Attenzione, è tornato Staggerlee, l’uomo nero metà essere umano e metà demonio. Dai bordelli di New Orleans quando uccise  Billy Lyons solo perché gli aveva toccato il cappello, ha attraversato tutto il Novecento, diventando sempre più cattivo e sanguinario. Prima ha provato a vestire i panni buoni dell’attivista per i diritti civili poi visto che non cambiava granché è andato a bruciare i ghetti di Chicago e Detroit, ha provato anche con le Pantere Nere e quindi si è messo collane d’oro e vestiti eleganti ed è diventato il magnaccia dellaBlaxploitation. Visto che anche lì non si cavava molto è diventato il gangsta rapper e ha cominciato ad ammazzare i fratelli solo perché non lo rispettavano. Sempre alla ricerca di una dignità che i bianchi gli avevano portato via. Adesso si aggira per le strade di Ferguson e Baltimora a caccia di poliziotti bianchi. Violenza contro violenza,



Ma anche Marther Luther King è uscito dalla sua tomba insieme a Malcolm X e cercano spiegazioni dove non se ne trovano più, nella terra della promessa eterna. Il primo presidente di colore della loro storia non è servito a nulla: il sangue scorre inarrestabile per le strade.

Tutta questa violenza doveva finire in un disco. Lo ha fatto un gruppo di Atlanta, non a caso la città del dottor King, si chiamano Algiers e il loro cd è una bomba. Loro sono il cantante afroamericano Franklin James Fisher, e due bianchi, il bassista Ryan Mahan e il chitarrista Lee Tesche, la miglior risposta multirazziale al razzismo americano. 



Fisher come ogni bravo ragazzo di colore cantava i gospel, i vangeli, ha preso quella musica e l’ha fatta diventare strumento di maledizione.Tutto quanto sta andando in rovina e quel piccolo cantante bianco ebreo che era sul palco insieme a Martin Luther King a cantarne il sogno, lo ha detto da tempo: tutto quanto sta andando in rovina. Da New Orleans a Gerusalemme questa terra è condannata.

The Algiers sono la voce di tutto questo, una voce straordinaria. Ma oltre a cantare il disfacimento del sogno americano, hanno l’ardire di dire un’altra cosa: l’hip hop è morto. La musica nera sta reclamando la sua antica gloria. Da decenni le voci degli afro americani che avevano inventato il soul e l’R&B erano state messe a tacere da un canto monotono e ripetitivo, tutto uguale e tutto incazzato, nato giustamente nei ghetti e poi diventato voce del mainstream, Pseudo rapper di buona famiglia, neanche di colore spesso, che facevano dischi da talent show. Chi aveva ancora un cuore se  la rideva a sentire che Beyoncé e Rhianna erano definite cantanti soul, zuccherose e pompate nel loro erotismo da quattro soldi, su musiche plastificate buone per Mtv.



The Algiers reclamano la potenza e la bellezza dell’autentica musica nera e del suo canto. Certo, lo fanno in modo violento e impietoso come richiedono i tempi che viviamo, una scarica di ritmiche ossessive e claustrofobie, riff di chitarra furiosi, inserti di elettronica che fanno pensare che Nick Cave sia diventato il cantante dei Depeche Mode. 

Brani come Black Eunuch ricordano gli antichi canti degli schiavi in mezzo al fragore del rumore metropolitano. In Old Girl in mezzo al frastuono noise si sentono le campane di una chiesa, ma viene da chiedersi: per chi suonano, oggi, le campane? E’ un disco da battaglia, è il disco della rabbia, anche se si percepisce, lontano, la richiesta di misericordia. E’ un mix gospel e noise questo disco, terrificante a tratti, commovente in altri come nella dolcissima Games, una nenia che sembra fuoriuscire da una notte in un campo di cotone del profondo sud degli States, ma il messaggio che contiene non è altrettanto rassicurante. E’ il disco d’esordio dell’anno e probabilmente il disco dell’anno. Staggerlee è tornato a reclamare la sua presenza. Gli Algiers sono la sua voce.