Il Rossini Opera Festival 2015, giunto alla sua trentaseiesima edizione, deve essere considerato come una manifestazione di transizione in un anno in cui, dopo circa quattro decenni, ci sono importanti avvicendamenti nel gruppo dirigente: nuove regole legislative comportano una programmazione triennale e la crisi economica morde, allontanando sponsor locali.



Comporta, come sempre, tre opere e numerosi concerti (oltre alle attività dell’Accademia rossiniana): quest’anno, tra le opere, c’è un unico nuovo allestimento – La Gazzetta– inserito tra La Gazza Ladra, opera inaugurale (nella produzione del 2007 firmata Damiano Michieletto) e L’inganno Felice (nella produzione che nel lontano 1994 aprì a Graham Vick le porte del festival).



Inaugurazione il 10 agosto con La Gazza Ladra, opera “semi-seria” poco eseguita anche a ragione della sua durata (circa quattro ore). La ho recensita altrove. In questa sede, tre aspetti essenziali: ottimo cast vocale, una concertazione (Renzetti) lenta e maestosa che ha fatto sembrare lo spettacolo ancora più lungo; una regia (Damiano Michieletto) ammuffita nel giro di pochi anni. Michieletto è una della star della regia italiana. Ricordo un suo giovanile molto azzeccato Barbiere di Siviglia a Jesi ed un’ottima The Greek Passion di Bohuslav Martinue in prima italiana al Teatro Massimo di Palermo, purtroppo mai ripresa né nel capoluogo siciliano né altrove. L’allestimento de La Gazza Ladra venne lodato nel 2007 (non lo vidi). Ora non solo è polveroso ma rende un’opera “semi-seria” truculenta e grand-guignolesca anche a ragione dei bizzarri costumi (dominano il nero ed il viola).



Quindi, l’11 agosto La Gazzetta è stata come una boccata di aria fresca. Tratta da una commedia di Carlo Goldoni, già messa in musica da Jommelli, Anfossi, Farinelli e Rossi narra la consueta vicenda del genitore che vuol decidere per i figli in materia di matrimonio ed è, dopo varie peripezie, sbeffeggiato.

La commedia goldoniana Il Matrimonio per Concorso è un quadro di vita borghese, perfetto per un’opera “semi-seria” ma nel libretto di Giuseppe Palomba (anche in quanto il lavoro era stato commissionato del Teatro dei Fiorentini nella capitale del Regno delle Due Sicilie), il personaggio del padre (molto scialbo in Goldoni) viene trasformato nel “buffo napoletano”, Don Pomponio Storione, tanto più esilarante poiché l’azione si svolge nella Parigi elegante di inizio Ottocento (l’opera è del 1816). Il lavoro ebbe successo ma venne ripreso poche volte e soprattutto nel Regno delle Due Sicilie.

Quella del ROF 2015 è la prima messa in scena integrale in Italia (ce ne è stata una l’anno scorso a Liegi) anche grazie al ritrovamento di un quintetto considerato perduto. L’allestimento (scene di Manuela Gasperoni, costumi di Maria Filippi) è semplice e facilmente circuitabili su altri palcoscenici. La regia di Marco Carniti è spigliata. Enrique Mazzola concerta con brio l’orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Il coro è diretto da Andrea Faidutti. La partitura è densa di auto-imprestiti da altri lavori rossiniani e non priva di qualche lungaggine. Molto bravo il cast, specialmente Nicola Alaimo, Asmik Torosvan e Maxim Mironov. Applausi e finalmente allegria.