Svadba (Matrimonio) di Anna Solokovic, una compositrice serba (classe 1968)  trasferitasi da numerosi anni a Montreal, è la novità di maggior successo, e di maggior interesse, al Festival di Aix en Provence. Non è un debutto mondiale in senso stretto perché una versione semi-scenica presentata circa un anno fa in un teatro universitario di Toronto si è già vista in numerose sale del Nord America. 



Questa edizione (regia di Ted Huffman e Zack Winocour; scene di Samal Black, video di Sven Ortel, luci di Macus Doshi) è coprodotta dal Festival con i teatri,di Angers Nantes, Lussemburgo, Lubjana e con in Festival invernale di Sarajevo. Ma si vedrà in molte altre sale europee. E’ da raccomandarsi ai sovrintendenti e direttori artistici alla ricerca di produzioni di alta qualità, a basso costo di allestimento, e tali da attrarre il pubblico giovane.



Svadba (termine serbo che vuol dire ‘matrimonio’ e ‘festa di nozze’) racconta la sera e la notte prima della cerimonia vista dall’ottica di ‘lei’ (la futura sposa) in compagnia con le sue cinque migliori amiche allo scopo di seppellire la propria vita di ragazza nubile. Si intrecciano ricordi di infanzia e di adolescenza, gli anni passati insieme a scuola, università, e a feste di giovani, il senso dell’approssimarsi della maturità, le gioie, le speranze, ma anche i timori e le angosce per il futuro. Al termine della notte, la protagonista indossa l’abito da sposa e le sue cinque amiche quello delle ancelle che la accompagneranno all’altare. Quindi, una tranche de vie molto semplice ma piena di significato (specialmente in un mondo occidentale in cui i matrimoni e quindi le feste di nozze sono un rarità.



L’innovazione è nella struttura musicale, supportata da una regia efficace imperniata sulla recitazione e una scena unica e luci che ben costruiscono l’atmosfera. In primo luogo è una rara opera a cappella, senza orchestra per sei voci femminili – tre soprani – Florie Valquette, Liesbeth Devos, Jennifer Davis – e tre mezzo-soprani: Pauline Sikirdji, Andrea Ludwig, e Mirielle Lebel); c’è qualche leggerissimo accompagnamento strumentale (la protagonista suona in un breve momento l’armonica e le sue compagne delle piccole percussioni). In terzo luogo, ’opera sfrutta una potenzialità poco nota della lingua serba: non solo è fonetica (si parla come si scrive) ma è molto ritmica. Infine, nell’ora circa dell’atto unico, vengono elegantemente fusi vari ‘generi’: dalla canzonette giovanili alle filastrocche, dal ballabile al folk, dal melologo al parlato sino ad esplodere in un lungo ed ampio arioso finale, di impianto novecentesco, della ragazza che sta per sposarsi in cui si manifestano tutti i suoi auspici e tutte le sue preoccupazioni mentre le sue compagne , lasciati i jeans e le gonne corte, arrivano vestite da compunte damigelle.

Un piccolo grande capolavoro che speriamo giunga anche in Italia.