“C’erano due strade che avremmo potuto seguire. Avremmo potuto fare lo stesso ripetutamente come gli AC/DC, ma molto slow, oppure saremmo potuti andare avanti imperterriti e proiettarci nel futuro per cercare di essere come i Beatles”. A fare questa affermazione audace è il leader dei Low Alan Sparhawk.
Gli AC/DC hanno da tempo perso la loro ispirazione anche se dal vivo sono sempre una macchina da guerra e, per quanto riguarda i Beatles… i Low non sono i nemmeno i Rolling Stones!
Di apprezzabile c’è che i Low, album dopo album, continuano a fare i Low. Tra i capostipiti del genere slowcore (ma non ditelo a voce alta perché a loro questa etichetta non piace) i Low hanno mantenuto viva l’ispirazione e la loro lampadina è sempre rimasta accesa: non si può dire che nel corso degli anni la band del Minnesota non abbia sperimentato.
Il loro modo di suonare, favorito anche dalla collaborazione con diversi e sempre nuovi produttori, è cambiato e si è evoluto rispetto al primo album del 1994, lo stupendo ed essenziale I could live in Hope. In vent’anni, pur avendo mantenuto il loro timbro distintivo, il loro suono, complice forse anche il passaggio alla Sub Pop, è virato verso un pop-rock più accessibile. Il precedente The Invisible Way del 2013 è l’album che si avvicina di più al rock classico ed è quindi il più distante rispetto ai loro esordi, mentre The Great Destroyer, forse il loro album di maggior successo, è quello più rock.
Pur non avendo inventato nulla di rivoluzionario, ogni cosa che fanno la fanno maledettamente bene. L’ennesima riprova è Ones and Sixes, il nuovo album in studio in uscita l’11 settembre con la Sub Pop Records: registrato ai Base Studios di Justin Vernon nel Wisconsin, l’album è stato co-prodotto da BJ Burton con il quale Alan ha recentemente lavorato per produrre Wild Animals dei concittadini Trampled by Turtles. La promozione dell’album porterà i Low in un tour internazionale che anche questa volta passerà in Italia il 20 ottobre 2015 al Teatro Antoniano di Bologna.
Ones and Sixes è sempre improntato all’insegna dell’essenzialità dei suoni sebbene aumentino gli strumenti utilizzati: alla chitarra di Sparhawk, alle percussioni di Mimi Parker e al basso e alla tastiera di Garrington si aggiungono, in alcuni brani, le percussioni del batterista Glenn Kotche dei Wilco e si fa un uso più estensivo dell’elettronica. I testi sono composti da frasi brevi ed enigmatiche, le parole sono sussurrate e ripetute ad oltranza, i ritmi sono lenti, i volumi sono bassi ma lentamente si alzano, così come l’intensità piano piano cresce e talvolta sfocia in una tempesta di suoni. Le atmosfere sono ossessive, quasi spirituali, ed entrano nella pelle di chi le apprezza e probabilmente escono dalle orecchie di chi non le sopporta.
Nell’album si trovano brani immediati e d’impatto come Translation e No Comprende e pezzi decisamente orecchiabili come in the Corner, in cui la frase “You Put the Kid in the Corner” viene ripetuta con diverse tonalità ed intonazioni quasi fino allo sfinimento. Poi sono presenti anche sonorità più frivole come part of me in cui i Low si pongono più volte l’interrogativo “Che parte di me non conosci? Che parte di me non possiedi?”.
Che i quesiti si riferiscano alla band nel suo insieme o al rapporto coniugale tra Mimi e Alan Sparhawk non è dato sapere. Oltretutto Alan non è d’aiuto a fare chiarezza: a suo avviso il significato dei suoi testi può cambiare di volta in volta. Ci sono poi dei brani decisamente più sperimentali come le canzoni di aperturaGentle e di chiusura che probabilmente richiedono qualche ascolto in più per essere apprezzate e che possono spaventare lo spettatore occasionale che le può facilmente bollarle come noiose per non dire di peggio. In quest’album, come nelle esibizioni live, Mimi si alterna come voce principale ad Alan, ma in Ones and Sixes i brani a lei assegnati -, Into You e The Innocents- sono i più deboli sul fronte musicale.
Lies e sono invece i brani migliori e sono quelli che sintetizzano al meglio tutta l’essenza della loro musica. Il primo consiste di dieci minuti di atmosfere rarefatte, depresse e malinconiche in cui la melodia incontra la distorsione e viceversa. invece si poggia su una perfetta armonia tra le voci di Mimi e Alan ed è caratterizzato da arrangiamenti minimali (ma va?!?) e da atmosfere dolenti. Si coglie tutto il rammarico e la tensione drammatica: “Non potevi dirmi quello che davvero volevi anziché raccontare sempre le solite vecchie bugie?” canta Alan implorante e poi la scoperta che non fa presagire nulla di buono: “Quando ti ho visto sul bordo della strada avevi una pistola sotto il cappotto”.
Ones and Sixes è una riconferma, la fiducia nei lavori dei Low è sempre ben riposta. Il trio di Duluth continuerà a fare la musica che vorrà: “non importa quanto sia doloroso, perché nel lungo termine il lavoro ripaga”. E per quanto tempo vorrà: “non ho mai pensato che possa finire ma nemmeno che possa andare avanti”! Nel frattempo facciamoci guidare da Sparhawk & Co., forse non sanno in che direzione andare, ma continuare ad esplorare con loro i misteri sonori alla scoperta dell’essenziale è un viaggio fantastico.