NEW YORK — “La sofferenza mi sta facendo crescere, mi avvicina alla vera vita vissuta, ha rafforzato la mia famiglia, le mie amicizie, ne ha fatte crescere nuove, ha amplificato il mio ‘talento’ musicale. Mi sta facendo capire che Dio ci ha fatto per un grande scopo: dare il meglio di noi stessi e puntare in alto, non accontentarsi di vivacchiare, non accontentarsi di ‘camminare’, neanche di ‘correre’. Bisogna ‘volare’ e portare il bello che Dio ci dona in ogni momento agli altri, ai più vicini innanzitutto ma anche a chi viene messo sulla nostra strada. E’ sempre tempo di ricominciare, nonostante le cadute e i guai che ci possono capitare, ed è il tempo di volare, volare in alto. E’ vero, la malattia, la sofferenza non fanno piacere e si vorrebbe evitarle. Una scelta potrebbe essere la disperazione e l’attesa della fine mentre si maledice un destino e un Dio crudele. Io non voglio questo: il Signore non vuole questo da me, non mi vuole male, vuole il meglio da me”.
Marco Zanzi, Mock per tutti, se n’è andato poco fa dopo un anno e mezzo di lotta vissuta con amore e a suon di musica. La musica, il suo grande dono, la sua grande passione, il volto più visibile e radioso della Bellezza che ha sempre saldamente tenuto in braccio la sua vita. E la sua morte.
Di solito sui giornali si scrive dei “grandi musicisti”, quelli che hanno raggiunto fama e successo e che tutti — o quasi — hanno quantomeno sentito nominare. Mock non era un grande musicista. Mock era un grandissimo musicista e a differenza di tanti grandi musicisti era anche un grandissimo uomo. Non volergli bene era impossibile. Basta rileggersi quelle parole buttate giù come presentazione della sua ultima fatica musicale, mentre la malattia galoppava, per capire quanto prezioso fosse il suo cuore.
Gli ho voluto così bene da imparare a digerire quel country-folk or what else che era la sua carne e sangue. Il mio blues e il suo country, il giorno e la notte… Se ne scherzava spesso. Ma è così che funziona la testimonianza: si comunica quel che si è, si comunica ciò che si ama. Aspettavo di rivederlo fra qualche giorno, aspettavo di averlo per l’apertura del prossimo New York Encounter dove avrebbe dovuto suonare.
Basta, potrei dire altre mille cose, ma mi fermo qui. Mock ora non soffre più. Il dolore adesso è per Gabriella, Marta, Cecilia e tutti noi che l’abbiamo incrociato nel cammino della vita. Il dolore è per chi resta. Chi se ne va si compie. Mock, continua a suonarci il tuo inno alla vita, e quando Dio vorrà suoneremo ancora insieme.