mai sentito uno pulsare davvero. 

E’ morto BB King, il cuore del blues. L’avete mai ascoltato? Lo so, il blues non è la musica più trendy, ma neanche pensare al senso della vita è un’occupazione trendy senza che ciò voglia dire che non farlo sia un bel segno. Anni fa, nel tentativo di passare ai figli qualcuna delle cose belle che mi è stato dato di scoprire nella vita, li portai tutti a sentire “the King of the Blues”, qui a New York. Per quanto avessero nelle orecchie questo “lamento” del profondo sud a furia di subirne l’ascolto in casa, certamente non ce l’avevano nel cuore – rimasto pressoché immune a questa musica apparentemente così ripetitiva. 



Mi ricordo che ero lì tutto intento a cercare di “prepararli”. Sapete quando ci tenete a qualcosa in maniera veramente speciale e vorreste che tutti ne cogliessero il valore? Ecco, io ero lì a pochi metri dal palchetto del blues club a tentare di “spiegare” quello che sarebbe successo…. finché BB cominciò a suonare.



E’ tutta una questione di cuore, cos’altro? Quel vecchio sul palco, 80 e passa anni, con quella voce a tratti tonante a tratti struggente, e quelle quattro note su Lucille, la sua Gibson nera, li conquistò in cinque minuti. 

Tecnica? King non conosceva gli accordi, non li sapeva fare. Aveva imparato a muovere le dita sulle corde di una chitarra che si era costruito da solo dopo aver sentito un vagabondo suonare il blues laggiù alla piantagione. La chitarra portò Riley B. King via dalla piantagione ed al tempo stesso portò il pianto, il grido, il dolore, il bisogno sconfinato di bene dalla piantagione a tutti gli angoli di questo mondo. 



Lenny Kravitz ha appena scritto una cosa vera, una cosa che ho sempre pensato (e detto) dalla prima volta che sentii King suonare: “Anyone could play a thousand notes and never say what you said in one”. Chiunque può suonare migliaia di note senza essere capace di dire quel che tu sapevi dire con una. Non ho mai particolarmente amato i super-virtuosi-super-veloci solisti di chitarra, quelli che ti sparano giù seimila note in ventiquattro secondi che solo Dio sa come non gli si intreccino le dita. Non li ho mai amati perché mi hanno sempre fatto pensare a chi – non sapendo esattamente cosa dire – non se la smette di parlare. King era l’opposto. Il suo cantare e il suo suonare erano l’espressione più viva, più vibrante, più affascinante e commovente del “cry” che è il blues. 

Cry”, ovvero pianto, grido, domanda. Ogni nota un tuffo al cuore. Non è per questo che tutti “i grandi” hanno voluto suonare con lui? No, non sto accelerando un processo di beatificazione. Tra le tante cose si narra che tra i due matrimoni (durati poco) e gli oltre 250 concerti all’anno in oltre settant’anni di carriera, King abbia seminato una quindicina di figli e raccolto una cinquantina di nipoti. Posso anche testimoniare che durante i concerti diceva pure le sue belle fesserie, con quello stile classico dei neri di una volta quando cercano di compiacere l’uomo bianco. Compresa quella ridicola liturgia del lancio di plettri e piccoli oggetti di bigiotteria alla fine di ogni spettacolo. Un piccolo prezzo da pagare allo show business. Siamo tutti dei poveri disgraziati – quante volte lo abbiamo ripetuto? 

Ma BB aveva un cuore grande e ferito, una piaga incurabile che solo cantando e suonando sembrava poter avere un senso. Come Ray Charles, come Billy Holliday e tanti altri fuggiti dalla miseria del profondo sud, ma eternamente perseguitati da questo desiderio di un bene assente. Questo è il blues. E chi lo suona ci induce a riflettere almeno per un istante sulla nostra tristezza, sul nostro desiderio di un bene assente.

Se andate ad Indianola, Mississippi, il blues lo capite anche solo guardando il paesaggio. 

Dopo il concerto moglie e figli li portai pure lì. Ma capisco che il Mississippi è un po’ fuori mano. E anche i prossimi concerti di King saranno fuori mano. Magari starà già suonando per Giovanni Paolo II, al quale regalo` una sua Lucille dopo aver suonato per lui nel ’97. “Il Papa è la persona più vicina a Dio”, disse dopo quella occasione, “Io amo Dio, e quindi amo il Papa!”.

Grazie BB, povero diavolo dal cuore pieno di bisogno d’amore. Adesso hai tutto il bene che hai sempre cercato. E noi continueremo ad ascoltarti per non dimenticare il cuore nostro.