La rivoluzione parte dal vinile? Forse è proprio così. Il vinile è il classico disco da giradischi, ormai caduto in disuso (pareva) a favore del diffusissimo CD o della musica online. Solo che, inaspettato, il vinile sta vivendo una stagione fortunata; in Gran Bretagna la vendita di vinili nel 2014 (1.290.000 Lp) è stata la più alta degli ultimi 20 anni, la crescita è costante dal 2007 a questa parte e, poiché le vendite del primo trimestre di quest’anno rispetto a quelle del 2014 hanno subito un incremento del 69% e la proiezione a fine anno potrebbe portare a toccare i 2 milioni di pezzi venduti.



Strano, perché i classici Lp di vinile sono musica “impura”, cioè tengono traccia di ogni piccolo o grande insulto che il disco riceve, cosa che non succede col CD, facendo sentire raschiature, salti di solco, presenza di piccole lanugini o di polvere. Ma non sarà proprio lì il bello? Non sarà che troppa pulizia viene a noia? E che la società del tutto omologato, la società che è diventata una marmellata di omologazione delle diversità sia venuta a noia e che la gente ricerchi una personalizzazione fosse anche nei difetti che ormai sappiamo evitare?



Viene alla mente il racconto Il registratore scritto da Dino Buzzati nel 1970, che riporta i pensieri di un tale che sta registrando dalla radio un’opera lirica, ma la sua fidanzata rovina la registrazione con dei rumorini, tosse, tacchi…; eppure “E adesso, dopo tanto tempo, egli fa andare il vecchio tormentato nastro, torna il maestro, il sommo, torna Purcell Mozart Bach Palestrina. Lei non c’è più, se ne è andata, lo ha lasciato, ha preferito lasciarlo, lui non sa neppure vagamente dove sia andata a finire. Ecco Purcell Mozart Bach Palestrina suonano suonano stupidissimi maledetti nauseabondi. Quel ticchettìo su e giù, quei tacchi, quelle risatine (la seconda specialmente), quel raschio in gola, la tosse. Questa sì, musica divina“.



Non sarà che la ricomparsa del povero vinile logorabile e alterabile mostra in fondo il desiderio di far basta con una società in cui si beve la stessa bibita dall’Alaska alla Terra del Fuoco, in cui si mangia lo stesso identico panino da Mosca a Nairobi, in cui il modello di bellezza e uno e uno solo, e in cui il modello di successo e di soddisfazione che viene proposto ai ragazzi è solo l’omologazione con una mentalità utilitaristica?

Tanta corsa alla perfezione, all’assenza di pecche forse nasconde una fobia verso tutto quello che non è previsto, che si corrompe e non sappiamo più aggiustare o non vogliamo più aggiustare perché siamo diventati mentalmente pigri, figli di un mondo di cose prefatte e predigerite che si buttano via quando il mercato ce lo indica invece di riusare, riparare, riciclare.

D’altronde tutti sanno (pur dimenticandolo) che la musica non è solo “la musica”, cioè “le note”, ma anche altro: è la fatica di chi suona, lo sfrigolio delle dita sulla corda della chitarra, il rimbombo della sala, il colpo di tosse da stanchezza del pianista, l’imperfezione sfumata del grande violino… tutto questo rischia di esser perso dalla digitalizzazione, dalla postproduzione, dalla perfezione computerizzata. E questo la gente non lo vuole perdere: un computer non sarà mai un bravo musicista perché non sa sbagliare! E la musica è arte, non utopia, e l’arte è anche saper far i conti con l’imperfetto, come Michelangelo trasse il Davide dal marmo grettato. Ricuperare il vinile è recuperare l’imperfezione dell’arte che l’artista fa diventare perfetta. “Perfettare” ciò che è imperfetto non è altro che il riflesso alto del nostro quotidiano accettare il nostro limite. L’arte non è usare strumenti tutti uguali per pubblici tutti uguali, ma usare divinamente il limite per persone con limiti. E renderli entrambi divinamente illimitati.

Questo vale in mille campi della nostra vita; dove la medicina non è solo la somma delle analisi del sangue o delle radiografie. Dove l’insegnamento non è solo quello che si fa imparare nozionisticamente. Dove la politica non è solo un gioco di poltrone. Perché il tutto è più dell’insieme delle sue parti, e quello che all’apparenza è inutile o imperfetto, quello che sembra inutile, senza un ritorno immediato (come il fruscio di fondo di un vinile) spesso si rivela fondamentale.

Esiste un termine strano ma importante nella ricerca scientifica: è il termine serendipity che comprende quelle scoperte scientifiche fatte non per lo sviluppo razionale di un’ipotesi, ma perché lo scienziato ha saputo cogliere un particolare apparentemente secondario e di scarto, e ha saputo valorizzarlo, svilupparlo e creare con quello un qualcosa di importante. E’ il valore dello “scarto”, di quello che per molti non vale e va buttato. Invece no, per qualcuno che ci vede meglio anche lo scarto ha un valore e può portare frutto. Il vinile è ormai scarto, il fruscio di fondo è scarto. Ma per qualcuno – forse per chi ci vede lontano e forse per molti – è un valore.