“Ho trovato finalmente la mia strada, in qualche modo sono riuscito a non morire” canta James Taylor in Today Today Today, brano dal sapore country che apre le danze di un ritorno atteso per tredici anni, un album di canzoni inedite che mancava dal lontano 2002.
In effetti, il nuovo disco di uno dei grandi della nostra musica è sempre un evento, e James Taylor rientra appieno nella categoria, senza esitazione alcuna. Figlio di quel cantautorato “confessionale” che nei primi anni settanta disegnò i contorni di un nuovo genere regalando, soprattutto in terra americana, alcune tra le voci più importanti di un’epoca irripetibile – Jackson Browne, Joni Mitchell, Jim Croce, solo per citarne alcuni – Taylor non ha mai cambiato una virgola del suo stile, proponendo nel corso dei decenni la formula a lui più congeniale per coniugare alla perfezione intimismo lirico e fingerpicking, un folk con inflessioni pop e qualche incursione nel rhythm’n’blues e nel soft-rock. Ma un grande della musica è tale quando oltrepassa il confine dei generi creando uno stile personale, che diventa negli anni un punto di riferimento per i vari artisti che cercano di riproporne le atmosfere. Così è stato per il cantautore di Belmont, Massachusetts, pietra miliare e fonte di ispirazione per centinaia di cantautori che negli anni hanno tentato (spesso invano) di attingere a quell’alchimia poetica fuori dal tempo.
È invecchiato, James, ed è naturale che sia così. “C’è più strada dietro che davanti a me”, afferma lui stesso, e il lungo percorso che lo ha portato fin qui, a registrare il suo nuovo album – Before This World, appunto – non è stato certo privo di ostacoli, di difficoltà che la vita porta inevitabilmente con sé. Ma è un uomo sereno, Taylor, e questa serenità si riflette perfettamente in You and I Again, una canzone nata un paio di decenni fa e messa a decantare prima di essere perfezionata e registrata, una straordinaria e struggente dichiarazione d’amore alla moglie Caroline scandita da pianoforte e violoncello.
Le dieci canzoni che compongono l’album rappresentano un vero e proprio viaggio nel tempo, che Taylor non guarda con nostalgia, bensì con consapevolezza e gratitudine. Così, tra le maglie del passato, riaffiorano ricordi di adolescenza, come in Angels of Fenway, che rievoca la passione – condivisa con la nonna – per la squadra di baseball dei Red Soxs, e Stretch of the Highway, una delle canzoni migliori, con un ritmo leggermente funky, l’arrangiamento di fiati e quei cori che ci riportano indietro nel tempo insieme a lui, quando, una volta partito, ciò che amava di più era proprio la nostalgia di casa.
Montana è un tuffo nei primi anni settanta, quando James era uno sweet baby e cantava di natura e della sua bellezza, ancora con i cori – suo marchio di fabbrica – in primo piano, l’arpeggio di chitarra, una spruzzata di pianoforte e quella voce calda, avvolgente che non ha ceduto una tonalità del suo fascino e della sua forza espressiva, anzi.
C’è ovviamente spazio per i momenti meno belli della sua vita, come il periodo della dipendenza dall’eroina, che Taylor esorcizza con un motivo privo di autocommiserazione e decisamente accattivante nell’incedere, con il violino che detta il passo e trasforma Watchin’ Over Me in una deliziosa cavalcata country.
La splendidaSnowtime ci riporta anch’essa ai sapori delicati dei primi anni settanta e affronta il tema delicato dell’esilio, del sentirsi perduti e freddi come il gelo di Toronto quando si è costretti a lasciare la propria terra per cercare di sopravvivere. Ma è una sensazione che scongela di fronte a una paura che si trasforma in desiderio di rinascita, un fuoco di speranza che può riaccendersi grazie alla nuova vita che si prospetta davanti.
La title track è un omaggio al folk britannico dove il buon James si fa accompagnare dall’amico Sting, un brano che sembra uscito da un disco dei Fairport di ultima generazione – ricordate la versione di Frozen Man da parte del mitico gruppo inglese? – con un tessuto sonoro limpido e delicato, un altro tuffo nel tempo che fu intriso di magia e suggestione. Si torna invece ai (drammatici) giorni nostri con Far Afghanistan, una folk song in perfetto stile JT che narra le inquietudini di un soldato americano mandato in Afghanistan dopo lo scempio dell’11 settembre. Un soldato preparato a tutto, umanamente e militarmente, che però si ritrova spaesato di fronte alla bellezza di certi luoghi e alla consapevolezza che i nemici hanno solo la divisa di un altro colore.
Chiude l’album una cover di Wild Mountain Thyme del musicista irlandese Francis McPeake, cantata insieme alla moglie Caroline e al figlio Henry, un quadretto familiare che sa di riconciliazione con la vita, di serenità e di voglia di continuare a fare musica.
In effetti, nei tredici anni che ci separano da October Road, ultimo album di inediti, Taylor non è rimasto a guardare. Ha pubblicato due album di cover, uno a carattere natalizio, è stato in tour con la band e da solo, ha girato mezzo mondo e si è ritrovato sul palco con Carole King – l’autrice di You’ve Got a Friend – insomma, la musica, la sua musica e ragione di vita, non ha mai smesso di accompagnarlo.
Before This World non è certo un capolavoro, ma ha dalla sua il fascino e la compattezza di un disco solido e ben costruito, prodotto e arrangiato alla perfezione. “Sempre il solito Taylor, non cambia mai” hanno scritto diverse recensioni, come se il percorso di un artista – un lunghissimo percorso, in questo caso – dovesse per forza passare attraverso contorte evoluzioni e sperimentazioni che mal si addicono alla sua natura. Semplicemente, in questo disco James Taylor è James Taylor, e in un’epoca in cui tutto cambia, modificando (anche) gli spazi umani a ritmo vertiginoso, il sapore di una voce amica che ci riporta al “mondo di prima” può essere un’ancora di salvezza e speranza. La musica, per fortuna, riesce a essere anche questo.
Dell’album esiste anche la versione deluxe con un dvd che contiene il documentario del “making of” (“There We Were: The Recording of James Taylor’s Before This World”) più una versione Limited Collector con un secondo cd contenente 5 inediti, il dvd, un libretto di 40 pagine più altre chicche per collezionisti, unica “concessione” alla modernità che ormai, discograficamente parlando, cerca di rendere più appetibile il piatto delle grandi uscite.