Una voce evocativa, tanta passione e delle coordinate geografiche d’eccezione: Mackenzie Scott, in arte Torres, ha tutte le carte in regola per farsi conoscere ed apprezzare anche dal grande pubblico. L’ultimo disco Sprinter è una riconferma dopo il sorprendente album di debutto di due anni fa. Nata nel profondo Sud a Macon in Georgia, con un trascorso importante a Nashville e da qualche anno trasferitasi a New York, Torres ha catturato l’attenzione grazie alle sue armonie vocali e alla sua grintosa vitalità. 



La sua musica, per quanto sembri rabbiosa, è molto intensa e riflessiva. Un suono melodico ricco di impennate rock che dà libero sfogo alla sua vivacità e che lascia tanto spazio alla nostalgia.

Complice anche la sua giovane età, Torres cerca di nascondere la sua vulnerabilità e le sue paure con un fare deciso: “Until your yes is yes and no, follows” (Son, you are no island). Sono tante le tematiche trattate nelle sue canzoni, anche le più oscure, ma non è lo stato di disperazione quello che alla fine prevale e che la determina. È necessario affrontare il dolore, attraversare l’oscurità e fronteggiare i demoni: “The darkness fears what darkness knows, but if you’re never known the darkness, then you’re the one who fears the most”. La sofferenza “Everything hurts but it’s fine” (Honey), il senso di impotenza e di abbandono “I’m underwater and I don’t think you can pull me out of this” (The Exchange) sono i sentimenti che emergono con forza dai suoi testi.



Ho avuto il piacere di intervistare Torres prima del kick off del suo tour europeo che la vedrà esibirsi a Milano stasera 14 settembre.

Se cerchi su un motore di ricerca italiano il tuo nome, c’è il rischio di confondersi con Scott McKenzie l’interprete della canzone San Francisco, se invece cerchi Torres tutti i principali risultati si riferiscono al calciatore spagnolo Fernando Torres. Come hai scelto questo nome d’arte?

Torres era il cognome di mio nonno. Fernando sarà ben presto superato… non ho timore! Mi piace l’idea di crescere con un nome. Qualcuno potrà pensare che Torres non sia azzeccato per un progetto musicale, io credo invece che sia sottovalutato… e poi mi piace!



“I’m a tired woman. In January I will be twenty-three” canti in New Skin. Sei tu vero? I tuoi testi sono autobiografici? Scrivi sempre da un punto di vista personale?

Combino vicende autobiografiche con storie un po’ accentuate così ho la possibilità di sviluppare diverse vicende all’interno della canzone. Mi piace l’idea che la gente non sappia se scrivo di me oppure se si tratta di finzione.

In New Skin parli di oscurità e di timori legati ad essa. Hai paura dell’ignoto oppure hai fiducia nel buon fine delle cose?

Ho decisamente paura dell’ignoto ma ho ben più paura delle persone che evitano l’oscurità. La gente che ignora il buio sarà la stessa che pretenderà di non vedere l’oppressione o l’abuso di potere o l’avidità. Quelle sono le persone che non ti aiuteranno in caso tu ne abbia necessità.

 

Depressione, rabbia, rifiuto sono alcuni dei sentimenti che susciti ascoltandoti. Sprinter è un album molto intenso, ricco di energia e di nostalgia. Ho mal interpretato?

 

Quelli sono alcuni dei sentimenti che si possono ritrovare nell’album, mi auguro però che ci siano dei momenti in cui l’ascoltatore ritrovi anche un senso di gratificazione (comunque piccolo), un desiderio ardente, di amore e di gioia. Non sono solo tenebre e destino avverso.

 

L’album è stato registrato con il co-produttore Rob Ellis. Perché hai deciso di registrare in Gran Bretagna piuttosto che negli Stati Uniti? Pensavo che tra Nashville e NYC ci fossero parecchi Studio.

 

Rob vive nel Dorset ed io volevo lavorare solo con lui. Pertanto ho deciso che sarebbe stato più conveniente andare in Inghilterra piuttosto che portare lui a New York. È stato così piacevole là, ho fatto la scelta giusta!

 

Hai collaborato con Sharon Van Etten ed in qualche maniera la vostra musica si è influenzata vicendevolmente. Hai condiviso il palco con lei ed hai lavorato nel suo disco, corretto?

 

Ho avuto il privilegio di salire sul palco con Sharon Van Etten in un paio di circostanze ma ancora non abbastanza! Vorrei tanto fare un intero Tour con lei. Ho cantato nel suo ultimo disco Are we There e quello è stato il più grande onore.

 

Come nel caso di Sharon Van Etten mi piace molto l’uso che fai delle armonie vocali. Come hai sviluppato il tuo stile?

 

Ho sempre gravitato naturalmente attorno alle armonie ipnotiche. Credo che l’armonia più semplice possa ravvivare o cambiare una canzone radicalmente.

 

Hai dichiarato che Johnny Cash è la tua principale icona di stile. “Well, you wonder why I always dress in black” cantava in “Man in black”. Quali sono invece le tue ragioni?

 

Mi piace la praticità del suo vestire in nero. Era classica, monocromatica ed aveva tutti gli aspetti di essere un vero e proprio costume di scena sebbene fosse un completo funzionale per essere indossato tutti i giorni. L’uniforme è anche rappresentativa delle sue origini del Sud. Adoro i grandi cappelli da Cowboy.

 

Che musica stai ascoltando?

 

Sto ascoltando parecchio il nuovo album di Kendrick Lamar. È un disco geniale!

 

Stasera sarai sul palco del Circolo Magnolia di Milano. È la prima volta che suoni in Italia?

 

Sì è la prima volta… sono molto gasata! Dove mi consigli di andare a mangiare?