Il Festival di Aix en Provence sta realizzando un ciclo dedicato a Georg F. Händel, le cui fortune in Italia e in Francia sono state relativamente scarse. Sia in vita sia da morto. Poche delle sue 40 opere e 30 oratori vennero rappresentati nel nostro Paese quando era in vita; una sola in un teatro commerciale (nonostante che il Settecento fosse uno dei momenti d’oro dei teatri in musica a fini di lucro). Solo il Maggio fiorentino del 1940 (manifestazione deputata alle riscoperte) si ricordò del sassone e mise in scena “Aci e Galetea”, opera pastorale a basso costo in quanto richiede pochi interpreti ed uno scarno organico orchestrale.
Mentre a Londra la Händel Society metteva in scena od eseguiva in forma di concerto quasi l’intera opera omnia e negli Anni Settanta nella pur provinciale Washington c’era ogni anno un Händel Festival con tre-quattro titoli di opera – non parliamo della Germania e dell’Europa centrale – in Italia una vera e propria Händel Renaissance non si ebbe che negli Anni Ottanta – e per di più limitata a pochi titoli (principalmente “Giulio Cesare in Egitto”) e grazie agli sforzi di un numero limitato di Teatri (principalmente La Fenice di Venezia, il Festival di Spoleto e la Sagra Musicale Umbra).
Un gruppo di cultori (per lo più britannici) si riuniva ogni estate al Chiostro di Santa Croce a Batignano in Toscana – rappresentazioni importanti ma per poco pubblico ed a carattere semi-dilettantesco. Inoltre, sino a tempi recenti, Händel operistico veniva “adattato”: venuti a mancare i castrati, molti ruoli maschili venivano abbassati di un paio di ottave per affidarli a baritono (oppure consegnati a mezzo-soprani od a soprani lirici), i “da capo” delle arie venivano tagliati, molti passaggi eliminati ed interi personaggi (dalla vocalità troppo ardua) fatti sparire. Si tentava, spesso, di scimmiottare le macchine barocche: ho tre esempi di successo (un “Orlando” a La Fenice, un “Tamerlano” a La Pergola e un “Rinaldo” all’Arcimboldi, a Ravenna ed a Ferrara), unitamente a grandiosi fallimenti (quale l’edizione roconianiana, a Bologna e non solo, di “Giulio Cesare in Egitto”).
Si è tardato a comprendere quanto ha ribadito per anni Jurgen Schlädler, esperto tedesco di teatro in musica. Nelle opere di Händel ciò che conta non è la struttura fiabesca fatta di castelli incantati, di fontane meravigliose, destrieri alati, quanto “il messaggio sotto la cute che il gioco psicologico dei protagonisti trasmette” al pubblico. Era un messaggio sentimentale e sensuale (ma mai erotico, neanche in “Semele” che di eros poteva dare molteplici pretesti) in cui si riconosceva il pubblico della pudibonda Gran Bretagna del Settecento.
Una “vita interiore” che attira il pubblico odierno, specialmente quello giovane specialmente quello giovane, ad un barocco la cui fine era stata decretata più di 200 anni fa. Una prova si ha dal successo strepitoso che da oltre un lustro ha, a Zurigo, “Il Trionfo del Tempo sul Disinganno”, inizialmente concepita come un oratorio a quattro voci per un dopo-cena cardinalizio ma rappresentata come una meravigliosa commedia per giovani adulti di seduzioni e corteggiamenti senza mai scendere nell’erotico. Händel non è Cavalli che nella proibizionista Venezia della Controriforma metteva a nudo quanto sesso ci fosse tra le calli e i campielli.
La messa in scena di “Alcina” alla Scala è stato uno degli eventi di punta (in Italia) nelle celebrazioni per i 250 anni dalla morte di Händel nel 2009; gli altri sono stati la prima rappresentazione in Italia di “Partenope” (Ferrara, Modena e Napoli) e un nuovo allestimento de “Il Trionfo del Tempo sul Disinganno” alla Sagra Malatestiana di Rimini. In Francia non è andata molto meglio quest’anno. Quindi, il ‘ciclo’ di Aix è un evento importante. Iniziato l’anno scorso con ‘Ariodante’, prosegue quest’anno con ‘Alcina’ (coprodotta con il Bolshoi e la Canadian Opera Copany) e l’anno prossimo con “Il Trionfo del Tempo sul Disinganno”- titoli tra i più noti della sua sterminata produzione,
“Alcina” del 1735 è opera matura di Händel (nato del 1685) per il Covent Garden, appena costruito. Completa la triologia ariosteca di Händel (con le precedenti “Orlando” ed “Ariodante”, tratte anch’esse dall’”Orlando Furioso”). Ha un intreccio complesso di magie, tradimenti, battaglie, cacce, con l’inserimento di balletti. Venne modulata su un cast vocale eccezionale – in primo luogo il castrato Giovanni Carestini per il ruolo del protagonista Ruggiero. Era destinata al Covent Garden, aperto solo tre anni prima ed attrezzato con le più moderne macchine sceniche dell’epoca.
Cosa può interessare al pubblico d’oggi oggi di un intrigo di imbrogli tra cavalieri, fattucchiere e mori sulla via della prima crociata? Probabilmente l’intreccio (nonostante l’apprezzabile libretto di Antonio Fanzaglia) interessava poco allo stesso Händel, il quale del resto non intendeva scrivere musica d’accompagnamento ad un “colossal” spettacolare. La “vita interiore” dei personaggi era il cuore della sua ispirazione.
Nell’allestimento di Katie Mitchell- siamo in una villa – francese o britannica – ai giorni nostri (o meglio in un periodo imprecisato della seconda metà del Novecento: seguendo (con molte libertà) il poema di Ariosto, la maga Alcina è una divoratrice insaziabile di maschi di bello aspetto, trasforma in animali, pianti e pietre chi, di volta in volta, seduce. Lo è anche sua sorella Morgana , la quale è pure un po’ masochista ed ama farsi frustrare prima di fare sesso con lui . Alcina si innamora sinceramente di Ruggiero.. La vicenda si complica perché la fidanzata di Ruggiero, Bradamante, vestita da uomo arriva in villa per riprendersi lo sposo; il travestimento è così efficace da attirare Morgana (complice e sodale di Alcina) verso quello che crede essere un bel ragazzo. Gli intrighi non mancano sino allo scioglimento finale: il pentimento di Alcina di Morgana e la liberazione dei maschi-oggetto in suo potere. La scena è a due livelli: in basso l’enorme camera da letto di Alcina (che si trasforma in salotto), contornata da due piccoli uffici; in alto, il ‘laboratorio’ per trasformare in piante ed animali gli uomini con cui Alcina ha avuto amplessi. La regia di Mitchell, discutibile per alcune scene erotiche (ove non apertamente sessuali) che non sarebbero state necessarie, scava nei personaggi: Alcina è donna tremendamente sola che unicamente in Ruggiero credo di trovare un compagno. Ruggiero, dal canto suo, è un perfetto militare sempre disciplinato e corretto ma nelle mani di Alcina diventa un mero oggetto sessuale. Ritrova la propria personalità e combattività quando riconosce Bradimante.
Di alto livello la parte musicale. Il veneziano Andrea Marcon concerta la Frieburger Barockochester che utilizza strumenti d’epoca, oppure ad essi i più prossimi. Patricia Petibon è diventata una grandissima Alcina, non solo nelle scene carnali ma soprattutto nel finale quando assiste alla fine dei suoi poteri magici e del mondo che la ha circondata. Il controtenore Philippe Jaroussky è un Ruggiero credibile e commovente (quando viene, per così dire, sverginato da Alcina e quando è costretto ad assistere alla trasformazione di Bradamante in oca (ma dopo breve, grazie al suo precettore Melisso – Krysztof Baczyk – tornerà ad essere un’affascinante ‘ragazza con la pistola). Antony Gregory è un efficace Oronte. E’ Morgana? Anna Prohaska strilla un po’ troppo.
Nonostante alcuni tagli (i ballabili e altro) e ci sia un unico intervallo, l’opera dura quattro ore . E’ stata seguita da dieci minuti di ovazioni.