“Chris era una parte molto speciale della mia vita; eravamo fratelli musicali. Era un bassista incredibilmente unico – molto poetico – e aveva una straordinaria  conoscenza dell’armonia. Ci siamo incontrati in un determinato momento in cui la musica era molto aperta,  mi sento fortunato ad aver creato con lui tanta musica incredibile. Abbiamo viaggiato per una strada meno percorsa e gli sono così grato di aver scalato insieme  delle autentiche  montagne musicali. Nonostante tutto, era come un  fratello, e sono contento che di recente ci siamo ritrovati. L’ho visto nella mia meditazione di ieri sera, ed era raggiante. Il mio cuore va alla sua famiglia e alle persone a lui care. Amore e luce” (Jon Anderson)



Con queste parole di Jon Anderson leader e fondatore degli Yes vogliamo iniziare il nostro ricordo di Chris Squire (Christopher Russell Edward Squire –Londra 4 marzo 1948 – Phoenix 27 giugno 2015), bassista e autore degli Yes scomparso in questi giorni.

9 maggio 1971. Crescevamo a pane e musica, i nostri riferimenti erano Per Voi Giovani il programma radiofonico della Rai e il mitico settimanale Ciao 2001, seguivamo  e sapevamo  tutto della musica.  Avevo appena 16 anni e nel giro di una manciata di giorni ecco a Roma una sequenza da rimanere senza fiato: Yes, Colosseum, Grand Funk Railroad con spalla gli Humble Pie, Pink Floyd. Ai concerti si andava con l’auto o si sfruttava un passaggio degli amici più grandi. 



Fra tantissimi quel primo concerto degli Yes è ancora oggi nella memoria, eravamo al Teatro Brancaccio di Roma  il nostro tempio del rock. Quando gli Yes presero posto sul palco rimanemmo colpiti nel vedere una chitarra jazz (Gibson 175) nelle mani di un chitarrista rock (Steve Howe) e ancor più dalle movenze e dalla tecnica quasi chitarristica del bassista: alto, filiforme, teneva la scena alla grande imbracciando quel basso che appariva quasi minuscolo. Chris Squire si presentò con degli abiti ai quali non eravamo abituati, stivali con frange alti fino al ginocchio, pantaloni di panno, mantellina e nelle mani uno  splendido  Rickenbacker 4001.



Gli Yes arrivarono in Italia insieme ai Black Widow al tempo popolarissimi in Gran Bretagna e, a seconda delle serate, si scambiavano l’uscita sul palco. Oltre alle due band quella sera si esibì anche la PFM, tant’è che uscimmo dal teatro che erano quasi le tre del mattino. Il tour organizzato da Sanavio  e Mamone ebbe la fortuna di portarli in Italia mentre THE YES ALBUM aveva raggiunto proprio in quei giorni la quinta posizione nelle chart americane. Fu subito amore a prima vista, gli straordinari incastri ritmici tra Bill Bruford alla batteria e Chris Squire al basso rappresentavano la tessitura sulla quale la chitarra di Steve Howe faceva mirabilie, sorretto dall’organo di Tony Kaye e dalla angelica voce di Jon Anderson. 

Altri tempi signori. Si suonava e tutto dal vivo. Quella era una  band tutta arrosto e niente fumo, formata da autentici maestri dello strumento passati alla storia della musica rock.  Chris Squire era uno di loro. Li chiamavamo mostri quelli come Chris. Oggi alla età di 67 anni un mostro chiamato leucemia, ci porta via uno dei nostri miti, un uomo che con la sua bravura ha pennellato con gli Yes alcune delle più belle pagine della musica rock. THE YES ALBUM, FRAGILE, CLOSE TO THE EDGE, TALES FROM TOPOGRAPHIC OCEANS , RELAYER, GOING FOR THE ONE,TORMATO, DRAMA, 90125 (l’album che portò la band  ai massimi allori con un successo incredibile negli USA). 

Cambi di formazioni innumerevoli con vecchi e nuovi componenti che andavano e venivano vuoi per problemi di ego (Rick Wakeman) chi per motivi di salute (Jon Anderson) o per formare super band di successo come gli Asia (Steve Howe) o per entrare nei King Crimson (Bill Bruford). Chris Squire nella storia degli Yes è stato l’unico a non lasciare mai la formazione, dal primo giorno della loro nascita ad oggi. Gli Yes erano la sua casa alla quale dava il meglio di se. Una brevissima esperienza con Jimmy Page, qualche collaborazione, come quella avvenuta nel 2012 insieme a Steve Hackett l’ex Genesis  con il quale condivise il progetto Squackett  con l’album A Life Within a Day

Insieme a Anderson e Howe, Chris Squire è stato il coautore dei brani più belli degli Yes ad iniziare da quelYours is no Disgrace , che aprì quel primo concerto, fino  alla celeberrima Owner of a Lonely Heart, il loro più grande hit.

Fu un mio amico John Wheathley, chitarrista che mi convinse a suonare il basso; un giorno mi fece Chris sei alto, hai le mani grandi. Dovresti suonare il basso”. (Chris Squire, tratto dalla biografia FRAGILE scritta da Chris Welch, storica firma del Melody Maker, pubblicata in Italia da Stampa Alternativa).

Di lì a poco Chris convinse la madre ad acquistargli un basso Futurama al Macari Musica Exange di Wembley. Fu così che Chris Squire a 15 anni iniziò a strimpellare il basso. Le sue esperienze musicali erano limitate al canto come fanciullo cantore nel coro di St. Andrew. Determinante si rivelò la frequentazione di Andrew Jackman, anche lui nel coro della chiesa, Andrew aveva il padre che suonava nella London Symphony Orchestra e lui e la sua famiglia si rivelarono importante influenza per Chris. Diversi anni più tardi Jackman partecipò all’album solo di Squire intitolato FISH OUT of WATER (1974). Il giovane Chris aveva uno strano modo di studiare il basso, non utilizzava l’amplificatore .

Imparai un po’ di trucchi che nessun altro conosceva prima di allora, questo mi permise di vincere diversi premi. Allora avevo già il mio Rickenbacker, acquistato all’età di 16 anni da Boosey & Hawkes, in Regent Street. Erano gli importatori e io riuscii ad averne uno dei primi tre importati in Inghilterra. I Kinks ne avevano uno e John Entwistle degli Who ne possedeva l’altro”(Chris Squire).

Di li a poco nacque il timbro metallico del suo basso che sarebbe diventato uno dei cardini del sound degli Yes, cosi come le linee vocali che miscelava alla voce di Jon Anderson. La band insieme ai King Crimson e ai Genesis divenne la punta di diamante del cosiddetto Rock Romantico, ora noto come progressive. In Italia fu a lungo osteggiata dalla critica rock di sinistra, bacchettona e conservatrice, clericale quasi, che frequentava alcune testate e che oggi (per motivi di cassetta) dedica al genere ampia attenzione. Ciò non impedì agli Yes di essere amatissimi fra gli appassionati, mantenendo in tutto il mondo una grossa audience fino ai giorni nostri.

I loro incredibili palchi erano uno spettacolo nello spettacolo: al Palasport di Roma il 23 aprile 1974 la formazione comprendeva i nuovi elementi Rick Wakeman alle tastiere e Alan White alla batteria; era il periodo del triplo dal vivo YESSONGS, impianto quadrifonico, scenografia  di Rogear Dean. Gli Yes arrivano sul palco uscendo da un tunnel illuminato, denso di fumi, direttamente dal ventre dell’enorme essere che si illumina aprendo le sue ali alle note della  Firbird Suite di  Igor Stravinskij. Pochi istanti e noi, seduti in decima  fila, veniamo letteralmente annichiliti dalla esecuzione di  Siberian Khatru.  Una sfida all’arma bianca fra la chitarra di Howe e le incredibili acrobazie  di Chris Squire al basso. Un concerto incredibile, una acustica perfetta, grazie anche allo strabiliante impianto degli Yes. E’ stato il basso più bello che abbia mai  ascoltato, me ne accorsi  sempre a Roma nel corso dell’UNION tour che vedeva radunati sul palco i due batteristi storici Alan White e Bill Bruford, le tastiere di Tony Kaye e Rick Wakeman, Jon Anderson e Chris Squire e le due chitarre di Steve Howe e Trevor Rabin. Era il 12 giugno 1991.

Le sue mani scorrevano agili sullo strumento , il sound del suo basso entrava nello stomaco quasi fosse un pugno che ti lascia senza fiato; un pugno come quello che ci ha steso appena appresa la notizia della sua morte. No. Un gigante come lui non può morire.