“667. Ne so una più del diavolo, canzoni rock nate sotto il segno della Croce” (191 ppg., 16,50 euro, Arcana Musica) è un nuovo libro, scritto da Maurizio Pratelli e Fabrizio Barabesi, che racconta la genesi, i retroscena e in contenuti di 99 canzoni (più brevi segnalazioni d diverse centinaia di altre) con un tema speciale e mai affrontato prima in Italia: “Angeli e demoni, sacro e profano: sessant’anni di cultura rock riletti attraverso l’eterna lotta tra il buio e la luce”. Ilsussidiario.net pubblica in esclusiva la prefazione scritta da Paolo Vites.



In Mystery Train dello scrittore americano Greil Marcus, imprescindibile libro per chiunque voglia conoscere il cuore e il contenuto della musica rock, viene raccontato un episodio poco conosciuto di questa storia.Seduti nello studio di registrazione della leggendaria Sun Record a Memphis ci sono Jerry Lee Lewis e lo scopritore di talenti, primo su tutti Elvis, Sam Phillips. Stanno cercando di registrare un brano, ma per qualche motivo Jerry Lee si è bloccato e non vuole andare avanti. I due discutono animatamente, ma il pianista è irremovibile: “Great Balls of Fire?” esclama, “è l’immagine dell’inferno, la Bibbia è contraria”. Jerry Lee Lewis è impaurito. Per tutta la voglia che ha di diventare una star e per quanto ami il rock’n’roll, c’è un limite che non si sente di superare, quello che lo porterebbe a bruciare la sua anima all’inferno. Come tutti i rocker della sua generazione, Elvis incluso, Jerry Lee è infatti cresciuto a messe domenicali e preghiere in famiglia. Anzi, lui per un breve periodo ha anche frequentato il seminario. Alla fine inciderà il pezzo, che diventerà uno dei più grandi classici di questa musica, ma la sua vita, al pari di tanti altri, resterà sempre divisa tra senso del peccato e desiderio di essere un buon cristiano.La musica rock d’altro canto, quella autentica e cioè quella sviluppatasi in America, è nata divisa in parti uguali tra blues, country e gospel. Sono le radici dell’America e il rock’n’roll è la musica americana per eccellenza. 



Non solo la generazione dei primi rocker, quelli degli anni ‘50, ma tutti i grandi protagonisti di questa storia hanno vissuto con uguale senso di peccato e redenzione. Anche quelli, tanti, di appartenenza ebraica, basti pensare a Bob Dylan, che in uno dei suoi brani più famosi, Higway 61 Revisited, cominciava con una autentica bestemmia nei confronti della religione dei suoi padri: “Oh God said to Abraham, “Kill me a son”, Abe says, “Man you must be puttin’ me on”, God says, “No”, Abe say “What?”, God say “You can do what you want Abe but, The next time you see me comin’ you better run”, Well Abe said, “Where do you want this killin’ done?”, God say, “Out on Highway 61”. 



Dylan sta rifiutando la religione dei suoi padri, la sta ridicolizzando, la sta annientando, si sta chiamando fuori. Il dialogo infatti tra Dio e Abramo sulla richiesta apparentemente folle di sacrificare il suo unico figlio, è il fondamento stesso della religione ebraica e più avanti anche di quella cristiana. E quale posto migliore per compiere la versione moderna di questo sacrificio? La highway 61 ovviamente, la spina dorsale dell’America stessa. 

Non si potrà mai capire il senso profondo della musica rock se non si terrà presente quanto importante e decisiva, almeno fino a un certo momento storico, sia stata l’appartenenza di questi musicisti alle loro radici spirituali. Eliminare questo fatto vorrà dire averne una visione parziale e superficiale.

Ecco perché tante canzoni rock sono un grido drammatico: peccato e redenzione, inferno e paradiso, salvezza e perdita. Tutto quello che l’uomo, qualunque uomo, si porta dentro. Anche se ultimamente sempre meno, immersi come siamo da diversi decenni da una cultura del nulla che annichilisce e addormenta il nostro cuore. Televisione, internet, falsi miti, soldi facili, successo a qualunque costo ci hanno resi zombie che vagano senza provare più il senso di dramma che è la vita, quella vera.

Il libro di Maurizio Pratelli e Fabrizio Barabesi è allora un curatissimo documento di tutto quanto questo, un aiuto a immergersi nel più profondo afflato di questa musica, a scoprire pagine inedite di essa. Con il loro stile preciso, diretto e senza fronzoli, i due autori hanno messo insieme una serie di canzoni, molte delle quali poco conosciute o dimenticate, che aprono squarci di lettura appassionata e divertente allo stesso tempo. Un libro che finalmente mette la scrittura rock italiana alla pari con quella di tanti maestri d’oltreoceano, evitando l’accumulo nozionistico ed enciclopedico fine a se stesso che ci ha sempre caratterizzati, facendo invece dell’autentico romanzo rock. 

Tra le tante, mi piace una scheda in particolare perché mi fa venire in mente quella che è stata la mia storia: “I ragazzi ubriachi, i cattolici, sono tutti più o meno la stessa cosa, stanno tutti aspettando qualcosa, sperando di essere salvati”, canta Bright Eyes in Drunk Kid Catholic. Proprio così, siamo ancora ragazzi che chiedono di essere salvati. Spesso ubriachi…