Non poteva certo saperlo che sarebbe stato l’ultimo concerto della sua vita. Poco prima di festeggiare l’ultimo Natale e l’ultimo capodanno, Pino Daniele aveva deciso di riunire la band che lo aveva accompagnato su uno degli album fondamentali della sua carriera, Nero a metà del 1980, per sei concerti da tenersi nel dicembre 2014, dal 6 al 22, a Conegliano Veneto, Bari, Napoli (doppia tappa), Roma e Milano. Il doppio cd uscito da pochi giorni è la testimonianza della data finale di Milano, 22 dicembre. The Last Waltz.
Nero a metà live, quindi: Gigi De Rienzo al basso, Ernesto Vitolo alle tastiere, Rosario Jermano alle percussioni, James Senese al sax componevano la line-up originale dell’album del 1980 e la spina dorsale di questi recenti concerti, insieme ad Agostino Marangolo, cui va una menzione particolare per essere uno dei più grandi ed efficaci batteristi italiani in circolazione (negli ultimi anni abbiamo avuto il piacere di ascoltarlo accompagnare molti dei brani di Niccolò Fabi). In alcuni brani eseguiti con un più ristretto set acustico si vede invece la presenza di Tullio De Piscopo alla batteria, Rino Zurzolo al contrabbasso e la giovane pianista Elisabetta Serio.
In realtà il ‘nero a metà’ cui ci si riferiva nell’LP del 1980 (e a cui era dedicato il lavoro) non era Pino stesso, ma Mario Musella, uno dei cosiddetti ‘figli della guerra’, di madre partenopea e padre statunitense, grande cantante di rhythm’n’blues con la band degli Showmen e fonte di ispirazione per quella grande generazione di musicisti napoletani. Quello che stava avvenendo in quegli anni, a differenza del piattume odierno dove tutto suona uguale, era la scoperta, l’invenzione di un sound assolutamente nuovo, che certo attingeva a radici palesi quanto profonde, ma che al tempo stesso creava una alchimia unica. In territori anche lontani l’uno dall’altro, ma Lucio Dalla, Angelo Branduardi, per certi versi Finardi e molti altri – sotto l’egida del capostipite Lucio Battisti – oltre a creare canzoni indimenticabili le arricchivano di un suono ricco, originale, affidato a musicisti con i controfiocchi, che inserivano stili, fraseggi ed arrangiamenti provenienti dal grande rock, dal jazz, dalla fusion, insomma dall’esempio, per citarne solo uno – di Joni Mitchell che si portava in Tour ad accompagnarla Jaco Pastorius e Pat Metheny.
Nel caso di Pino Daniele, si aggiungeva anche la creazione di un idioma nuovo, quello che lui stesso battezzò Tarumbò, esplosivo grammelot di italiano, inglese e lingua napoletana – non dialetto… – che è ingrediente costitutivo, grammaticale e sintattico di qualcosa di nuovo che sta nascendo.
Tutto questo torna dal vivo 34 anni dopo: i musicisti hanno vissuto le loro vite, gli anni sono passati, è indubbio, ma la magia si ricrea. La quaterna iniziale è subito da infarto: A testa in giù, I say i sto cca, A me me piace o blues e Voglio di più ci fanno entrare immediatamente in medias res: alcuni dei brani più forti del vecchio album sono esposti con vigore, groove funky, sincopi, stacchi millimetrici e tutto il resto. Non solo tecnica, ovviamente, ma grande comunicativa e trasporto.
Non si poteva sapere che sarebbe stato l’ultimo concerto, ma sicuramente tutti, musicisti e pubblico si sono accorti subito che l’occasione era speciale. Ora della fine i brani contenuti nell’album verranno suonati tutti, ed intorno ci sarà spazio per qualche altro grande successo, come Resta resta cu mme o Yes I know my way, altra pedina importante nella formazione del sound di Pino, con quel fraseggio assolutamente napoletano suonato con un suono distorto blues, strana quanto felice accoppiata.
Il secondo CD viene aperto da un inedito, un demo che Rosario Jermano registrò a casa sua nel 1975 a cui sono stati aggiunti alcuni strumenti e che viene proposto per la prima volta in una produzione discografica. Il titolo dell’inedito è Abusivo. Sotto ‘o sole, Musica musica e Quanno chiove sono passaggi fondamentali per arrivare alla triade conclusiva, anch’essa di tutto rispetto e costituita da Tutta n’ata storia, ‘O scarrafone e la già citataYes I know my way.
Per chi c’era, un documento imprescindibile e ben curato. Per chi non fosse riuscito ad andare ad uno di questi concerti, un documento altrettanto interessante, mordendosi un po’ le unghie per non esserselo goduto dal vivo. Per chi non c’era nemmeno nel 1980, un’ottima maniera di avvicinarsi ad un grande artista. Per poi, magari andarsi a ripescare gli originali, con il loro suono ruvido, inevitabilmente un po’ più aggressivo e giovane ed ancora meno educato di quello curatissimo di questo doppio live.