Di artisti è pieno il mondo, di geni non altrettanto. Il genio possiede una capacità profetica, non perché se l’è data ma se la trova addosso, che fa sì che quello che dice in una canzone, in un libro, in qualunque opera d’arte, travalichi il momento, lo stesso episodio narrato. Quando ti imbatti ad esempio in una canzone come La fotografia di Enzo Jannacci, brano pubblicato nel 1991, la prima cosa che ti salta in mente è che è un brano profetico. 



Ascoltarla oggi, pochi giorni dopo la fotografia di Aylan, il bambino siriano di 3 anni trovato cadavere su una spiaggia, ti sembra che sia stata scritta per lui e per quello che quel corpicino ha significato. “Uhe, no guarda la fotografia sembra neanche un ragazzino (…) così adesso che è finito tutto e sono andati via e la pioggia scherza con la saracinesca della lavanderia no io aspetto solo che magari l’acqua non se lo lavi via quel segno del gesso di quel corpo che han portato via e tu maresciallo che hai continuato a dire andate tutti via andate via che non c’è più niente da vedere niente da capire credo che ti sbagli perché un morto di soli tredici anni è proprio da vedere perché la gente sai magari fa anche finta però le cose è meglio fargliele sapere“.



Nessuno saprà mai cosa Enzo Jannacci avrebbe detto della fotografia di Aylan, se sarebbe stato d’accordo con il pubblicarla come hanno fatto quasi tutti sbattendola nelle prime pagine dei giornali o bene in evidenza nelle homepage dei siti. Ascoltando questa canzone di ventiquattro anni fa sembra però di capire che sì, si sia fatto bene a pubblicarla. D’altro canto a Jannacci la cosa che più infastidiva era l’indifferenza della gente per la sofferenza altrui. La canzone parla di un alcolizzato, anche ladro, che perde il figlio di 13 anni durante il tentativo di una rapina e dice al maresciallo dei carabinieri che fa male ad allontanare la gente accorsa sul luogo, perché la gente deve vedere e deve sapere quello che è successo. La gente fa finta, ma le cose è meglio fargliele sapere. 



Non sappiamo cosa avrebbe detto Jannacci della foto di Aylan, ma sicuramente c’è una differenza fra lui e quelli che l’hanno pubblicata “per smuovere le coscienze”, come hanno detto. Con quel senso di umanità gigantesco che il cantautore milanese aveva nel cuore, lui non giudica gli indifferenti, lui si identifica negli indifferenti e anche nei “cattivi”. Confessa al carabiniere come si farebbe davanti a un prete il suo senso di colpa per aver cresciuto il figlio morto facendolo diventare come lui, un ladro. Jannacci smuove la sua di coscienza, prima di preoccuparsi di smuovere quella degli altri.

La fotografia del bambino siriano continuerà a tormentare le coscienze di molti: quelli che l’hanno pubblicata, quelli che dovevano esserne smossi, quelli che hanno criticato la sua pubblicazione. Mai come in questo caso è impossibile dare un giudizio netto e definitivo come invece in questi giorni abbiamo cercato di fare tutti, probabilmente per rimuovere l’immagine stessa del bambino. 

Bono, il cantante degli U2, intervistato dal quotidiano La Stampa, ha detto ieri che “questa settimana è successo qualcosa di incredibile, l’Europa non è più quella di sette giorni fa”. Si riferiva alla decisione da parte tedesca di lasciar entrare nel proprio paese migliaia di profughi, accolti sulle note dell’Inno alla Gioia, che è poi anche l’inno dell’Europa. In un certo senso siamo davanti a un momento storico pari come significato, forse, alla caduta del Muro di Berlino. Niente sarà più come prima: “Potremmo davvero essere a un punto di svolta per quel che l’Europa vuole essere nel Ventunesimo secolo” ha aggiunto Bono. Parte di questo cambiamento epocale nel cambiamento di alcuni statisti europei, ad esempio il primo ministro inglese Cameron e quello tedesco Angela Merkel, qualcuno dice che è dovuto proprio alla foto del bambino siriano. Anche Bono è d’accordo. Quella foto ha pesato in quanto sta succedendo? gli è stato chiesto: “Sì, ha pesato. Non ci dovrebbe volere l’immagine di un bambino morto su una spiaggia per bucare la bolla europea. È una vergogna. Ma un’immagine può davvero dire di più di migliaia di parole, e dovremmo chiamare la reazione europea la “risposta Aylan”.

Come ha intelligentemente commentato il professor Ruben Razzante in un suo articolo, docente di diritto della comunicazione all’Università del Sacro Cuore di Milano, è una foto che ha violato in Italia ogni deontologia professionale giornalistica (la Carta di Treviso con cui i giornalisti si sono impegnati a non pubblicare foto di minori vittime di episodi mortali), il Codice di procedura penale e il Testo unico sulla privacy che esprimono forti limiti in questo senso. Viene definito “dignità della memoria”, un dovere dei giornalisti nei confronti di soggetti deceduti che vale la pena ricordare in modo non lesivo della loro dignità. I morti, nel mondo dell’informazione, sembra però che non godano di alcun diritto, sottolinea Razzante: “Sul piano strettamente formale, del rispetto dei precetti giornalistici dettati a tutela dei diritti della personalità altrui, quell’immagine non avrebbe dovuto essere pubblicata”. 

Anche eventuali giudici e tribunali però non hanno  osso dito: troppo devastanti quelle immagini.

Viene in mente un altro che doti profetiche ne ha avute in abbondanza, cantante anche lui. Bob Dylan, in una canzone che raccontava la ricerca della dignità, aveva detto: “Qualcuno mi ha mostrato una fotografia e io mi sono messo a ridere: la dignità non è mai stata fotografata”. 

E’ una domanda che resta aperta, a cui nessuno è in grado di rispondere, quella che pone quella “fotografia”. “Desmond Tutu (l’arcivescovo sudafricano protagonista della lotta all’apartheid, nda) – riferisce ancora Bono – avrebbe detto che Aylan annegato sulla spiaggia è Gesù. E che ogni persona che ha perso tutto porta in sé la divinità”. Divinità, una natura eterna che sopravvive a tanta sofferenza e alla morte. La fede è un dono non una costruzione più alta di pietà umana. Però è la pietà umana a farci sentire più vicini al divino, più irriducibili, più capaci di portare le avversità nostre e altrui. Più capaci di immedesimarci in chi soffre, come Enzo Jannacci sapeva fare in modo unico.