In principio fu John Elkann: “Molti giovani non colgono le tante possibilità di lavoro che ci sono o perché stanno bene a casa o perché non hanno ambizione”. Poi venne un ministro che disse che lui gli studenti d’estate li manderebbe a lavorare invece di fare le vacanze.
Infine Lorenzo Jovanotti (ieri, incontrando gli studenti del Polo delle scienze di Firenze): “Ero in America, suonavo nei festival e vedevo tanti giovani lavorare. Ad un certo punto ho chiesto: scusate, ma questi chi li paga? Mi hanno risposto: sono volontari, lavorano gratis, ma si portano a casa un’esperienza. Così mi sono ricordato che quando ero ragazzo anche io lavoravo gratis alle sagre e mi divertivo come un pazzo. Imparavo ad essere gentile con le persone, se mi avessero detto non lo fare, vai in colonia, sarebbe stato peggio. Ma per me quel volontariato lì era una festa anche se lavoravo alla sagra della ranocchia…Mi dava qualcosa”.
In entrambi i casi la Rete non ha perdonato e i tre personaggi sono stati investiti di insulti più o meno colorati e più o meno divertenti. Il ministro più di tutti, ma anche Elkann non se l’è cavata male. In effetti, dai tempi dei “bamboccioni” prendersela coi “giovani sfaccendati” è facile. Se le parole del rampollo di casa Agnelli possono aver giustificato critiche anche azzeccate, ma fino a un certo punto, quelle di Jovanotti ne meritano di meno.
In entrambi i casi c’è una fotografia di una realtà che piaccia o meno. Non piace a nessuno sentirsi dire come comportarsi, specie se chi fa la ramanzina è uno stramiliardario. Il tema del lavorare gratis è però quello più sentito. I cattivi esempi non mancano, giovani pagati 800 euro al mese per lavorare all’Expo sei giorni su sette che arrivano da ogni parte d’Italia e che devono anche prendere un appartamento in affitto a Milano e a casa non si portano poi quasi nulla. Ma fa curriculum, si dice oggi. L’arma dello stage pagato spesso a rimborso dei biglietti del tram e di un tramezzino per pranzo è usatissima da molte aziende: il giovane lavora gratis un tot di mesi, poi viene sostituito immediatamente da un altro stagista. E l’azienda risparmia e anzi incassa. Il giovane impara una professionalità? E’ tutto da dimostrare.
Ma quello che ha detto Jovanotti non è così sbagliato. “Imparavo a essere gentile” è una bella frase. “Mi divertivo come un pazzo” anche. Si diventa uomini e non dei bulli presuntuosi come si trovano in tante piazze italiane, sfaccendati che si guardano l’ombelico, ad esempio. E’ proprio vero. Chi scrive ricorda estati passate ad aiutare a mettere su stand e palchi di feste popolari, in mezzo ad adulti professionisti che davano le loro ferie per costruire spazi di incontro, di testimonianza e di divertimento. Ricorda anche una fatica che spaccava la schiena molto spesso, ma ricorda soprattutto tanti anni dopo dei volti, delle strette di mano, dei grazie, delle bevute tutti insieme alla fine del lavoro dove ci si sentiva accolti e in pace con se stessi e il prossimo. Volti che spesso sono rimasti amici anche decenni dopo.
Ecco, a Jovanotti nella sua usuale irruenza giovanilistica è mancato un passaggio. Lavorare gratis ogni tanto fa bene, ma non vanno bene tutti i lavori. E non va bene fare un lavoretto “per divertirsi come pazzi” e basta. Ci vuole un’esperienza che sia anche e soprattutto educativa, ma per educare bisogna sapere a che cosa, forse al Jova questo manca. Bisogna appassionare a un’esperienza.
Ci sono tante associazioni di volontariato, che si occupano di anziani, di senza tetto, di immigrati che hanno bisogno di una mano in cui si potrebbe ad esempio lavorare durante le vacanze estive. E’ la differenza tra lavorare gratis e volontariato: si lavora per costruire qualcosa, per imparare ad accogliere nella propria vita il diverso da te, per uscire da te e incontrare l’altro. Insomma, ci vogliono dei luoghi educativi, non basta solo la sagra della ranocchia. Chiedere ad esempio alle migliaia che tutti gli anni da tempo impiegano le loro ferie lavorando gratis – e felici – ad eventi come il Meeting di Rimini. Chissà perché continuano a farlo.