C’era un tempo in cui la canzone aveva ambizioni di letteratura e gli autori di canzoni erano profondi conoscitori del mondo della letteratura. Tutta o quasi la generazione degli anni sessanta aveva un legame imprenscindibile non solo con il mondo della letteratura beat (Kerouac, Ferlinghetti, Ginsberg), ma anche i grandi scrittori francesi e russi. Nelle canzoni di Bob Dylan si ritrovano fianco a fianco TS Eliot e Ezra Pound, in quelle di Van Morrison Yeats ed è inutile soffermarsi sul valore letterario di quello che era uno scrittore e un poeta e solo in seguito anche un cantautore, Leonard Cohen.



Uno dei più profondi e appassionati conoscitori del mondo letterario è stato certamente Eric Andersen, giovane folksinger ai tempi in cui Bob Dylan era il re del rinascimento americano, e frequentatore di quello stesso Greenwich Village. Andersen è rimasto sempre ai margini del grande successo commerciale, ma non per questo non ha inciso una lunga fila di dischi straordinari, tra i tanti “Blue River” e “Ghosts upon the Road”.



Non stupisce allora che due anni fa in occasione del centenario della nascita di uno dei maggiori scrittori di sempre, Albert Camus, Andersen sia diventato protagonista di una operazione di altissimo valore. Invitato a esibirsi all’inaugurazione di una mostra dedicata allo scrittore tenutasi nella Provenza francese, il cantautore americano scrisse per l’occasione una serie di brani ispirati all’opera di Camus. Da quella serata poi la decisione di portare in studio quel materiale e farne un disco, con la collaborazione dell’arrangiatore e violinista italiano Michele Gazich. 



Pubblicato lo scorso mese di febbraio, “Shadow and Light of Albert Camus” è un documento quasi in istantanea di grande intensità. Solo quattro brani: The Plague (Song of denial), ovviamente ispirata a La peste; The Stranger (Song of Revenge) ispirata a Lo straniero; The Rebel (Song of Revolt) e The Fall (Song of Gravity) a La caduta, quest’ultimo della durata di oltre undici minuti.

“Io non sono folle – dice il Caligola di Camus – e non sono mai stato così ragionevole come ora, semplicemente mi sono sentito all’improvviso un bisogno d’impossibile”. E’ questo bisogno di impossibile e di infinito ad aver probabilmente mosso Andersen a cimentarsi con l’autore franco-algerino, quel bisogno che accomuna tutti gli esseri umani ma che solo chi è impegnato seriamente con se stesso sa percepire. “Devo creare una nuova verità dopo aver vissuto tutta la mia vita in una menzogna”, ha osservato Camus un anno prima della sua morte nelle prime bozze del romanzo “Il primo uomo”, la cui pubblicazione non riuscì mai a vedere. Un Camus disilluso intraprende la sua ricerca di una nuova verità, nota agli antichi greci come “parresia”, la “libertà di dire tutto”, a parlare apertamente e sinceramente di sé. La rivolta interna. Mettere a nudo la verità scomoda sulla nostra complicità con la società in generale e i sommi sacerdoti che cercano solo di perfezionare i loro meccanismi di controllo su di noi. Ma solo cambiando dall’interno si può ottenere un cambiamento dell’esterno. Per un musicista come Andersen che ha mosso i suoi primi passi nel decennio più umanamente e socialmente impegnato, gli anni 60, è ovvio che sia scattata una corrispondenza immediata.

Il risultato è una forma canzone scarna, incisiva e incalzante, che non ammette repliche, autentica folk song che diventa quasi spoken word, parola recitata e sputata con veemenza. Nel caso della lunga The Fall siamo davanti davvero a una forma recitata, con un tessuto ritmico dettato da percussioni elettroniche. Nel resto, Andersen alla chitarra acustica o al pianoforte, accompagnato dall’evocativo e allo stesso tempo veemente violino di Gazich crea una forma di poesia/canzone dall’impatto ricco di fascino. Qualcosa che nessuno osa più fare, nel mondo ormai ridotto a mediocrità e idiozia che è quello della musica.

Ci sono stati esempi analoghi in passato, ma sembra quasi che un cantautore non debba cimentarsi con i grandi della letteratura quasi fosse un mondo troppo alto da sfiorare, invece la canzone è la letteratura autentica degli ultimi cinquant’anni. 

Chissà se avremo mai un italiano che incide un disco ispirato a Giacomo Leopardi.