Troppo avanti allora, di troppo in seguito, ripescato in maniera lenta e sotterranea, predestinato chissà di quella gloria postuma con il gusto dolce amaro della riscoperta continua. Frequentatore di grandi iperboli sonore o di violente alchimie ipnotiche, detentore di una sorta di sesto senso nell’uso geometrico e rigoroso delle proprie risorse tecniche. Non importa. Tony Banks – formidabile cervello musicale di una delle band più importanti della storia del rock – talento puro, schivo e troppo a lungo misconosciuto, è da sempre questa mente straordinaria, personaggio o meno che sia. Quello che cambia dipende tutto da chi ha voglia di andare a scovare non semplicemente qualcosa di bello, ma di unico e stravolgente.
Come tutti i geni introversi e un po’ bisbetici il suo iter artistico è una sequela di alti e bassi, tanto che a rileggerlo sembra si sia insinuato una sorta di germe programmatico nella sua assidua schizofrenia. Forse il gusto irrefrenabile del gioco d’azzardo con la musica, forse la sua paura di fallire l’hanno sempre spinto oltre il segno. Tutto questo e altro ancora si può trovare in questa sostanziosa raccolta in 4 CD intitolata “A Chord Too Far” (“un accordo di troppo”) pubblicata alla fine dello scorso luglio.
La storia della sua carriera solista in realtà parte da molto prima dell’esordio ufficiale. Nel 1975 all’indomani della dipartita di Peter Gabriel dai Genesis, l’immediato futuro della band è quantomai incerto. Le audizioni per una nuova voce solista non hanno ancora dato frutto. E’ così che Banks decide di mettersi a scrivere nuovi pezzi la cui destinazione è tutta da stabilirsi. Si parla di un possibile album dei Genesis interamente strumentale ma la verità è che il grande tastierista sta tramando per un debutto in proprio. Uno di questi brani è la straripante Robbery Assault and Battery, tra i vertici assoluti del sodalizio artistico Banks/Collins a suon di incroci vertiginosi tra figurazioni sonore e ritmiche (I Genesis “prima maniera e mezza”). La storia poi dirà di un’autocooptazione naturale di Collins nel ruolo di Gabriel che determinerà l’inclusione di quel brano nello splendido “A Trick of The Tail”. Banks – da sempre propenso a privilegiare le sorti del gruppo madre – ne prenderà atto senza problemi.
Tre anni ancora e l’opportunità si ripresenta. Collins alla fine dell’ennesimo lungo tour con i Genesis si deve prendere una lunga pausa per affrontare i problemi familiari che porteranno al suo primo divorzio. Banks e Rutherford lasciano tutto il tempo necessario al collega/amico e decidono di giocarsi finalmente la carta solista. E’ qui che il musicista britannico tenta di esplorare ulteriormente la gamma delle sue proprietà tecnico-stilistiche. Il tanto di accordi e armonie che marchiavano a fuoco il grande suono dei Genesis, diventa sovrabbondante nell’esordio in proprio di “A Curious Feeling” (1979). Non c’è più l’esigenza del compromesso virtuoso con la band per il perfetto equilibrio delle componenti, così Banks decide di sparigliare le carte oltre i limiti fino allora consentiti. Il risultato è quasi un brano unico diviso in più sezioni per un’apoteosi di strutturazione melodico-armonica su un canovaccio di storia che si dipana come una rapsodia dell’umano tra sogno e realtà. Drammatiche e ricche progressioni di pianoforte, impianto sinfonico crepuscolare, improvvisi squarci di luce violenta, silenzi e contrasti giocati sempre al limite, visionari saliscendi solisti. Un capolavoro dell’art-rock che – come i grandi capolavori dei Genesis – trascende il genere stesso superandolo, destrutturandolo e ripensandolo. La musica stessa sigla un nuovo patto di sangue con l’artista che l’aspetta al varco.
Senza alcuna promozione l’album raggiunge il 21°posto nella UK chart ed entra persino nella top 200 di Billboard. Banks non viene neppure sfiorato dall’idea di intraprendere un mini -tour promozionale. E’ già con la mente già al ritorno dei Genesis sulle scene con lo splendido ”Duke” e relativo tour. Anni dopo, ai tempi di quello che ad oggi rimane l’ultimo album rock del tastierista, lo stesso dichiarerà che una volta era più facile – anche in assenza di sforzi di marketing – generare un minimo di riscontro commerciale verso il lavoro solista di un membro del gruppo dal momento che questi dischi appena pubblicati finivano in un consistente numero di copie negli scaffali di tutti i negozi e acquistati dai fans che ne riconoscevano l’affiliazione alla band o che venivano attratti dallo sticker che la documentava.
E’ probabile che il Banks di qualche tempo dopo faccia affidamento più o meno consapevole su questo precedente per riavventurarsi nell’esperienza solista, sta di fatto che attratto dal dilagare del successo solista di Collins e dal primo cenno di successo di Rutherford, cambia rotta tentando con “The Fugitive” (1983) di sposare classic pop e tecno pop allora in voga con un utilizzo inusuale degli accordi come nel suo stile. Il risultato è un lavoro teneramente naïf che si dibatte tra evidenti ingenuità e sprazzi di talento talvolta centrati e più spesso fuori contesto.
In quasi perfetta contemporanea Banks inizia la sua breve esperienza di compositore di colonne sonore con “The Wicked Lady” (1983) e soprattutto con “Soundtracks” (1986), che include due colonne sonore di altrettanti film che passeranno pressoché inosservati (non diversamente dal precedente) ma che per quanto riguarda il film Lorca and The Outlaws esibisce alcuni momenti di grande fulgore tra scrittura e arrangiamento (su tutti la strabiliante Lion of Symmetry che si avvale della voce tosta e nevrotica di Toyah Wilcox alias Lady Fripp). Nulla di fatto in punto visibilità. Il riscontro appena sufficiente di “The Fugitive” si eclissa del tutto relegando il nostro ad artista di culto quanto alle sortite in proprio.
E’ lo stesso avverrà per “Bankstatement” (1989) e “Still” (1991). Nel primo, pur con qualche momento notevole, spicca uno Steve Hillage avulso dal contesto. Il secondo, tra collaborazioni di lusso su diversi fronti (Fish, Nik Kershaw, la sconosciuta ma bravissima Jayney Klimek) è un album che pur con qualche discontinuità annovera alcuni brani di altissimo livello tra ballad pop-rock e ritorno in grande stile a solide architetture prog piene di tradizione, magnetismo ed evocazione (il duetto con Fish di Another Murder of a Day è esemplare, la complicità con la Klimek di Water out of Winesorprendente). Ma il nostro ormai è talmente poco avvezzo a qualsiasi idea di minimo battage di se stesso che si trova già con la mente al prossimo capitolo dei Genesis castigati, cinici e capitalizzatori di quella fase di carriera.
Banks archivia l’esperienza rock con un grande album come “Strictly Inc.” (1995) in cui il genio del Sussex mette a frutto il lungo percorso sulle tracce della coesione tra i due approcci che ne formano da sempre la stoffa artistica anche nel gruppo madre. Beatles, grandi compositori/esecutori classici e sperimentazioni ardite tra rock e musica d’autore (con l’eccellente voce di Jack Hues in tutti i brani). L’imponenza drammatica e rigorosa di An Island in The Darkness ne rappresenta forse l’ultimo capolavoro prima della decisione di affidarsi all’area dei lavori classici con tanto di orchestra sinfonica. Momenti suggestivi, scampoli di grandezza (se n’è parlato su questa pagine con la recensione di “Seven” del 2012) ma con un ultimo senso di smarrimento e mancanza per quell’unico e geniale concentrato di stranezza umana e visione artistico-esistenziale che ha contrassegnato l’esperienza dell’uomo Tony Banks. Non uno dei tanti musicisti classici veri o presunti tali neppure uno dei tanti musicisti rock influenzati dalla classica, non solo uno dei più grandi tastieristi rock di sempre ma il musicista che meglio di ogni altro ha tradotto in arte pura la grande infatuazione per le influenze colte rendendole esperienza totalmente rock. Grande musica in perfetta simbiosi con la potenza forbita e asciutta di grandi canzoni.
Questo cofanetto – composto di brani selezionati dallo stesso Banks – è una ideale sintesi della ricchezza, dell’estro e della diseguaglianza che ne ha da sempre contrassegnato la vena stravagante e lunatica. Le grandi collisioni melodico armoniche – tra semitoni pianistici e ingegnose trame di sintetizzatori – di After The Lie, The Waters of Lethe e You (dall’album d’esordio “A Curious Feeling”) passando per Another Murder of a Day e il rimbalzo elettro-esoterico di Lion of Symmetry, fino a quel violento e definitivo affresco sonoro sullo sgomento umano che è An Island In The Darkness (dall’ultimo album rock “Strictly Inc.”).
Sull’altro versante una lunga gara a ostacoli che tra ghiribizzi, piccole e grandi intuizioni, raggiunge la sua ultima e bellissima espressione con l’intensa pop-rock ballad di Walls of Sound, l’altra faccia dell’ultima sortita rock del nostro ma sempre con quella fascinosa sovrabbondanza che ne riassume l’essenza prima e ultima. Anche il gioco della ricorrenza non funziona come per gli altri in Banks. Sono 36 anni da “A Curious Feeling”. C’è sempre un anno di troppo, come quell’accordo sempre in agguato sul suo pentagramma per infrangere regole e posizioni acquisite nel mondo della musica. Incluse le sue.